Il comportamento delle parti non può modificare l’assetto contrattuale

Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti ex art. 1362 c.c., il primo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dal senso letterale delle parole ed espressioni del contratto, coordinato con l'elemento logico. Il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto che può assumere rilievo in sede di interpretazione di quest'ultimo, o di una sua clausola, è solo quello posto in essere in esecuzione ed in riferimento a quel contratto, e non, quindi, un comportamento che si estrinsechi in ulteriori accordi modificativi dei precedenti, dai quali deriva un assetto negoziale autonomo e distinto, fonte di nuovi diritti ed obblighi contrattuali.

Con la pronuncia n. 4832/16, depositata l’11 marzo, il S.C. affronta la questione relativa ai criteri di interpretazione di un contratto, applicando la regola di cui all’art. 13262 c.c., in particolare, ad una ipotesi di contratto preliminare non seguito dalla stipula del contratto definitivo, con conseguente pendenza giudiziaria per l’accertamento della responsabilità delle parti contrattuali. Il caso. Con la sentenza in commento il S.C. risolve, confermando la decisione della Corte territoriale, una questione in tema di interpretazione di un contratto preliminare di compravendita, al quale non ha fatto seguito la stipula del contratto definitivo. In particolare, il ricorrente – promissario acquirente – ha contestato la vigenza della penale e, del pari, l’attribuzione a sè della responsabilità per la mancata stipula, sul rilievo che avrebbe comunque versato l’intero prezzo pattuito. La Cassazione, al riguardo, ha pienamente confermato l’interpretazione data alla vicenda dai giudici di merito, segnalando che le contestazioni mosse dal ricorrente – sia sulla clausola penale sia sullo svolgimento dei fatti – non appaiono corredate dalle regole ermeneutiche che si assumono violate, con conseguente necessità di rigettare il ricorso così come definito. Interpretazione dei contratti la regola generale. In tema di interpretazione dei contratti, come richiamato dal S.C. nella sentenza in commento, l'art. 1362 c.c., pur prescrivendo all'interprete di non limitarsi, nell'attività di ermeneutica negoziale, all'analisi del significato letterale delle parole, non relega tale criterio al rango di strumento interpretativo del tutto sussidiario e secondario, collocandolo, al contrario, nella posizione di mezzo prioritario e fondamentale per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, con la conseguenza che il giudice, prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, è tenuto a fornire compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale, a meno che tale equivocità non, risulti, ictu oculi , di assoluta, non contestabile evidenza. Interpretazione del contratto e ruolo del giudice di merito. L'interpretazione del contratto, infatti, rientra nella competenza istituzionale del giudice di merito, il quale deve, in tale attività, seguire la gradualità dei criteri stabiliti dall'art. 1362 c.c., così che, ove ritenga di aver ricostruito la volontà delle parti sulla base delle espressioni letterali usate, non ha l'obbligo di fare ricorso ai criteri sussidiari, la cui adozione è legittima e necessaria solo quando l'interpretazione letterale dia adito a dubbi. Interpretazione del contratto e valutazione del comportamento delle parti. Tra l’altro, nell'interpretazione dei contratti è possibile fare ricorso al criterio della valutazione del comportamento complessivo solo quando il criterio letterale e quello del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati all'accertamento della comune intenzione delle parti. Volontà comune e forma scritta dei contratti. Poste le premesse di cui sopra, la Cassazione continua precisando che per i contratti per i quali è prescritta la forma scritta ad substantiam la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma per tutti gli elementi essenziali e pertanto l'oggetto di esso deve esser almeno determinabile in base ad elementi risultanti dall'atto stesso e non aliunde , non potendo a tal fine applicarsi il capoverso dell'art. 1362 c.c., a norma del quale l'intenzione dei contraenti può esser desumibile anche dal loro comportamento complessivo, posteriore alla conclusione del contratto, nè l'art. 1371 c.c., norma di chiusura rispetto alla predetta. In altri termini, nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam , il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare la formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo. Per tale ragione il S.C. non attribuisce alla condotta del promissario acquirente particolare rilevanza, dovendosi invece valutare, prima di ogni altra cosa, il contratto stipulato tra le parti Ricorso per Cassazione ed interpretazione del contratto. In conseguenza di quanto sopra riferito e che la Cassazione ha ben richiamato in diversi passaggi della sentenza in commento, la parte che con il ricorso per cassazione intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nella interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., in quanto gravata dall'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto e le modalità nei quali il giudice di merito si sia agli stessi discostato, deve ritenersi applicabile anche in relazione al controricorso. Non può il ricorso, quindi, risolversi nella mera contrapposizione tra la interpretazione del ricorrente e quella accolta nella pronuncia gravata, dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati dalla trascrizione delle clausole che consentano di individuare la effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare la erronea applicazione della disciplina normativa.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 febbraio – 11 marzo 2016, n. 4832 Presidente Bianchini – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione del 3.4.2003 srl Ulisse 2000 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Trento F.O. esponendo di aver stipulato preliminare di vendita 1.12.1995 relativo a dieci autorimesse che questi si era obbligato ad acquistare per il prezzo di lire 250.000.000 contestualmente pagato oltre IVA ed accessori di essere stata prevista la stipula del definitivo non appena ultimato il frazionamento e l’accatastamento, verosimilmente entro il 28.2.1996 e comunque entro il 30.11.1996, con pattuizione, in caso di inosservanza di tale termine, di penale pari a lire 100.000 al giorno di essere il frazionamento stato eseguito l’11.7.1996 di avere invitato il F. con lettera 26.11.1996 al rispetto degli impegni, con ulteriore diffida 23.4.2002 senza esito. Chiedeva il pagamento della penale ed il trasferimento ex art. 2932 cc condizionandone l’efficacia al pagamento di vari importi, ovvero, in via subordinata, i danni. Il convenuto chiedeva il rigetto deducendo l’inadempimento della promittente venditrice e l’inoperatività della penale di cui, comunque, chiedeva la riduzione ed in sede di conclusioni la risoluzione per inadempimento dell’attrice, i danni e la restituzione del prezzo. Il Tribunale trasferiva gli immobili al F. condizionatamente al pagamento di euro 1291,14 oltre interessi e lo condannava al pagamento di euro 25,82 giornalieri dal 1.12.1996, sentenza appellata da F. in via principale e da Ulisse 2000 in via incidentale. La Corte di appello di Torino, con sentenza 25.2.2010, rigettava gli appelli richiamando, rispetto alla doglianza del F. circa la non ultimazione delle autorimesse, la mancata comunicazione dell’accatastamento e del frazionamento, la mancata immissione in possesso, la statuizione del Tribunale secondo cui nel contratto non vi era un obbligo di consegna anticipata rispetto al momento della stipula, il F. doveva prendere in consegna le autorimesse entro 15 giorni dalla comunicazione della loro ultimazione, non vi era un termine per la consegna ma l’obbligo di accettarla al fine di sollevare la venditrice dagli oneri relativi anteriormente al trasferimento, stante anche la possibilità di rivendita a terzi. La Corte territoriale, esaminando i motivi di gravame, richiamava l’art. 7 del contratto ed escludeva un inadempimento di Ulisse 2000 tale da giustificare il rifiuto della stipula, confermava l’operatività della penale. Ricorre F. con otto motivi, illustrati da memoria con produzione di visure, non svolge difese controparte. Motivi della decisione Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 112 cpc circa l’obbligo di pronunziare su tutta la domanda, con quesito. Col secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 1455 cc perché la domanda di F. si fonda sull’inadempimento di Ulisse 2000, accertato dal giudice di appello, con quesito. Col terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cpc per non avere il giudice di appello risposto alla domanda attinente alla mancata esecuzione dei lavori entro il termine previsto, con quesito. Col quarto motivo si denunzia omissione e/o contraddittorietà della motivazione su fatto controverso decisivo per la dichiarata equipollenza tra comunicazione del termine dei lavori e richiesta di procedere al rogito, con quesiti. Col quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 1460 e 1382 cc in ordine all’affermazione che gli inadempimenti di Ulisse 2000 sarebbero inconferenti ad escludere la penale. Col sesto motivo si deduce omessa e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in ordine all’interpretazione della seconda parte dell’art. 7 del preliminare e dei connessi artt. 3 e 3/3. Col settimo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cpc in ordine all’assunta genericità della doglianza relativa alla riduzione della penale. Con l’ottavo motivo si denunzia violazione dell’art. 1384 cc in ordine all’effettiva incidenza sull’equilibrio delle prestazioni. Le censure non meritano accoglimento. La Corte di appello ha interpretato il contratto, valutato comparativamente il comportamento delle parti ed escluso l’inoperatività della penale. Ciò premesso le plurime censure di violazione dell’art. 112 cpc omettono di riportare analiticamente domande ed eccezioni proposte in primo grado ed in appello non mettendo questa Corte nella condizione di valutarne la decisività e si traducono in affermazioni assiomatiche mentre le altre doglianze richiedevano denunzia ex art. 1362 cc in ordine ai criteri ermeneutici violati. Premesso che i quesiti non sono necessari, ratione temporis, trattandosi di sentenza successiva al 4.7.2009, va rilevato che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità e pluribus Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753 . Né può utilmente invocarsi, come sembra, la mancata considerazione del comportamento delle parti. Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo comma dell’art. 1362 CC - eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito - onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti - ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive - detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 CC, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389 non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474 . Potrebbe apparire singolare che chi ha pagato quasi interamente il prezzo non sia interessato alla stipula ma la Corte ha valorizzato la circostanza che la previsione di prendere in consegna le autorimesse e di stipulare era dettata dalla necessità di evitare ulteriori oneri al venditore mentre in ordine alla penale va precisato che era già stata ridotta in primo grado e l’appello non forniva argomenti per una ulteriore riduzione. In particolare il primo motivo è generico, il secondo è infondato perché è stato escluso l’inadempimento di Ulisse 2000, il terzo propone una questione nuova, il quarto non considera che la sentenza ha dato risposta adeguata sulla quale si esprime mero dissenso, il quinto propone una diversa valutazione di fatto, il sesto imponeva una rituale impugnazione ex art. 1362 cc sui criteri ermeneutici adottati, il settimo non riporta le censure proposte, l’ottavo è inconferente perché la sentenza invocata, e citata a pagina 26 del ricorso, riguarda una causa di lavoro in cui il datore di lavoro ha investito il TFR del dipendente. In definitiva il ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese in mancanza di difese di controparte in questa sede. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.