Manca il contratto con l’ente pubblico: no all’azione residuale di indebito arricchimento

In tema di assunzione di impegni e di effettuazione di spese da parte degli enti locali, l'art. 23, comma 3, d.l. n. 66/1989 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 144/1989 , dispone che qualsiasi spesa degli enti comunali deve essere assistita da un conforme provvedimento dell'organo munito di potere deliberativo e da uno specifico impegno contabile registrato nel competente bilancio di previsione, costituendosi, in mancanza, il rapporto obbligatorio direttamente con il funzionario, onde il professionista non può esperire nei confronti dell'ente pubblico l'azione di indebito arricchimento art. 2041 c.c. , perché tale azione difetta del necessario requisito della sussidiarietà art. 2042 c.c. .

Con la pronuncia del 6 agosto 2015, n. 16558, il S.C. chiarisce che, qualora sia stata resa in favore di una P.A. una prestazione professionale in assenza di contratto, il professionista non è legittimato ad agire nei confronti dell’ente con l’azione di indebito arricchimento, posto che, in ipotesi, il rapporto contrattuale non è sorto con l’ente ma con il funzionario incaricato e difetta, quindi, il requisito necessario della sussidiarietà dell’azione. Il caso. Nel caso deciso dal S.C. con la sentenza in esame, alcuni professionisti avevano richiesto al Comune di Rieti il pagamento delle proprie parcelle per attività professionale svolte, appunto, nei confronti del Comune stesso. Tale domanda viene rigettata in primo e secondo grado per la mancanza di un contratto che, nei rapporti con la P.A., deve necessariamente avere la forma scritta. La Cassazione conferma tale decisione, rigettando altresì il ricorso promosso, per il quale i suddetti professionisti chiedevano applicarsi l’azione di indebito arricchimento – in conseguenza dell’attività professionale prestata – nei confronti del Comune. La Cassazione precisa che, in assenza di un contratto in forma scritta, il rapporto contrattuale è sorto con i funzionari incaricati e ciò rende improcedibile l’azione generale di arricchimento che, come noto, può proporsi solo in assenza di altra azione esperibile, ai sensi dell’art. 2042 c.c. Indebito arricchimento nei confronti della P.A. i presupposti. Secondo la giurisprudenza unanime, la regola per quale non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico. Orbene, poiché il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato che agisce con l’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione deve provare, ed il giudice accertare, il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'Amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto e non fu consapevole. Indebito arricchimento e adempimento contrattuale domande a confronto. Come anche evidenziato nella sentenza in commento, la domanda di arricchimento indebito ha autonoma causa petendi rispetto a quella d'adempimento contrattuale e, fra esse, non vi è intercambiabilità avendo esse ad oggetto pretese distinte, per l'individuazione delle quali è indispensabile il riferimento a fatti costitutivi tra loro divergenti, identificandosi in due diverse entità per tale ragione, in termini processuali, la domanda ex art. 2041 c.c. deve essere portata in atto introduttivo, seppur in forma graduata, sicché la proposizione della stessa oltre i termini di preclusione di primo grado civile costituisce un'inammissibile mutatio libelli , perché implica l'esame di fatti estranei a quelli dedotti a sostegno della domanda contrattuale. Prestazione d’opera ed assenza di contratto con la P.A. quali conseguenze? Nel caso vi sia stata acquisizione di beni o servizi in assenza di una delibera dell’ente pubblico – come nel caso di specie -in base all’art. 23 d.l. n. 66/1989, convertito nella l. n. 144/1989, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e il funzionario che abbia consentito tale acquisizione. Di conseguenza, non è possibile esperire un'azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione in virtù del disposto dell'art. 2042 c.c Debiti fuori bilancio nessuna sanatoria” per i contratti non stipulati. La necessarietà del contratto in forma scritta non viene meno in presenza del riconoscimento di un debito fuori bilancio. In particolare, il riconoscimento d'un debito fuori bilancio ex art. 37 d.lgs. n. 77/1995 rappresenta un procedimento discrezionale che consente all'Ente locale di far salvi, nel proprio interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti tramite specifica obbligazione ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non ha la funzione di introdurre una sanatoria per i contratti conclusi in assenza di forma scritta né di apportare una deroga al regime di inammissibilità dell'azione di indebito arricchimento potendosi esso interpretare come un riconoscimento, sia pure implicito, di utilità della prestazione. Indebito arricchimento verso la P.A. e quantificazione dell’indennità. In tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un contratto d'opera professionale, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito se il rapporto negoziale si fosse perfezionato. Pertanto, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto al professionista, la parcella, ancorché vistata dall'ordine professionale, non può essere assunta come parametro di riferimento, non trattandosi in questo caso di corrispettivo per prestazioni professionali, ma della individuazione di una somma che va liquidata, in forza delle risultanze processuali, se ed in quanto si sia verificato un vantaggio patrimoniale a favore della P.A., con correlativa perdita patrimoniale della controparte. Nullità del contratto d’opera e rilevabilità d’ufficio come e perché. La nullità del contratto d'opera professionale intercorso con un ente pubblico, per difetto del requisito della forma scritta, richiesta ad substantiam , può essere rilevata d'ufficio dal giudice investito della domanda del professionista diretta al pagamento del compenso, anche in grado d'appello, indipendentemente dall'attività assertiva del convenuto, salvo che sulla validità del contratto vi sia stata pronunzia da parte del giudice di primo grado, non oggetto di specifico motivo di gravame.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 maggio – 6 agosto 2015, n. 16558 Presidente Bucciante – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto 1. - Ca.Ni. , C.M. e L.F. convennero il Comune di Rieti innanzi al locale Tribunale, chiedendo che l'ente territoriale convenuto fosse condannato al pagamento, in loro favore, dei compensi dovuti per le prestazioni professionali da essi effettuate - quali architetti - in favore del detto comune e in seguito ad apposita delibera dello stesso nella redazione dei progetti necessari per la costruzione di un complesso sportivo nel territorio comunale. Il Comune di Rieti resistette alla domanda, eccependo l'inesistenza di un valido contratto tra esso Comune e gli attori, sul quale questi ultimi potessero fondare le loro pretese. Il Tribunale adito, sul presupposto della necessità - ad substantiam - di un contratto scritto tra le parti, nella specie mancante, rigettò la domanda e compensò tra le parti le spese del giudizio. 2. - Sul gravame proposto dagli attori, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 30.3.2009, confermò la pronuncia di primo grado, compensando tra le parti le spese del nuovo grado di giudizio. 3. - Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione Ca.Ni. , C.M. e L.F. , formulando tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Rieti. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. - Preliminarmente, va rigettata l'eccezione con la quale l'intimato ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 366 cod. proc. civ., per mancata indicazione degli atti e dei documenti richiamati. Col ricorso, invero, ci si duole non dell'omessa o erronea valutazione di documenti da parte dei giudici di merito, ma di questioni di stretto diritto, dimodoché deve ritenersi integrato il requisito della c.d. autosufficienza del ricorso. 2. - Superata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, vanno ora esaminati i motivi su cui esso si fonda. 2.1. - Col primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 del D.L. n. 66 del 1989 e dell'art. 2041 cod. civ Si deduce, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile l'azione generale di arricchimento esercitata dagli attori nei confronti del Comune di Rieti subordinatamente all'azione contrattuale, la cui domanda è stata però rigettata in ragione della mancanza del presupposto della sussidiarietà, dipendente dal fatto che gli attori medesimi - in forza dell'art. 23, comma 4, del D.L. n. 66 del 1989 - avrebbero avuto la possibilità di agire nei confronti degli amministratori o dei funzionali comunali che avevano richiesto e consentito la loro prestazione professionale senza valida obbligazione dell'ente comunale. A dire dei ricorrenti, l'affermata applicabilità dell'art. 23 comma 4 del D.L. cit. sarebbe erronea, perché essa presupporrebbe l'avvenuto svolgimento di una contrattazione tra il professionista incaricato e l'amministratore o funzionario pubblico che aveva richiesto o consentito la prestazione, contrattazione che - nella specie - non vi sarebbe stata non potrebbe perciò configurarsi alcuna responsabilità diretta degli amministratori e dei funzionali ai sensi dell'art. 23 cit. e, conseguentemente, l'azione generale di arricchimento ex art. 2041 cod. civ. sarebbe esperibile nei confronti dell'ente comunale, costituendo essa l'unico rimedio a disposizione dei ricorrenti per farsi indennizzare del pregiudizio subito. La censura non è fondata. Va premesso che l'art. 23 del D.L. n. 66 del 1989, recante disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale, convertito con modificazioni nella legge n. 144 del 1989, prevede, al comma 3, che A tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonché l'impegno contabile registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati” stabilendo poi, al comma 4, che Nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura”. La normativa in questione è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che qualsiasi spesa degli enti comunali deve essere assistita da un conforme provvedimento dell'organo munito di potere deliberativo e da uno specifico impegno contabile registrato nel competente bilancio di previsione in mancanza, il rapporto obbligatorio si costituisce direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, onde il professionista non può esperire nei confronti dell'ente pubblico l'azione di indebito arricchimento art. 2041 cod. civ. , difettando tale azione del necessario requisito della sussidiarietà art. 2042 cod. civ. ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 24478 del 30/10/2013, Rv. 628196 Sez. 6 - 3, n. 1391 Ordinanza del 23/01/2014, Rv. 629726 Sez. 1, Sentenza n. 12880 del 26/05/2010, Rv. 613213 . Nella specie, pacifico essendo che non si è instaurato un valido rapporto contrattuale tra gli attori e il Comune convenuto per mancanza di convenzione scritta tra i professionisti e il Comune e per mancato impegno della relativa spesa , i ricorrenti negano tuttavia la loro possibilità di agire nei confronti degli amministratori e funzionari comunali, per la mancanza di alcun rapporto contrattuale con essi. E invocano, in proposito, un passaggio motivazionale di una sentenza di questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 10076 del 2008 , nel quale si afferma la necessità, perché l'amministratore o il funzionario possa essere chiamato a rispondere verso il prestatore d'opera o il fornitore, che si sia instaurato tra di essi un rapporto contrattuale . Ritiene tuttavia il Collegio che tale pronuncia non si discosti dalla giurisprudenza costante di questa Corte, dovendosi la richiamata espressione rapporto contrattuale interpretare nel senso di mero consenso prestato dall'amministratore o dal funzionario comunale alla prestazione del professionista, in conformità al dettato dell'art. 23 comma 4 cit., che richiede esclusivamente che l'amministratore o il funzionario abbiano consentito la fornitura”. In altri termini, l'insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l'amministratore o il funzionario si ha per la semplice circostanza che - mancando una valida obbligazione dell'ente locale, con il prescritto impegno contabile -l'esecuzione di fatto del rapporto è stata semplicemente consentita dall'amministratore o dal funzionario cfr. Sez. 1, Sentenza n. 10640 del 09/05/2007, Rv. 596363 . Nella specie, è pacifico che gli attori abbiano svolto la loro attività professionale con il consenso prestato - pur in mancanza di alcun valido rapporto contrattuale con l'ente comunale - da amministratori e funzionari comunali. È chiaro, perciò, che gli attori possono esercitare l'azione nei confronti degli amministratori o funzionari che hanno consentito loro la prestazione, rimanendo conseguentemente precluso l'esercizio dell'azione generale di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà di cui all'art. 2042 cod. civ Naturalmente, è onere degli attori individuare gli amministratori o funzionari obbligati ai sensi dell'art. 23 comma 4 D.L. cit., identificabili anche sulla base degli atti amministrativi di cui dispongono o, eventualmente, tramite l'accesso agli atti. Da ultimo, va rilevata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 comma 4 D.L. n. 66 del 1989 in relazione agli artt. 3, 24 e 28 Cost., sollevata dai ricorrenti con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., avendo la Corte costituzionale dichiarato più volte prima con la sentenza n. 446 del 1995, poi con la sentenza n. 295 del 1997 la piena conformità della norma di legge in questione alla Carta costituzionale e non contenendo l'eccezione dei ricorrenti profili di novità rispetto a quelli già sottoposti al vaglio del giudice delle leggi. 2.2. - Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 277 e 359 cod. proc. civ., nonché dell'art. 2041 cod. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunziarsi sulla sussistenza della utilitas derivata alla pubblica amministrazione dalla redazione del progetto dell'opera pubblica da parte dei ricorrenti. Secondo i ricorrenti, la sussistenza di tale utilitas sarebbe del tutto indipendente dalla concreta realizzazione dell'opera pubblica in realtà non eseguita per il mancato finanziamento della Regione Lazio e andrebbe ravvisata nel mero fatto che il Comune di Rieti ha utilizzato il detto progetto, inviandolo alla Regione per ottenere il finanziamento delle opere poi non concesso e comunque, tale utilità per l'ente territoriale andrebbe ravvisata nell'aver esso evitato un esborso o una diversa diminuzione patrimoniale che -altrimenti - sarebbe stata necessaria. Anche tale censura va rigettata, in quanto l'impossibilità per gli attori di esercitare l'azione di indebito arricchimento rende irrilevante l'accertamento della ricorrenza del relativo presupposto, costituito dall'utilità della prestazione per la pubblica amministrazione. In altre parole, esattamente i giudici di merito, una volta verificata l'impossibilità dell'esperimento - da parte dei ricorrenti - dell'azione generale di arricchimento nei confronti del Comune di Rieti, hanno ritenuto non utile, ai fini del decidere, accertare se e quale utilitas fosse stata conseguita dall'ente comunale a seguito della prestazione dei ricorrenti. 2.3. - Col terzo motivo di ricorso, si deduce infine il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale verificato - sulla base degli atti acquisiti al giudizio - la sussistenza di una contrattazione tra i professionisti attori e gli amministratori e funzionali del comune di Rieti, che concretasse il presupposto cui - a dire dei ricorrenti - l'art. 23 comma 4 cit. subordinerebbe la diretta responsabilità di questi ultimi. La censura costituisce mera reiterazione della censura di cui al primo motivo e va rigettata per le medesime ragioni ivi esposte. 3. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 8.200,00 ottomiladuecento , di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.