Deroga all’equo canone: serve l’obbligo del locatore a rinnovare il contratto per altri quattro anni

La pattuizione di un canone libero, ai sensi dell’art. 11 d.l. n. 333/1992 convertito in l. n. 359/1992, in deroga alla disciplina sull’equo canone di cui alla l. n. 392/1978, è valida solo a condizione che il locatore rinunci, espressamente e contestualmente alla conclusione del contratto, alla facoltà di disdire la locazione alla prima scadenza, obbligandosi fin dal principio a rinnovare il contratto per ulteriori quattro anni, salvo che sopraggiunga giusta causa per il diniego della rinnovazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 15768/15, depositata il 27 luglio. Il caso. Una donna concedeva in locazione un suo appartamento con un contratto della durata di quattro anni, rinnovabile per altri quattro, salva disdetta della locatrice. Rinnovato il contratto alla prima scadenza, la locatrice comunicava disdetta per l’anno successivo e in seguito sfratto per finita locazione. La conduttrice resisteva chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto all’equo canone, in quanto il contratto – disciplinato dal d.l. n. 333/1992 convertito in l. n. 359/1992 – non prevedeva la rinuncia espressa della locatrice alla facoltà di dare disdetta alla prima scadenza contrattuale e veniva quindi ritenuto soggetto all’equo canone, ai sensi dell’art. 11, comma 2 delle disposizioni citate. Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva sia la domanda di disdetta della locatrice, sia la domanda riconvenzionale di restituzione dei canoni, limitatamente al primo quadriennio di durata del rapporto. La Corte di appello di Napoli respingeva la domanda di restituzione dei canoni anche per il primo quadriennio, motivando che la clausola contrattuale relativa alla disdetta andava interpretata come rinuncia della locatrice al potere di recedere liberamente alla prima scadenza, che costituisce il presupposto per la valida stipulazione della locazione a canone libero. La conduttrice proponeva ricorso in Cassazione a cui l’intimata resisteva con controricorso. La ricorrente lamentava l’erronea interpretazione della clausola contrattuale relativa al rinnovo tacito del contratto di locazione alla prima scadenza quadriennale, in mancanza di disdetta, come rinuncia della locatrice alla facoltà di recedere, mentre invece non aveva assunto alcun obbligo in tal senso, restando libera fino all’ultimo di esercitare o meno il recesso Interpretazione non condivisibile. La Corte d’appello, secondo la Cassazione, si è erroneamente discostata dai principi già enunciati dai giudici di legittimità, secondo cui la pattuizione di un canone libero, in deroga alla disciplina sull’equo canone, è valida solo a condizione che il locatore rinunci, espressamente e contestualmente alla conclusione del contratto, alla facoltà di disdire la locazione alla prima scadenza, obbligandosi fin dal principio a rinnovare il contratto per ulteriori quattro anni, salvo che sopraggiunga una giusta causa per il diniego della rinnovazione, in ragione dell’intenzione, seria e realizzabile, ad adibire l’immobile agli usi, o di effettuarvi le opere, di cui agli artt. 29 e 59, l. n. 392/1978 Cass., sez. III, n. 21243/2006 n. 8402/2009 n. 17034/2014 . Requisiti per la valida deroga all’equo canone. La Corte sostiene, infatti, che, anche nel caso in cui il contratto contenga l’espresso richiamo all’art. 11 l. n. 359/1992, la deroga all’equo canone non può ritenersi pattuita validamente, se le parti si sono limitate a prevedere una clausola di rinnovo automatico della locazione per un secondo quadriennio, nell’ipotesi di mancata comunicazione della disdetta al conduttore. Nel caso oggetto di esame la durata della locazione era di quattro anni, ma è mancata la rinuncia espressa del locatore, pattuita fin dall’origine, a dare disdetta alla prima scadenza. Nel caso in esame la Corte di appello ha quindi erroneamente ritenuto stipulato tra le parti un valido patto in deroga all’equo canone e per questo motivo accoglie il ricorso e rinvia la causa alla Corte competente.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 maggio – 27 luglio 2015, n. 15768 Presidente Segreto – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo D.L. ha concesso in locazione un suo appartamenti in ad P.A. , a decorrere dal 1 novembre 1998 e per la durata di quattro anni, rinnovabile per altri quattro salvo disdetta della locatrice. Al conduttore è poi subentrata la moglie, E.C. , alla quale è stata assegnata la casa coniugale a seguito di separazione personale. Rinnovato il contratto alla prima scadenza, in data 5 dicembre 2005 la locatrice ha comunicato disdetta per il 31 ottobre 2006 e, successivamente, sfratto per finita locazione. Ha resistito la E. sollevando varie eccezioni e chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto all'equo canone, in quanto il contratto - disciplinato dal d.l. n. 333/1992, conv. in legge n. 359/1992 - non prevedeva la rinunzia espressa della locatrice alla facoltà di dare disdetta alla prima scadenza contrattuale era quindi soggetto all'equo canone, a norma dell'art. 11, 2 comma delle citate disposizioni. Con sentenza n. 88/2011 il Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Sorrento, ha accolto sia la domanda di disdetta della locatrice, sia la domanda riconvenzionale di restituzione dei canoni, quest'ultima limitatamente al primo quadriennio di durata del rapporto, quantificando la somma dovuta in Euro 6.720,00 oltre interessi. Proposto appello principale dalla E. e incidentale dalla D. , con l'intervento in causa del P. , con sentenza 28 marzo - 18 aprile 2012 n. 1080 la Corte di appello di Napoli per quanto interessa in questa sede ha respinto la domanda di restituzione dei canoni anche per il primo quadriennio, con la motivazione che la clausola contrattuale relativa alla disdetta disponeva che il contratto si sarebbe rinnovato in mancanza di disdetta motivata secondo legge disposizione da interpretare nel senso che la disdetta avrebbe potuto essere data per i soli motivi di cui agli art. 29 e 59 legge n. 392/1978. La clausola stessa va quindi interpretata come rinuncia della locatrice al potere di recedere liberamente alla prima scadenza, che costituisce il presupposto per la valida stipulazione della locazione a canone libero. La conduttrice propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste l'intimata con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 11 d.l. 333/1992 e 79 legge n. 392/1978, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia erroneamente interpretato la clausola contrattuale relativa al rinnovo tacito del contratto di locazione alla prima scadenza quadriennale, in mancanza di disdetta, come rinuncia della locatrice alla facoltà di recedere, laddove invece essa non aveva assunto alcun obbligo in tal senso, restando libera fino all'ultimo se esercitare o meno il recesso. Con il secondo motivo denuncia omessa od insufficiente motivazione sul medesimo punto. 2. - I due motivi - che vanno congiuntamente esaminati perché connessi - sono fondati. La Corte di appello si è discostata dai principi più volte enunciati da questa Corte, secondo cui la pattuizione di un canone libero, ai sensi dell'art. 11 d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1992 n. 359, in deroga alla disciplina sull'equo canone di cui alla legge 7 luglio 1978, n. 392, è valida solo a condizione che il locatore rinunci, espressamente e contestualmente alla conclusione del contratto, alla facoltà di disdire la locazione alla prima scadenza, obbligandosi fin dal principio a rinnovare il contratto per ulteriori quattro anni salvo che sopraggiunga una giusta causa per il diniego della rinnovazione, in ragione dell'intenzione, seria e realizzabile, di adibire l'immobile agli usi, o di effettuarvi le opere, di cui agli art. 29 e 59 legge n. 392, cit. Cass. civ. Sez. 3, 29 settembre 2006 n. 21243 Idem, 7 aprile 2009 n. 8402 e 28 luglio 2014 n. 17034, fra le altre . Ne discende che, pur se il contratto contenga l'espresso richiamo all'art. 11 legge n. 359 del 1992, la deroga all'equo canone non può ritenersi validamente pattuita, ove le parti si siano limitate a prevedere una clausola di rinnovo automatico della locazione per un secondo quadriennio, nell'ipotesi di mancata comunicazione della disdetta al conduttore Cass. civ. Sez. 3, 28 luglio 2014 n. 17034 . Nella fattispecie la durata della locazione era stata fissata in anni quattro, ma è per l'appunto mancata la rinuncia espressa del locatore, pattuita fin dall'origine, a dare disdetta alla prima scadenza. Irrilevante è la circostanza, valorizzata dalla resistente, secondo cui la disdetta avrebbe dovuto essere motivata secondo legge . Trattasi infatti di espressione generica e inidonea a manifestare l'adesione della locatrice alla rigorosa disciplina di cui alla legge sui patti in deroga. Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto che nella specie sia stato stipulato fra le parti un valido patto in deroga all'equo canone. 3.- Il ricorso deve essere accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra enunciati. 4.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.