Conduttore “cacciato” dall’immobile: nessun risarcimento se ostacola la ristrutturazione del locatore

In tema di locazione, il locatore è obbligato al risarcimento del danno in favore del conduttore se, avendo affermato sotto la propria responsabilità di avere urgente necessità di adibire l'immobile locato ad uso abitativo proprio, del coniuge, dei genitori o dei figli, non adibisca l'immobile stesso a tale uso. Non sussiste la responsabilità del locatore qualora la mancata adibizione dell’immobile alla destinazione indicata nella comunicazione di diniego di rinnovo del contratto sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni e situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la pronuncia del 21 gennaio 2016, n. 1050. Il caso. La vicenda decisa dal S.C. ha origine dall’azione risarcitoria avviata dal conduttore di un immobile nei confronti del locatore, che avrebbe negato il rinnovo alla prima scadenza contrattuale ma, successivamente, non avrebbe adibito l’immobile a propria abitazione, come indicato nella comunicazione di recesso. Accolta in primo grado, la domanda viene rigettata in appello sul rilievo che sarebbe stata proprio la condotta del conduttore, in sede giudiziaria di opposizione al rilascio, ad aver ritardato i lavori di ristrutturazione, con conseguente non imputabilità al locatore di tale ritardo. Tale prospettazione viene confermata anche dalla Cassazione, che rigetta, quindi, il ricorso del conduttore. Locazione e diniego di rinnovo alla prima scadenza. Secondo la previsione normativa di cui all’art. 3 della l. n. 431/98, affinché il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, non è necessario che egli fornisca la prova dell'effettiva necessità di destinare l'immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento del danno, laddove il locatore non abbia, poi, adibito l'immobile all'uso dichiarato nell'atto di diniego del rinnovo, nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità. Quando è possibile il recesso anticipato del locatore? Ai sensi dell'art. 3 della l. n. 431/98, infatti, il locatore può recedere legittimamente dal rapporto locatizio, ogni qual volta si presentino particolari esigenze di carattere personale che appaiono, in base ad un'equa valutazione, meritevoli di protezione secondo la comune esperienza e nel normale svolgimento dei rapporti umani, personali e giuridici. Locazione e funzione del preavviso per il locatore e per il conduttore. Poiché la funzione a cui risponde il preavviso del conduttore è quella di concedere al locatore il lasso di tempo presumibilmente necessario per reperire altro conduttore, senza perdere il diritto al compenso per l'uso dei locali, così come la funzione del preavviso dovuto dal locatore è quella di permettere al conduttore di usufruire del tempo ragionevolmente necessario per reperire altra abitazione, se il conduttore non ha mantenuto il godimento dell'immobile per l'intera durata del preavviso, come avrebbe avuto il diritto di fare, tale sua libera scelta, che non gli consente di pregiudicare l'interesse della controparte a conservare il diritto al compenso per l'intero periodo del mancato preavviso, in mancanza di prova che egli avesse comunque reperito per tempo altro conduttore. Le tutele risarcitorie per il conduttore. Il conduttore al quale il locatore ha rifiutato il rinnovo alla prima scadenza contrattuale è comunque tutelato da azioni pretestuose del locatore stesso attraverso la possibilità, prevista dall'art. 31, della l. n. 392/78 ed, attualmente, dall’art. 3 della l. n. 431/98, di scegliere tra la reintegrazione nel godimento del bene alle condizioni del contratto con l'ulteriore rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri supportati ed il risarcimento del danno, determinato nella entità massima. Nella citata previsione legislativa, pertanto, le spese di trasloco sono tipizzate rispetto all'ipotesi della scelta della reintegrazione nel godimento del bene e partecipano del carattere ripristinatorio in forma specifica del rimedio dell'inadempimento. Il loro normale accedere a questa forma di reintegrazione del conduttore leso non comporta che detto rimborso sia inderogabilmente collegato al ripristino del contratto di locazione. Risarcimento per il conduttore solo se l’inadempimento è imputabile al locatore. Come puntualizzato dalla Cassazione, l'art. 3, comma 5, della l. n. 431/98 prevede, a carico del locatore, il risarcimento dei danni, in forma specifica o per equivalente, a favore del conduttore nel caso in cui detto locatore, avendo ottenuto la disponibilità dell'immobile alla prima scadenza attraverso l'esercizio della facoltà di disdetta, non provveda a destinare lo stesso, nel termine di dodici mesi dall'avvenuta consegna, agli usi per i quali ha richiesto il rilascio. Nell'ambito della suddetta fattispecie risarcitoria, di natura contrattuale, ex art. 3, commi 3 e 5, della citata legge, a cui non può negarsi anche una finalità sanzionatoria, è consentito al locatore, per escludere la sua responsabilità, la prova che il suo inadempimento non ha cagionato alcuna conseguenza pregiudizievole per il conduttore. In altri termini, la responsabilità è esclusa qualora non sia imputabile al locatore stesso, come nel caso di specie, nel quale i giudici di merito hanno stabilito che la mancata destinazione dell’immobile alle finalità indicate nel recesso erano da imputarsi alla condotta del conduttore il quale aveva avviato in sede giudiziaria un giudizio di opposizione al rilascio . Spese per il trasloco come risarcimento per il conduttore. Le forme risarcitorie di cui sopra non sono, peraltro, le uniche. Può anche essere prevista una diversa voce di risarcimento, a titolo di danno patito, con riferimento, ad esempio, alle spese di trasloco. L'allegazione da parte del danneggiato delle spese sopportate per il trasloco diventa, pertanto, nell'ambito della domanda di risarcimento del danno, uno dei modi di prova della precisa entità del danno subito. Nessun sanzione per lo scioglimento consensuale del contratto. La speciale sanzione prevista dall'art. 3, comma 5, della l. n. 431/98 per l'ipotesi in cui il locatore receda dal contratto di locazione adducendo l'esigenza di destinare l'immobile a propria abitazione, senza destinare l'immobile a detta finalità, non si applica in caso di scioglimento consensuale del contratto. Sanzioni per il locatore ed interpretazione restrittiva della legge. Il carattere sanzionatorio dell'art. 3, comma 1, l. n. 431/98 implicando che - ai sensi dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile - deve avere un'applicazione restrittiva, potendo trovare ingresso solo quando la risoluzione della locazione sia avvenuta per il recesso tipizzato dall'anzidetta norma, alla prima scadenza del contratto, e comporta che a tal fine va esaminato sul piano ermeneutico il contenuto della disdetta intimata dal locatore per verificare se ricorra o meno il recesso tipizzato dal legislatore posto a fondamento della relativa domanda.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 novembre 2015 – 21 gennaio 2016, n. 1050 Presidente Spirito – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. Nel 2009, R.A. adì il Tribunale di Savona, Sezione Distaccata di Albenga, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., per ottenere la condanna di Ro.Ar. al risarcimento di cui all'art. 3, commi 3 e 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431. Espose la ricorrente che aveva condotto in locazione un immobile ad uso abitativo di proprietà del resistente in forza di contratto stipulato nel 2002 e alla scadenza del primo quadriennio, il locatore aveva instaurato un giudizio per il rilascio dell'immobile, al fine di eseguire nello stesso immobile i lavori di ristrutturazione di cui al permesso di costruire rilasciato dal Comune di Albenga in data 8/6/2006. Tale giudizio era stato definito con l'accoglimento della domanda attorea e la condanna al rilascio dell'immobile locato entro la data del 31/12/2007. Ma la R. dopo aver rilasciato l'immobile in data 14/12/2007 era venuta a conoscenza della circostanza che l'immobile in questione era stato occupato da altre persone sin dall'inizio del 2008 senza che i lavori fossero stati eseguiti e che il signor Ro. , dopo aver richiesto una proroga del permesso di costruire, rifiutata dal Comune, non aveva ulteriormente coltivato tale pratica. Il Ro. si difese allegando di aver legittimamente esercitato il diritto di diniego del rinnovo del contratto di locazione, avendo ottenuto dal Comune di Albenga idonea autorizzazione per la ristrutturazione dell'immobile locato ed avendo provveduto a versare gli oneri di urbanizzazione richiesti. Ma che solo a causa dell'infondata opposizione della conduttrice non era stato possibile iniziare i lavori nel termine annuale di efficacia del permesso di costruire. E pertanto le sanzioni previste dall'art. 3 della legge n. 431/1998 non erano applicabili quando, come nella specie, la mancata esecuzione dei lavori non era dovuta a colpa del locatore. In via riconvenzionale, il resistente chiese la condanna della R. al risarcimento dei danni ed al rimborso delle spese sostenute per l'ottenimento del permesso di costruire, al pagamento del canone relativo ai mesi di novembre dicembre 2007, nonché al risarcimento dei danni subiti per la perdita del vantaggio economico nascente dal frazionamento dell'immobile. Il Tribunale di Savona — Sezione Distaccata di Albenga, con la sentenza n. 122/2011, pronunciata ai sensi dell'art. 281 sexies, nel merito, accolse la domanda risarcitoria della R. , rilevando che non costituiva causa esimente dalla responsabilità prevista dal comma quinto dell'art. 3 della legge n. 431/1998 il fatto che la P.A. non avesse concesso la proroga del permesso di costruire già scaduto poiché il Ro. avrebbe potuto richiedere entro l'anno dal rilascio un nuovo permesso di costruire, benché con procedura più onerosa, mentre il resistente non aveva in alcun modo giustificato l'omessa richiesta di un nuovo permesso, né dedotto alcun elemento ostativo al suo rilascio. Condannò quindi il signor Ro. al pagamento della somma di Euro 18.592,20, pari a 36 mensilità del canone di affitto, oltre rivalutazione ed interessi. 2. La decisione è stata riformata dalla Corte d'Appello di Genova, con sentenza n. 1021 del 26 ottobre 2012. A differenza del giudice di prime cure, la Corte ha ritenuto che la mancata realizzazione dell'intervento edilizio nel termine di efficacia del permesso di costruire fosse derivata esclusivamente dalla condotta della conduttrice che non rilevava la mancata richiesta di un nuovo provvedimento autorizzativo, poiché l'intervento edilizio, come riconosciuto dalla sentenza del Tribunale e non contestato da controparte, era divenuto ormai eccessivamente oneroso e quindi antieconomico che la sanzione derivante dalla mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato in funzione del rilascio non è connessa ad un criterio di responsabilità oggettiva, ma si verifica nel caso in cui il locatore non dimostri l'esistenza di ragioni meritevoli di tutela che hanno impedito detto utilizzo che, nel caso, non era nemmeno ipotizzabile un addebito di colpa nei confronti del locatore per non aver richiesto la proroga del termine di inizio dei lavori anteriormente alla scadenza del termine stesso, attesa la pendenza, in tale periodo, della controversia sul rilascio, della quale non era prevedibile la durata. 3. Avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione la signora R.A. sulla base di 3 motivi illustrati da memoria. 3.1. Resiste con controricorso il signor Ro.Ar. . Motivi della decisione 4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 3, comma 5, L. 9/12/1998 n. 431 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. . Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello, ravvisando nella condotta della conduttrice, che si era opposta in sede giurisdizionale all'esercizio di diniego di rinnovazione alla prima scadenza, la causa della sopravvenuta decadenza del permesso di costruire, avrebbe violato o comunque falsamente applicato l'art. 3, comma 5, della L. 431/1998, che attribuisce al conduttore il diritto al ripristino o al risarcimento anche nel caso di riacquisto della disponibilità dell'alloggio a seguito di qualsivoglia procedura giudiziaria. L'errore della Corte sarebbe reso palese dal richiamo alla giurisprudenza formatasi relativamente agli artt. 29, 30, 31, 59 e 60 della L. 392/1978, nei quali non era inserito il riferimento al riacquisto dell'immobile da parte del locatore con procedura giudiziaria”. Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la sentenza impugnata non ha affatto escluso l'applicazione della disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 3 comma 5 della L. 431/1998 perché il locatore aveva riacquistato l'immobile attraverso una procedura giudiziaria. La sentenza, invece, ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, con riferimento sia all'art. 31 della l. 392/1978, sia all'art. 3, commi 3 e 5, della l. 431/1998, secondo cui le sanzioni previste dalle suddette norme non sono applicabili al locatore qualora la tardiva o la mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato ai fini del rilascio siano in concreto giustificate da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 7 novembre 2014, n. 23794 E, nella specie, la Corte ha ritenuto, con una motivazione scevra di vizi logico-giuridici, che lo stesso locatore non aveva potuto eseguire i lavori di ristrutturazione per i quali aveva legittimamente esercitato la facoltà del diniego del rinnovo entro il termine previsto nel relativo permesso di costruire per ragioni a lui non imputabili. Al contrario, il mancato inizio dei lavori era imputabile proprio alla conduttrice, la quale si era opposta al rilascio infondatamente, come era emerso all'esito del relativo giudizio, conclusosi solo dopo che il termine previsto nel permesso di costruire per l'inizio dei lavori era già scaduto. 4.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 3, comma 2, L. 9/12/1998 n. 431 in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. . La motivazione della Corte d'Appello sarebbe fondata sulla violazione o comunque sulla falsa applicazione dell'art. 3, comma 2 della L. 431/1998, la quale prevede che i termini di validità del titolo edilizio che è condizione di procedibilità dell'azione di rilascio decorrono dell'effettiva disponibilità a seguito del rilascio dell'immobile. Pertanto, nel caso di specie, il locatore avrebbe potuto ottenere ex lege, ai sensi del citato articolo, la proroga dei termini di validità del permesso di costruire, senza nemmeno dover sostenere un aumento degli oneri di urbanizzazione. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Corte d'Appello, la ricorrente avrebbe provveduto a contestare l'asserito incremento di costi conseguenti ad un nuovo provvedimento amministrativo già con la comparsa di costituzione e risposta. Anche questo motivo è infondato. Non rileva, infatti, la circostanza che, in astratto, secondo l'orientamento della giustizia amministrativa riportato dalla ricorrente, il locatore avrebbe potuto ottenere la proroga del permesso di costruire, senza dover sostenere nuovi oneri di urbanizzazione. Ciò che è determinante, invece, è che tale proroga non sia stata concessa al Ro. dalla Amministrazione. 4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio mancata richiesta della proroga del termine per l'inizio dei lavori, attesa la controversia sul rilascio, in relazione all'art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. . La motivazione della sentenza impugnata, nella parte in nega l'addebito di colpa nei confronti del locatore per non aver richiesto la proroga del termine di inizio dei lavori anteriormente la scadenza del termine medesimo, sarebbe contraddittoria ed insufficiente, al punto di risultare in una omissione. Infatti, sarebbe notorio che i lavori debbano essere iniziati entro un anno dal rilascio del permesso costruire e che per richiedere la proroga sia sufficiente consegnare al Comune una documentata istanza prima della scadenza del termine annuale. Inoltre, sarebbe irrilevante la pendenza della controversia per rilascio dell'alloggio atteso che, come detto nel secondo motivo, il termine di validità della concessione dell'autorizzazione e correrebbe dall'effettiva disponibilità a seguito del rilascio dell'immobile. Infine, non sarebbe neppure vero che la durata della controversia non sarebbe stata prevedibile, considerato che il rito locatizio è caratterizzato da una particolare celerità e che, comunque, la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva. In ogni caso, il locatore non avrebbe fornito alcuna prova in ordine all'esistenza di cause meritevoli di tutela che abbiano impedito l'utilizzo dell'immobile secondo quanto richiesto. Al contrario, sin dal primo grado di giudizio, avrebbe riconosciuto che il comune non aveva concesso la proroga del termine annuale di inizio lavori perché la richiesta era stata depositata dopo la scadenza del termine stesso. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata è stata depositata il 26 ottobre 2012. Pertanto, nel giudizio in esame, trova applicazione, con riguardo ai motivi concernenti la denuncia di vizio di motivazione, l'art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ai ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati successivamente alla sua entrata in vigore 11 settembre 2012 . Il nuovo testo del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Scompare, invece, nella nuova formulazione dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, ogni riferimento letterale alla motivazione della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione che pur cambia in buona misura d'ambito e di spessore , non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881 . Alla luce dell'enunciato principio, risulta che la ricorrente, denunciando il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, non ha rispettato i limiti di deducibilità del vizio motivazionale imposti dalla nuova formulazione dell'art. 360, comma 6, n. 5 c.p.c 5. In considerazione delle alterne vicende dell'esito del giudizio di merito sussistono giusti motivi per compensare le spese. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.