Credito superiore al fido e versamento del correntista: quali i criteri di imputazione?

Nei contratti di conto corrente bancario con apertura di fido, ove il credito dell’istituto superi la linea di affidamento concessa ed ove il correntista esegua dei versamenti, questi sono qualificati come pagamenti così considerandosi il credito liquido ed esigibile con conseguente applicazione dei criteri d’imputazione di cui all’articolo 1194 c.c

La Prima sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10941, depositata il 26 maggio 2016, tratta il tema dell’applicabilità dell’articolo 1194 c.c. al contratto di conto corrente bancario. Come noto l’articolo in parola stabilisce la regola d’imputazione nei pagamenti non estintivi dell’intero debito. Il criterio legale individuato dalla norma, posta ad evidente tutela dei creditori, afferma che il pagamento debba essere imputato ad interessi e poi a capitale, salvo che il creditore non acconsenta a che tale ordine venga invertito. Il fatto. Il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto su ricorso della banca per il pagamento delle commissioni di massimo scoperto, della capitalizzazione trimestrale degli interessi e degli interessi convenzionali, si concludeva con la revoca del decreto ingiuntivo. Il Tribunale negava il diritto dell’Istituto alla capitalizzazione degli interessi, riconosceva la commissione di massimo scoperto con cadenza trimestrale ed imputava le rimesse sul conto corrente ai sensi dell’art. 1194 c.c L’appello, proposto in via principale dalla Banca ed in via incidentale dalla società debitrice si concludeva, per quanto qui preme rilevare, con la riforma della sentenza di primo grado sotto il profilo del criterio d’imputazione dei pagamenti ex art. 1194 c.c Il giudice di seconde cure riteneva non applicabile al caso di specie il criterio d’imputazione della norma citata così considerando le rimesse sul conto corrente non già pagamenti con funzione di estinzione dell’obbligazione, bensì delle mere registrazioni contabili modificanti la quantità di moneta messa a disposizione del correntista. In questo peculiare rapporto, nella ricostruzione giuridica operata dall’Organo di appello, è la stessa Banca ad imputare la rimessa in conto capitale con addebito degli interessi in sede di chiusura periodica del conto. La pronuncia era impugnata dall’Istituto di credito dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo di censura che preme analizzare in questa sede concerne la violazione e falsa applicazione dell’art. 1194 c.c La ricorrente ne sosteneva l’applicabilità al caso di specie essendo le rimesse un credito di valuta, le stesse andavano imputate prima ad interessi e dopo a capitale, salvo volontà contraria della creditrice. Evidenziava la peculiare natura degli interessi quali frutti civili sul capitale maturanti quindi giorno per giorno ex art. 823 c.c. nonché la loro liquidità ed esigibilità alla fine di ogni trimestre, prevedendo il conto in argomento un’apertura di linea di credito con presenza di saldo passivo superiore all’affidamento ed una chiusura contabile trimestrale. Conto corrente affidato la differente natura dei versamenti eseguiti dal correntista. La Corte di Cassazione aveva modo di precisare come nel rapporto di conto corrente le operazioni di prelievo e versamento non configurino dei distinti rapporti di debito e credito tra banca e cliente in cui è dato distinguere un credito della banca a fronte del quale il pagamento eseguito dal cliente venga imputato ad interessi. In questa prospettiva le Sezioni Unite nel 2010 con la pronuncia n. 24418 avevano statuito che quando il rapporto di conto corrente viene accompagnato dall’apertura di un fido ed ancora quando nel corso del rapporto il correntista abbia eseguito anche versamenti, questi potranno essere considerati pagamenti ove accedano ad un conto scoperto non così invece quando i versamenti non superano lo scoperto del fido, nel qual caso vengono considerati solo ripristinatori della provvista. Versamenti su conto corrente affidato imputazione ex art. 1194 c.c. se il credito della banca è superiore al fido. Sicchè utilizzando questo approdo delle Sezioni Unite, nell’ipotesi in cui il credito della banca superi la linea di affidamento ed in presenza di un versamento eseguito dal correntista è possibile ritenere sussistente la simultanea presenza della liquidità ed esigibilità del credito, con conseguente applicazione dell’art. 1194 c.c. non così quando il credito della banca sia contenuto nell’importo concesso in affidamento e sempre che il correntista abbia eseguito dei versamenti, nel qual caso la liquidità del credito e la sua esigibilità vengono posticipati al saldo di chiusura del rapporto. Concludendo. Nella vicenda in esame il richiamo al conto con affidamento e la conseguente ricostruzione giuridica offerta erano stati prospettati per la prima volta nel giudizio di legittimità con conseguente inevitabile rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 – 26 maggio 2016, n. 10941 Presidente Giancola – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo Sicilcassa s.p.a., succeduta alla Cassa Centrale di Risparmio VE per le Province siciliane, otteneva il decreto ingiuntivo 3233/94 nei confronti della SEP Società Edilizia Privata s.r.l. e dei fideiussori R.G. , A.P.F. ed Immobiliare L. s.r.l., per il pagamento della commissione di massimo scoperto e per la capitalizzazione trimestrale a far data dal 1 aprile 1994 al soddisfo, quale saldo passivo del conto corrente bancario omissis , per complessive lire 464.392.304, oltre interessi convenzionali. Proposta opposizione dalla debitrice principale e dai fideiussori, il Tribunale di Catania, con sentenza del 30/4/2006, estrometteva R.G. per rinuncia della banca nei suoi confronti nel merito, alla stregua delle risultanze della C.T.U., negava il diritto di Sicilcassa in l.c.a. alla capitalizzazione degli interessi, applicava il tasso convenzionale, riconosceva la commissione di massimo scoperto con cadenza trimestrale, imputava le rimesse ai sensi dell’articolo 1194 c.c., revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti al pagamento della somma di Euro 78.645,76, oltre interessi legali dal 1 aprile 1994 al soddisfo compensava le spese processuali e di C.T.U La sentenza veniva appellata in via principale dalla Sicilcassa in l.c.a. ed in via incidentale dalla Immobiliare L La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 16/25 novembre 2010, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande della Sicilcassa e condannato questa alle spese dei due gradi di giudizio. Nello specifico, la Corte del merito ha ritenuto la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi del conto corrente, richiamando l’orientamento da ultimo seguito dalla pronuncia del S.C.11466/2008, e non consentite né la capitalizzazione semestrale né quella annuale la validità della pattuizione del tasso debitore convenzionale di cui alle lettere/contratto del 18/12/1986 e 16/1/1987 e che la mancata sottoscrizione da parte della banca era superata dalla produzione in giudizio e dalla domanda giudiziale spiegata dovuta per espressa previsione pattizia la commissione di massimo scoperto, ma che nel caso non era dato di liquidarla con le modalità della capitalizzazione trimestrale, come operato dal Tribunale, sia per l’orientamento che nega la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi bancari sia per l’inapplicabilità della disciplina dell’anatocismo fuori dal caso espressamente previsto dall’articolo 1283 c.c. non applicabile ai versamenti il criterio di imputazione di cui all’articolo 1194 c.c., costituendo le rimesse sul conto non pagamenti ma registrazioni contabili, aventi la funzione non di estinguere l’obbligazione debitoria, ma, nell’ambito del rapporto del conto corrente di corrispondenza, il diverso effetto di modificare la quantità di moneta di cui il correntista può disporre in qualsiasi momento, ex articolo 1852 c.c. e versandosi nel caso opposto a quello previsto dall’articolo 1194 c.c., visto che è la banca che provvede all’imputazione della rimessa in conto capitale, addebitando poi gli interessi scalari in sede di chiusura periodica del conto utilizzabile la relazione del C.T.U. dott. Donati e non già quella del dott. M. né quella redatta nell’ambito del giudizio di ammissione al passivo del fallimento SEP, in quanto, oltre che inopponibile alla L., redatta con l’erronea applicazione del criterio di imputazione di cui all’articolo 1194 c.c. e con la contabilizzazione trimestrale della commissione massimo scoperto , da cui l’esclusione del saldo passivo, sussistendo invece saldo creditore assorbite le ulteriori censure. Ricorre avverso detta sentenza Sicilcassa in l.c.a., con ricorso affidato a tre motivi, ed illustrato con memoria. Si difende la sola Immobiliare L. gli altri intimati non hanno svolto difese. Motivi della decisione 1.1.- Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1194 c.c. anche in riferimento agli articolo 1857 e 1832, 1362, 1367 e 1823 c.c., nonché il vizio di motivazione della pronuncia. Sostiene che ogni rimessa deve essere imputata prima agli interessi e poi al capitale, ex articolo 1194 c.c., applicabile ad ogni credito di valuta e quindi ad ogni rimessa, ed espressiva della regola della normale imputazione dei pagamenti, salvo diverso avviso del creditore, né gli interessi periodicamente maturati e contabilizzati sul conto corrente bancario sono illiquidi e inesigibili. Deduce che nei rapporti bancari è inapplicabile l’articolo 1831 c.c., che disciplina il conto corrente ordinario, non richiamato dall’articolo 1857 c.c., ed i due rapporti sono diversi per struttura e funzione che nel conto corrente bancario, è conto di chiusura anche l’estratto conto periodicamente inviato al cliente quando v’è il riferimento alle partite di dare ed avere che hanno condotto a quel risultato, e che la mancata contestazione dei saldi periodici è sufficiente a ritenere liquidi ed esigibili gli interessi. Rileva che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della specifica pattuizione di cui all’articolo 8 delle lettere-contratto sulla capitalizzazione trimestrale clausola che, se pur nulla, indica che la volontà delle parti è per la debenza degli interessi alla fine di ogni trimestre. Aggiunge che gli interessi sul capitale corrispettivi rientrano nei frutti civili ex articolo 823,3 c.c., maturano giorno per giorno e la scadenza è annuale ex articolo 1284 c.c., e che l’imputabilità delle rimesse prima agli interessi e poi al capitale si giustifica nel caso anche alla luce della disciplina contrattuale del rapporto di conto corrente in contestazione, regolato da un’apertura di credito, da cui emerge l’avvenuta concessione di una scopertura, il saldo passivo era ampiamente superiore all’affidamento, e nel caso la scadenza era trimestrale, come emerge dalla chiusura contabile con tale cadenza. 2.1.- Il primo motivo deve ritenersi infondato. L’articolo 1194 c.c., al 1 comma dispone che Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore. Detto disposto normativo, che detta il principio, secondo il quale ogni pagamento deve essere imputato prima al capitale e successivamente agli interessi, salvo il diverso accordo con il creditore, postula che il credito sia liquido ed esigibile,dato che questo, per la sua natura, produce gli interessi, ex articolo 1282 c.c Come infatti ritenuto nelle pronunce 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009, la disposizione dell’articolo 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili e pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione, giudiziale o negoziale non sono imputabili agli interessi ma al capitale. Si è invece pronunciata per l’applicazione dell’articolo 1194 c.c. pur in mancanza della liquidità del credito per interessi la sentenza 3748/2005, nel caso del risarcimento del danno da parte dell’assicuratore della R.C.A. al danneggiato, e nell’ipotesi di versamenti di somme in acconto compiuti in favore di costui nel corso del processo di liquidazione, rilevando che, trattandosi di pagamento parziale che il creditore potrebbe legittimamente rifiutare, questi, ove costretto a subire anche la diversa imputazione operata dal debitore, perderebbe il beneficio dell’ulteriore fruttificazione del proprio capitale, da cui l’erroneità dell’interpretazione che rinviene il presupposto applicativo del detto articolo 1194 nella contemporanea liquidità del credito per capitale e di quello per accessori, sia perché nulla di simile è dato arguire dalla lettera della disposizione in parola, sia perché, essendo quest’ultima posta a tutela dell’interesse del creditore, essa non può risolversi - rettamente intesa la sua portata applicativa - in un pregiudizio per quest’ultimo sol perché il suo credito risarcitorio è, per definizione e senza sua colpa , illiquido fino alla sentenza che lo converte in obbligazione pecuniaria in senso conforme, la successiva sentenza 2270/06 . In senso contrario, si è espressa la pronuncia 12725/07, nel caso del versamento della provvisionale effettuato nel corso del processo a favore del danneggiato per il danno biologico derivatogli dall’illecito da circolazione stradale, riaffermando il principio secondo cui l’articolo 1194 c.c. presuppone l’esistenza di un debito pecuniario già certo ed esigibile, mentre nella specie il debito di valore determinato dall’illecito non è valutabile sino al tempo della liquidazione del danno ovvero della sua identificazione, come danno biologico, in base ad un punteggio che ne consenta la valutazione in equivalente pecuniario. Tornando al caso che qui interessa, deve rilevarsi che, fondamentalmente, le operazioni di prelievo e versamento, all’interno dell’unitaria struttura del rapporto di conto corrente bancario, non configurano distinti ed autonomi rapporti di debito e credito reciproci tra banca e cliente, in relazione ai quali, nel corso dello svolgimento del rapporto, si possa configurare un credito della banca a fronte del quale il pagamento del cliente debba essere imputato in conto interessi. Se tale è l’assunto di fondo, va osservato che la sentenza delle S.U. 24418/2010, pronunciandosi sulla decorrenza della prescrizione della domanda di restituzione delle voci indebitamente percepite dalla banca, ha chiaramente rilevato che, se al conto accede l’apertura di credito bancario ex articolo 1842 e ss., e se il correntista, durante lo svolgimento del rapporto, ha effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, questi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti,ove si tratti di versamenti su conto cd. scoperto, quando cioè siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento o su conto in passivo a cui non acceda l’apertura di credito , mentre negli altri casi nei quali il passivo non superi l’affidamento, i versamenti fungono da atti ripristinatori della provvista di cui il correntista può ancora godere. In aderenza a detti principi, potrebbe quindi ritenersi la simultanea ricorrenza dell’esigibilità e liquidità di capitale ed interessi per il credito che superi il fido e per i relativi interessi, rimanendo differita tale simultaneità per il credito entro il fido al saldo di chiusura del rapporto e dell’apertura di credito, e la ricorrente ha richiamato tale giurisprudenza, ritenendola applicabile nel caso, trattandosi di conto corrente pacificamente affidato così esplicitamente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., ove la parte si limita del tutto labialmente e genericamente a rilevare che nessuna contestazione è stata sollevata a riguardo dalla controparte e che la circostanza risulterebbe anche dalla C.T.U. trattasi però di questione di fatto che non risulta dalla sentenza impugnata, né la ricorrente ha indicato quando e con quale atto avesse fatto valere detta circostanza nel giudizio di merito. Come tale, il riferimento al conto affidato introduce un fatto nuovo, inammissibile in questa fase del giudizio. 1.2.- Col secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1346, 1362, 1367 c.c., 117, 4 comma, d.lgs. 385/93, 25, 1 e 2 comma, d.lgs. 342/99, 2 bis 1.2/09 e 2 d.l. 78/09, nonché il vizio di motivazione per l’esclusione della commissione di massimo scoperto, pattuita nelle lettere contratto del 18/12/1986 e 16/1/1987, con la specifica determinazione della percentuale di calcolo e periodicità di capitalizzazione. 2.2.- Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza. La Corte d’appello, infatti, ha riconosciuto la debenza della commissione di massimo scoperto, specificamente pattuita, ma ha ritenuto nulla la capitalizzazione trimestrale, richiamando la giurisprudenza di legittimità che vieta la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi bancari, nonché l’inapplicabilità della disciplina dell’anatocismo fuori dal caso di cui all’articolo 1283 c.c., rilevando che così operando, nel calcolo del tasso debitorio applicato dalla banca al rapporto di conto corrente verrebbe a risultare ricompresa anche la commissione m.s. . E la ricorrente non si è confrontata nel motivo con la specifica motivazione resa dalla Corte d’appello sul punto. 1.3.- Col terzo motivo, Sicilcassa si duole della violazione e falsa applicazione degli articolo 1321, 1322, 1372, 1362 e 1367 c.c. e del vizio di motivazione, per il mancato riconoscimento del tasso convenzionale degli interessi sostiene che contraddittoriamente il Giudice di primo grado ha riconosciuto corretto il calcolo con gli interessi convenzionali alla data del 31/3/94 mentre per il periodo dal 1/4/94 ha disposto il calcolo con gli interessi legali. 2.3.- Il motivo, formulato per l’ipotesi di accoglimento del ricorso tant’è che inammissibilmente le censure sono rivolte verso la sentenza di primo grado , resta assorbito dalla reiezione dei primi due motivi di ricorso. 3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso e va condannata la ricorrente alle spese, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie ed accessori di legge.