Il debito dell’affittuario si compensa con il credito per l’inadempimento del concedente

Il credito vantato dall’affittuario a titolo di risarcimento, per i danni causati dall’inadempimento della concedente, deve essere compensato con quello vantato da quest’ultima, per i canoni scaduti e non pagati. Ciò, perché si tratta di titoli diversi, pur premessa la unicità della fonte delle reciproche pretese.

Questo il principio enunciato nella sentenza n. 10750 resa in data 25 maggio 2016 dalla III Sezione Civile della Corte di Cassazione, all’esito del gravame interposto dall’affittuaria di un locale, che avanzava poste risarcitorie nei confronti della concedente. Il caso. I fatti risalgono all’anno ’93, quando viene concluso tra le parti in causa un contratto di affitto di un locale, adibito a bar – discoteca, per il quale la concedente aveva garantito l’esistenza di tutte le necessarie concessioni amministrative e la perfetta efficienza degli impianti. Considerati i buoni rapporti esistenti tra le parti, queste avevano stabilito la compartecipazione alle spese per il consumo di energia elettrica, in base al consumo presunto della discoteca, di volta in volta quantificato dalla concedente. A titolo di deposito cauzionale, l’affittuaria aveva inoltre versato la somma di 6 milioni di lire e rilasciato in garanzia 3 effetti cambiari, per un totale di 55 milioni di lire. A distanza di poco tempo, tuttavia, il soffitto della discoteca cedeva rovinosamente, a causa di infiltrazioni di acqua provenienti dal locale sovrastante iniziati i lavori di sistemazione dell’impianto elettrico, questo era risultato non a norma, tanto che la ditta incaricata aveva sospeso l’attività per inadempimento della concedente. In conseguenza, la discoteca era rimasta chiusa per diversi giorni ma, ciononostante, aveva continuato a corrispondere i canoni. Nell’anno 1996, tuttavia, constatato che la concedente persisteva nel rifiuto alla regolarizzazione degli impianti, che il consumo effettivo di energia elettrica era minore rispetto alle somme richieste dalla suddetta e che continuavano a verificarsi episodi di mancanza di elettricità, durante alcuni eventi musicali, l’affittuaria segnalava gli accaduti alla Prefettura, la quale dichiarava l’inagibilità dei locali, costringendo l’esponente a cessare l’attività. Ciò posto, i titolari della discoteca agivano in giudizio per il riconoscimento degli ingenti danni subiti, dei quali chiedevano il ristoro, in uno con la restituzione dei titoli cambiari rilasciati in garanzia la locatrice si costituiva chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino alla data prevista dal contratto. Il giudice di primo grado accoglieva la sola domanda di restituzione dei titoli cambiari e dichiarava integralmente compensate le reciproche ragioni di credito dello stesso avviso risultava la pronuncia della Corte di appello perugina, adita in sede di gravame. Avverso la pronuncia di appello è stato formulato ricorso in Cassazione ad opera della conduttrice, cui ha resistito con controricorso la concedente proponendo, a sua volta, ricorso incidentale. Le impugnazioni sono state riunite ed esaminate congiuntamente, ma dichiarate entrambe infondate. Compensazione dei crediti reciproci. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1242, comma 2, c.c. per la compensazione dei crediti reciproci ma la Corte ha confermato, in toto, l’impianto motivazionale della sentenza di merito, ritenendo che le suddette poste, pur avendo il loro comune presupposto nel contratto di affitto, non potevano ritenersi derivanti da un unico rapporto, risultando diversi gli elementi costitutivi delle rispettive pretese titolo contrattuale, l’una, speculare titolo aquiliano, l’altra. Conseguentemente, risultava inapplicabile anche la prescrizione del diritto al pagamento dei canoni scaduti, invocata dalla affittuaria, versandosi in ipotesi di compensazione legale, operante, come noto, con effetto ex tunc , dal momento della coesistenza delle rispettive ragioni di credito. Con il secondo motivo è stata lamentata la erronea quantificazione del risarcimento dei danni da mancato guadagno ma, allo stesso modo, la Suprema Corte ha ritenuto infondata la doglianza poiché, a fronte dell’incertezza dei dati forniti dalla ricorrente, i giudici dell’appello hanno assunto a riferimento precisi canoni e criteri logici. Per le stesse ragioni mancanza di adeguate prove , inoltre, sono stati rigettati anche il terzo ed il quarto motivo di gravame, con il quale erano stati denunciati la violazione dell’art. 1617 c.c. e l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Infine, la Corte ha rigettato anche l’unico motivo fondante il ricorso incidentale, volgendo sulla disposta compensazione delle reciproche ragioni di credito delle parti, per quanto osservato in sede di esame del primo motivo del ricorso principale. In tal modo, entrambi i ricorso sono stati respinti e dichiarate compensate le spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 ottobre 2015 – 25 maggio 2016, n. 10750 Presidente Amendola – Relatore Travaglino I fatti Nell’ottobre del 2003 la ditta Enigma s.a.s. di M.C. convenne dinanzi al Tribunale di Spoleto la s.r.l. Alta Valnerina, esponendo Che, in data 6 ottobre 1993, aveva stipulato un contratto di affitto di un bar-discoteca di proprietà della convenuta - Che la concedente aveva garantito l’esistenza di tutte le concessioni necessarie per l’esercizio dell’attività e lo stato di perfetta efficienza degli immobili, degli impianti e delle attrezzature - Che era stato concordato tra le parti il pagamento delle spese di straordinaria amministrazione a carico della concedente - Che, quanto all’energia elettrica, considerati i buoni rapporti tra le parti, si era verbalmente convenuto la concorrenza al relativo pagamento, da parte dell’affittuaria, in base al consumo presunto della discoteca, di volta in volta quantificato dalla concedente poiché i locali del supermercato posti al piano superiore, anch’essi di proprietà dell’Alta Valnerina, costituivano un unico complesso immobiliare servito da un’unica cabina Enel, con un unico contratto di fornitura Che, a titolo di deposito cauzionale, l’affittuaria aveva versato la somma di sei milioni di lire, rilasciando altresì in garanzia 3 effetti cambiari, per un importo complessivo di 55 milioni di lire - Che, nell’avviare l’attività commerciale, essa esponente aveva, dopo poco, sostituito a proprie spese parte delle attrezzature e degli accessori della discoteca - Che il 7 ottobre del 1995, a causa di infiltrazioni d’acqua provenienti dai soprastanti locali del supermercato, il soffitto della discoteca aveva improvvisamente ceduto, impedendo il prosieguo dell’attività - Che, iniziati i lavori di sistemazione - in essi compresi la revisione dell’impianto elettrico, risultato non a norma - la discoteca era rimasta chiusa per 30 giorni - Che i canoni d’affitto erano stati, ciò nonostante, regolarmente corrisposti alla proprietaria, mentre essa esponente si era fatta carico dell’acquisto delle necessarie apparecchiature suono e luce Che, alla fine di novembre del 1995, la ditta incaricata dalla concedente di procedere alla revisione dell’impianto elettrico aveva sospeso i lavori per inadempimento della predetta, evidenziando la non conformità alla legge dell’impianto stesso - Che essa esponente, regolarmente adempiente alla propria obbligazione di pagamento del canone, aveva riaperto i locali nel dicembre del 1995 - Che, nel prendere visione delle bollette Enel relative al periodo gennaio-febbraio 1996, aveva constatato l’incompatibilità delle relative cifre con il consumo effettivo relativo alla discoteca - Che, nel marzo del 1996, a fronte dell’inadempimento della ditta concedente in ordine alla sistemazione dell’impianto elettrico, aveva sospeso il pagamento del canone, così che quest’ultima aveva avviato una procedura di sfratto per morosità, conclusasi con la revoca della convalida concessa dal tribunale di Spoleto - Che, nelle more, si erano verificati altri episodi impeditivi del corretto funzionamento della discoteca, quali la mancanza di energia elettrica interrotta per fatto della Alta Valnerina in occasione di un evento musicale - Che, alla vigilia del ferragosto del 1996, la fornitura dell’energia elettrica era stata nuovamente interrotta per morosità della concedente - Che, su segnalazione di quest’ultima, la Prefettura di Perugia aveva dichiarato, nel dicembre dello stesso anno, l’inagibilità dei locali, costringendo essa esponente ad abbandonarli definitivamente e a cessare l’attività - Che, conclusosi ilo procedimento di sfratto, aveva agito per il risarcimento dei danni, attivando la procedura di arbitrato come da contratto, conclusasi con la declinatoria della propria incompetenza da parte del collegio - Che i ripetuti e gravi inadempimenti dell’Alta Valnerina avevano causato ad essa affittuaria ingentissimi danni quantificati al folio 6 della sentenza d’appello , dei quali si chiedeva il risarcimento, in uno con la restituzione dei titoli cambiari rilasciati in garanzia. La società convenuta, contestata in rito e in merito la domanda attrice, ne chiese, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino alla data prevista dal contratto. Il giudice di primo grado, accogliendo la sola richiesta attorea di restituzione dei titoli cambiari, respinse ogni altra domanda, dichiarando integralmente compensate le reciproche ragioni di credito. La corte di appello di Perugia, investita delle impugnazioni hinc et inde proposte dalle parti, le rigettò. Per la cassazione della sentenza della Corte perugina la Enigma s.a.s.ha proposto ricorso sulla base di 4 motivi di censura. Resiste la Alta Valnerina con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale. Le ragioni della decisione I ricorsi devono essere riuniti. Essi sono entrambi infondati. Il ricorso principale Con il primo motivo , si denuncia violazione e falsa applicazione dell’artt. 1242 comma 2 c.c. per la compensazione dei crediti reciproci. Il motivo è privo di pregio. Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel contratto di affitto, non potevano peraltro ritenersi derivanti da un unico rapporto, risultando diversi gli elementi costitutivi delle rispettive pretese derivanti, l’una, da un titolo contrattuale, l’altra da uno speculare titolo aquiliano . La decisione - conforme a diritto -, nella parte in cui pone in luce la diversità dei titoli, pur premessa la unicità della fonte delle reciproche pretese, si sottrae alle censure mosse in parte qua dalla ricorrente, cui non giova il richiamo contenuto al folio 12 dell’odierno atto di impugnazione alla giurisprudenza di questa Corte, predicativa dell’inapplicabilità dell’istituto della compensazione Cass. 2171/1997 18498/06 in presenza di un medesimo rapporto, poiché quella giurisprudenza si riferisce a rapporti pur sempre e solo contrattuali, benché diversi, con riguardo alle rispettive ragioni di credito, quanto al relativo petitum sostanziale - risarcitorio da inadempimento contrattuale - restitutorio da mancato pagamento . Conseguentemente inapplicabile risulta, nella specie, la pur invocata prescrizione del diritto al pagamento dei canoni d’affitto avanzata dall’affittuaria nel giudizio di merito, versandosi in ipotesi di compensazione legale, operante, come è noto, con effetto ex tunc, dal momento della coesistenza delle rispettive ragioni di credito. Con il secondo motivo , si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 74 T.U.I.R. e dell’art. 1223 c.c Il motivo con il quale si lamenta la erronea quantificazione del risarcimento dei danni da mancato guadagno, accertata in sede di merito nella misura 40 milioni di lire anziché dei 144 richiesti in prime cure, e oggi indicati in 500 milioni a questa Corte - è infondato. Con motivate argomentazioni, la Corte di appello, a fronte dell’incertezza dei dati forniti dalla ricorrente, ha assunto a parametro di riferimento, sia pur predicandone la indicatività, l’avviso di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria per l’anno 1994, sottolineando, di converso, la mancata produzione delle dichiarazioni Irpeg e Iva da parte della Enigma, il cui assunto relativo alla capitalizzazione dei costi pluriennali e all’incremento di reddito all’esito dell’ammortizzazione dei costi per gli acquisti viene correttamente ritenuto non condivisibile dalla Corte territoriale attesa la natura dell’attività esercitata e delle attrezzature utilizzate, destinate a veloce obsolescenza sotto il profilo dell’attualità e della produttività onde la necessità di procedere a nuovi e assai costosi acquisti per rimanere sul mercato . Con il terzo motivo , si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1617 c.c. erronea valutazione delle istanze istruttorie ed erronea quantificazione del danno subito dalla Enigma. La doglianza - che lamenta l’erroneo richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, all’art. 1622 c.c., in luogo dell’art. 1617 stesso codice, disciplinante gli obblighi gravanti sul locatore non può essere accolta. La Corte territoriale, difatti, ha motivato la propria pronuncia in parte qua a conferma della sentenza di primo grado ritenendo il danno da infiltrazioni d’acqua non ingente specificando che, in mancanza di adeguata documentazione e dunque della relativa prova circa il costo dei lavori la liquidazione non poteva che risultare meramente equitativa aggiungendo ancora che il richiamo all’art. 1622 c.c. era da ritenersi operato al rifacimento del pavimento e di parte dell’impianto elettrico, trattandosi di lavori di ammodernamento funzionali alla maggiore e migliore produttività dell’azienda, e non strettamente indispensabili ritenendo infine - quanto al danno da sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica e da eccessiva partecipazione alle spese per la relativa fornitura - che la somma liquidata in via equitativa apparisse del tutto congrua, attesa la non sufficiente consistenza delle prove addotte dall’appellante, con particolare riguardo a quella relativa all’energia utilizzata dai singoli operatori la cui congruità veniva desunta dall’avere l’odierna ricorrente sempre pagato le somme richieste pur conoscendo il consumo complessivo ed avendo più volte partecipato alla lettura del contatore, e non avendo fornito idonea prova a sostegno della domanda di ripetizione di indebito . Trattasi di valutazione di mero fatto, scevra, sul punto, da vizi logico-giuridici, come tale sottratta a qualsiasi nuova valutazione, sul piano del merito, in sede di legittimità. Con il quarto motivo , si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La censura - con la quale si lamenta il mancato riconoscimento dell’indennizzo di cui agli artt. 2561, 2562 c.c. in relazione ai numerosi acquisti di arredi ed apparecchiature - è infondata. La Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento non già sull’esclusione della circostanza degli acquisti oggi nuovamente rappresentata a questo giudice, bensì sull’impossibilità di valutare l’entità della differenza tra le rispettive consistenze dell’inventario iniziale e di quello finale, e sulla carenza di valida prova relativa al valore dell’avviamento - della quale l’odierna ricorrente chiede, in sede di legittimità, una rivalutazione in punto di merito, affermando senza peraltro offrirne dimostrazione e senza richiamare, nell’esposizione del motivo, il momento processuale nel quale la questione sarebbe stata tempestivamente introdotta ed illegittimamente disattesa, in spregio al principio dell’autosufficienza del ricorso che quest’incremento sarebbe stato pari al 40%. Il ricorso incidentale. Con l’unico motivo , si denuncia l’erroneità della pronuncia della Corte territoriale con riferimento alla disposta compensazione delle reciproche ragioni di credito, con argomentazioni non dissimili rispetto a quelle svolte dalla ricorrente principale. Il rigetto della censura trae fondamento da quanto osservato in sede di esame del primo motivo del ricorso principale. I ricorsi sono, pertanto, entrambi rigettati. Le spese del giudizio vanno compensate, attesa la reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi, e dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione.