Diversa interpretazione delle risultanze processuali: il ricorso per Cassazione è infondato in assenza di specifiche violazioni di legge

In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.

Con la sentenza del 9 ottobre 2015, n. 20346, il S.C. si sofferma sul delicato tema dell’interpretazione del contratto, precisando che non spetta alla Corte sindacare il risultato interpretativo al quale è giunta la corte di merito, qualora siano rispettati i canoni di ermeneutica e di coerenza logica seguiti per giungere a quel determinato risultato ermeneutico. Il caso. La vicenda decisa dal S.C. con la sentenza in commento ha origine dall’azione avviata, ai sensi dell’art. 2932 c.c., dai promissari alienanti di alcune quote di una società, in cambio delle quali avrebbero dovuto ricevere, a saldo, il trasferimento della proprietà di un immobile. Contestualmente alla stipula dell’accordo poc’anzi menzionato, i promittenti acquirenti avevano pattuito l’acquisto di altre quote della medesima società da altri soci e, successivamente, con gli originari alienanti, avevano stipulato una transazione, avendo appurato un diverso valore delle quote societarie rispetto a quello pattuito. In primo grado, i promittenti alienanti formulano domanda ex art. 2932 c.c., che viene accolta ma poi rigettata in appello, sul rilievo, formulato dai promittenti acquirenti, che l’accordo transattivo successivamente stipulato aveva modificato l’accordo originario, soprattutto in ordine al trasferimento dell’immobile a titolo di saldo prezzo. Il S.C. rigetta il ricorso e conferma la sentenza della Corte di Appello, ritenendo valida detta interpretazione, sopratutto alla luce di un esame del dato testuale e della condotta delle parti nella stipula dell’accordo transattivo. Le regole dell’interpretazione criteri soggettivi e criteri oggettivi. Secondo quanto comunemente riferito in dottrina ed in giurisprudenza, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d'essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico. Ne consegue che l'adozione dei predetti criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenuto negoziale mediante l'individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli contemplati nel contratto o mediante l'eterointegrazione dell'assetto negoziale previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro interessi. Interpretazione del contratto e volontà delle parti l’indagine è affidata al giudice di merito. Con specifico riferimento all’indagine da compiersi in punto di interpretazione, si osserva che l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. Il procedimento di interpretazione e qualificazione giuridica del contratto. Più in generale, si suole affermare che due sono le fasi del procedimento di qualificazione giuridica ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti ed inquadramento della stessa nello schema legale corrispondente. Mentre la prima fase si sostanzia in un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale, la seconda fase, concernendo l'applicazione di norme giuridiche, può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento all'individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo. Sindacato di legittimità limiti Le valutazioni del giudice di merito, relativamente all'interpretazione del contratto – secondo le modalità sopra riferite – sono sindacabili limitatamente all'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione. Ai fini della ricerca della comune volontà dei contraenti il principale strumento cui far riferimento, infatti, è il tenore letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle stesse emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa. e contenuti. Il ricorso per cassazione, come anche ampiamente precisato nella sentenza in commento, conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 giugno – 9 ottobre 2015, n. 20346 Presidente Bucciante – Relatore Manna Svolgimento del processo Con scrittura privata del 4.11.1996 V.G. , S. , M. e A. e T.M.V., titolari complessivamente del 55% del capitale sociale della Ates Sud s.r.l., e B.S. e B. e S.G. , proprietari del restante 45%. promettevano di cedere ad G.A. , N.R. e alla Telegi s.r.l., che promettevano di acquistare per sé o persona o società da nominare, le quote di detta società, convenendo tra l'altro che il pagamento del saldo prezzo sarebbe avvenuto mediante il trasferimento alla parte venditrice di un locale posto al piano scantinato di fabbricato sito in XXXX, di proprietà della Telegi s.r.l. Sorte contestazioni sull'effettiva situazione patrimoniale della Ates Sud s.r.l., i V. - T. e i predetti promissari acquirenti, i quali ultimi con separate scritture autenticate nella stessa data del 4.11.1996 avevano acquistato le quote dei B. - S. , stipulavano l'11.5.1999 un contratto di transazione col quale concordavano di transare a stralcio ogni rapporto di dare e avere in merito al 55% del diritto di proprietà del gruppo V. del locale di OMISSIS con un credito a favore del gruppo Telegi di lire 12.000.000 da recuperare all'atto della vendita di quanto verrà realizzato con lo stesso immobile . Con lo stesso atto pattuivano, inoltre, la restituzione da parte dei V. - T. di due cambiali di 25.000.000 ciascuna e la trasformazione del locale anzi detto, i cui costi sarebbero stati ripartiti secondo le rispettive quote di pertinenza. Ciò posto, V.G. , S. , M. e A. e T.M.V. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma G.A. , N.R. e la Telegi s.r.l. per sentir pronunciare sentenza costitutiva ex art. 2932 c.comma del suddetto immobile, oltre al risarcimento dei danni. Resistevano i convenuti, i quali deducevano che con la ridetta transazione gli attori avevano rinunciato definitivamente al trasferimento dell'immobile in loro favore. Chiedevano in via riconvenzionale, quindi, che il saldo prezzo delle quote della Ates Sud s.r.l. fosse accertato nella differenza tra il saldo netto indicato nella scrittura privata del 4.11.1996 e le emerse sopravvenienze passive di detta società. Con sentenza del 19.9.2003 il Tribunale rigettava la domanda di risarcimento del danno, accoglieva quella ex art. 2932 c.comma e trasferiva la quota indivisa del 55% dell'immobile ai V. -T. , senza disporre alcun pagamento di prezzo atteso che il trasferimento di tale fondo era stato contemplato nella scrittura del 1996 come parte del pagamento della già eseguita cessione delle quote della Ates Sud. Avverso detta sentenza G.A. , N.R. e la Telegi s.r.l. proponevano appello, innanzi alla Corte distrettuale di Roma, che con sentenza pubblicata il 1.4.2010, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda ex art. 2932 c.c Riteneva la Corte territoriale, in base alla propria interpretazione degli accordi di cui alle scritture intercorse, che con la transazione dell'11.5.1999 le parti, modificando implicitamente la clausola di cui al punto 10 E della scrittura del 4.11.1996, avevano inteso realizzare in comune l'iniziativa della trasformazione dell'immobile e della successiva sua vendita a terzi. Concludeva, quindi, la Corte territoriale nel modo seguente d eve pertanto tenersi fermo quanto disposto dalle parti nel negozio transattivo, il che esclude l'accoglimento della domanda proposta dai V. ex art. 2932 cod. civ., oltre a precludere - per carenza di interesse - l'accertamento richiesto in via principale dagli odierni appellanti quello richiesto in subordine è inammissibile ex art. 345 c.p.comma perché domanda nuova . Accertamento che non avrebbe comunque potuto essere richiesto dai medesimi in via riconvenzionale, stante la loro costituzione in giudizio in primo grado oltre il termine imposto dall'art. 166 c.p.c. . Per la cassazione di tale sentenza ricorrono V.G. , A. , M. e S. , i primi tre anche in qualità di eredi di T.M.V. , in base a sei motivi. Resistono con controricorso G.A. , N.R. e la Telegi s.r.l Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 1362 e 1350, nn. 1, 4 e 12 c.c., in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c Richiamati a sostegno ampi stralci della decisione di primo grado, parte ricorrente sostiene che la Corte territoriale non ha tenuto conto che la scrittura del 1996 era un atto complesso, contenente la cessione delle quote della Ates Sud e un preliminare di trasferimento della proprietà di un immobile della società Telegi ai - V. - T. . Né ha considerato che se la comune volontà delle parti fosse stata quella di risolvere tali accordi, la scrittura del 1999 sarebbe stata sottoscritta da tutte le parti, e non soltanto da V.G. e A.G. . 2. - Il secondo motivo espone la violazione dell'art. 1362, 2 comma ex., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.comma la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto rilevante la circostanza che in nessuna parte della scrittura transattiva si faccia riferimento al diritto al trasferimento immobiliare a favore dei V. -T. , ed ha spiegato tale carenza con il fatto che rispetto alla scrittura del 1996 la situazione era mutata per effetto del subentro del gruppo Telegi nei diritti dei B. . Al contrario, tenuto conto che gli originari promissari acquirenti dell'immobile erano tanto i V. che i B. , e che quindi il diritto di proprietà sul fondo si sarebbe ripartito secondo le rispettive quote, ai primi era indifferente che la restante quota del bene da trasferire fosse dei B. o della Telegi. A conferma di ciò deduce che la Corte d'appello avrebbe dovuto valutare anche la condotta successiva delle parti, che hanno sempre inteso mantenere le convenzioni iniziali. Lo dimostrano, sostiene, altre due cause svoltesi nella pendenza del giudizio d'appello. La prima promossa dopo la pronuncia di primo grado dalla Telegi per il pagamento di Euro 12.330,00, a titolo di quota parte dell'IVA dovuta sul trasferimento del 55% dell'immobile l'altra iniziata dagli odierni controricorrenti per ottenere il pagamento di Euro 103.291,40, a titolo di rimborso per debiti e sopravvenienza passive non appostate nei bilanci della Ates Sud produce al riguardo copia delle sentenza emesse in tali giudizi . 3. - Il terzo mezzo d'annullamento lamenta la violazione dell'art. 1363 c.comma in connessione col vizio motivazionale, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c Premesso che le clausole s'interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto, la Corte capitolina, sostiene parte ricorrente, non ha considerato che la scrittura del 1999 non poteva non riferirsi alla scrittura complessa del 1996 nella parte relativa alla cessione delle quote della Ates Sud e all'articolato suo corrispettivo. E deduce, quindi, che la contraddittorietà e l'insufficienza della motivazione consistono nel fatto che la Corte di merito da un lato ha ritenuto che i V. non avrebbero avuto diritto alla quota del 55% e dall'altro ha affermato che, comunque, le parti avevano previsto di vendere insieme l'immobile ricavandone il prezzo che, per quanto concerneva la quota dei V. , sarebbe stato decurtato di 12 milioni di lire. Sicché non si comprende come questi ultimi avrebbero potuto incassare una somma per la vendita di un immobile se non ne fossero divenuti proprietari. La Corte romana, ancora, non avrebbe valutato adeguatamente l'ultima clausola della scrittura del 1999, relativa alla ripartizione dei costi di trasformazione del locale, che dimostra come le parti si considerassero già comproprietarie dell'immobile, rimanendo in discussione soltanto la somma, da corrispondere a stralcio, di 12.000.000 di lire. La quale ultima poteva riguardare soltanto il pagamento di un importo in contestazione e non il trasferimento dell'immobile, che non era di proprietà dei cessionari delle quote della società ma della socomma Telegi. 4. - Con il quarto motivo è dedotta la violazione degli artt. 1366, 1367 e 1369 c.comma e il vizio di motivazione, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c Il motivo riporta un ampio stralcio della sentenza di primo grado, sottolineando che la clausola per cui la somma di lire 12.000.000 sarebbe stata recuperata da quanto realizzato con la vendita dell'immobile, implicava necessariamente che questo doveva ritenersi pro quota di entrambe le parti, essendo evidente che se le parti avessero voluto escluderne il trasferimento a carico della Telegi, non avrebbe avuto senso prevedere la facoltà di quest'ultima di trattenere somme già proprie. Come pure quanto ai costi di trasformazione di esso, che gravando su entrambe le parti in proporzione delle quote di rispettiva pertinenza, univocamente presupponevano la permanenza di tale obbligo di trasferimento. Nell'interpretare limitatamente la scrittura del 1999, la Corte ha violato il combinato disposto degli articoli anzi detti, perché non ha esaminato compiutamente l'intera scrittura, né ha esaminato le varie clausole, né le ha interpretate secondo buona fede e in un'ottica di conservazione del contratto e in conformità a quanto prescritto dall'art. 1369 c.c Infatti, l'unica interpretazione di espressioni che potevano avere più sensi è quella, sostiene parte ricorrente, fornita dal Tribunale. Deduce, inoltre, che da nessuna parte delle scritture del 1996 e del 1999 emerge quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, ossia la volontà delle parti di attuare un'iniziativa imprenditoriale comune, tanto più che la variazione di destinazione urbanistica del fondo non era certo un atto d'impresa, ma una semplice variazione catastale affidabile ad un geometra e sottoposta alla condizione di una conforme delibera dell'assemblea dello stabile condominiale in cui era sito l'immobile. 5. - Il quinto mezzo deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3 rectius, 4 c.p.c La motivazione della sentenza impugnata di rigetto delle domande proposte in via principale e in via subordinata dalle odierne parte contro ricorrenti non coincide con il dispositivo della sentenza stessa, che si limita a riformare la pronuncia di primo grado con il rigetto della domanda ex art. 2932 c.comma proposta dai V. . D'altro canto la motivazione della sentenza è inesatta perché la stessa controparte degli odierni ricorrenti aveva aderito alla domanda ex art. 2932 c.comma chiedendo la cessione del 55% dell'immobile, ma con l'ulteriore inammissibile richiesta di declaratoria del diritti degli appellanti al pagamento delle sopravvenienze passive. Dunque, la Corte d'appello avrebbe dovuto tenere conto che sostanzialmente ambedue le parti ritenevano sussistere i presupposti per il trasferimento del 55% dell'immobile, tanto da far chiedere alla controparte anche se in subordine e con una condizione l'applicabilità dell'art. 2932 c.comma in base al quale avevano agito i signori V. e la loro domanda era stata accolta dal Tribunale . 6. - Col sesto motivo, infine, è dedotta la violazione dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3 rectius, 4 c.p.c., perché la Corte territoriale non ha esaminato tutti gli atti di causa e, in particolare, i documenti prodotti dalla controparte, né ha ammesso le prove testimoniali, né considerato che dalla c.t.u. era emerso che il valore dell'immobile, e quindi era impossibile che il saldo prezzo fosse costituito da soli 12.000.000 di lire e per di più a carico dei V. e non delle controparti e non dall'effettivo saldo prezzo costituito dalla cessione dell'immobile. 7. - I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente per la sostanziale comunanza delle censure ivi svolte, sono infondati. Com'è noto, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati - al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati cfr. ex pluribus, Cass. nn. 2465/15, 2074/02, 2190/98 . Per far ciò, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità v. fra le tante, Cass. nn. 17168/12,13242/10 e 15381/04 . 7.1. - Nella specie, i motivi dedotti propongono un'interpretazione contrattuale alternativa a quella accolta dalla Corte capitolina, senza dimostrare in qual modo quest'ultima avrebbe disatteso i parametri ermeneutici di cui i ricorrenti denunciano la violazione. L'insistenza di parte ricorrente sul carattere sostanzialmente conservativo della transazione del 1999, nel senso che l'espressione ivi contenuta - secondo cui a stralcio di ogni rapporto di dare e avere in merito al 55% del diritto di proprietà del Gruppo V. del locale di via OMISSIS riferito alla scrittura privata del 4 novembre 1996 - starebbe a indicare che l'accordo lasciava impregiudicata ogni questione relativa al trasferimento dell'immobile, collide con la diversa interpretazione fatta propria dalla sentenza impugnata, per la quale, invece, l'omessa previsione del trasferimento della quota indivisa a favore dei V. trova logica e coerente spiegazione nel complessivo regolamento transattivo dell'11.5.1999, e nella previsione in esso di un'iniziativa imprenditoriale comune riguardante l'immobile. Quest'ultima opzione interpretativa della scrittura dell'11.5.1999, plausibile e argomentata logicamente, non può essere censurata sotto nessuno dei parametri di ermeneutica contrattuale evocati dalla parte ricorrente. Non sotto quello letterale, perché, appunto, essa procede innanzi tutto dai punti fermi nell'interpretazione del testo v. pag. 5 sentenza impugnata , quali l'espressione a stralcio , usata, coerentemente alla pratica commerciale, per indicare l'estinzione totale dei crediti attraverso concessioni speciali e l'espressione relativa ai rapporti di dare/avere , riferita al credito del gruppo V. al saldo del corrispettivo della cessione delle quote Ates Sud, secondo la modalità prevista dalla clausola 10 E della scrittura del 1996, e alle contro pretese relative al medesimo negozio di cessione avanzate da Telegi v. pag. 6 sentenza impugnata . Non sotto il profilo della condotta anche successiva delle parti ai sensi dell'art. 1362, cpv. c.c., che deve pur sempre denotare un'intenzione comune , a sua volta non ritraibile dalla produzione delle sentenze nn. 189/10 e 12278/07 del Tribunale di Roma v. docomma 4 e 5 allegati al ricorso , effettuata dalla parte ricorrente in violazione dell'art. 372 c.p.c., a nulla rilevando, quanto -alla prima delle due, che essa abbia ad oggetto un provvedimento giurisdizionale pressoché coevo alla sentenza impugnata giurisprudenza costante di questa Corte cfr. da ultimo, Cass. n. 10819/15, non massimata, secondo cui nel giudizio di legittimità è esclusa la possibilità di allegare nuovi documenti diretti a corroborare le censure prospettate nel ricorso . Non sotto il profilo dell’interpretazione complessiva delle clausole, perché la Corte territoriale non ha dato rilievo alla sola clausola riguardante lo stralcio , ma anche a quella da cui, a suo giudizio, è ritraibile l'intento delle parti di intraprendere un'iniziativa imprenditoriale comune, dimostrata dalla clausola secondo cui queste ultime avrebbero ripartito secondo le rispettive quote i costi di trasformazione dell'immobile v. pagg. 6-7 sentenza impugnata . E per ricavare la comune intenzione delle parti, la Corte ha collegato detta clausola con quella che prevedeva che il credito di lire 12.000.000 a favore del gruppo Telegi sarebbe stato recuperato all'atto della vendita di quanto realizzato con lo stesso immobile. Non sotto l'aspetto di cui agli artt. 1366, 1367 e 1369 c.c Inerenti all'interpretazione c.d. oggettiva del contratto, dette norme sono del tutto fuori gioco nel caso in esame, avendo la Corte territoriale operato un'interpretazione di carattere soggettivo o storico del contratto sulla prevalenza in materia contrattuale dei canoni ermeneutici soggettivi o storici, rispetto a quelli oggettivi, cfr. Cass. nn. 925/12 e 6852/10 . 7.2. - A completamento della confutazione del primo motivo, va poi aggiunto che la circostanza che la scrittura dell'11.5.1999 sia stata sottoscritta solo da V.G. e da A.G. , rispettivamente, per il gruppo V. e per il gruppo Telegi, non vale ad escludere l'efficacia del contratto nei confronti degli altri soggetti in causa che non l'hanno firmata. Espressamente richiamato in giudizio da entrambe le parti soggettivamente complesse nei rispettivi scritti difensivi, sia pure per farne discendere effetti contrapposti, tale contratto deve aversi per ratificato dai non sottoscrittori sulla ratifica dei contratti per i quali, come appunto la transazione, è prescritta la forma scritta ad probationem , v. Cass. rm. 11509/08 e 10575/90, secondo cui la ratifica del negozio concluso dal falsus procurator , se la forma scritta è per lo stesso richiesta ad probationem , può avvenire anche per facta concludenza , purché risultanti da atti scritti . 8. - Il quinto motivo è manifestamente inammissibile per carenza d'interesse, poiché con esso i ricorrenti si dolgono del mancato esame di una domanda subordinata proposta dall'altra parte e rimasta assorbita per l'accoglimento del primo motivo di gravame, inteso ad ottenere il rigetto della domanda proposta ex art. 2932 c.comma dai V. - T. . 9. - Il sesto mezzo d'annullamento incorre in una duplice causa d'inammissibilità. La prima, per genericità o non autosufficienza. Infatti, esso non specifica le prove non ammesse, non trascrive nemmeno in sintesi e nelle sole parti salienti i documenti non esaminati, né dimostra l'incidenza che le une e gli altri avrebbero potuto svolgere sulla decisione. La seconda, perché il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge giurisprudenza costante di questa Corte n. 27197/11 . 10. - In conclusione il ricorso va respinto. 11.- Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.