Imposta comunale sulla pubblicità: nessuna retroattività dei criteri di determinazione dei canoni

In tema di imposta comunale sulla pubblicità, con riferimento al caso di installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico, la disposizione dell'art. 145, comma 55, legge n. 388/2000, la quale, intervenendo sull'art. 9, comma 7, d.lgs. n. 507/1993, ha specificato che il canone di concessione deve essere commisurato alla superficie di suolo pubblico effettivamente occupata dal mezzo, non ha efficacia retroattiva, non essendovi alcun indice rivelatore dell'intenzione del legislatore di procedere ad un'interpretazione autentica, sicché, per il passato, è legittima la determinazione comunale del canone in base al diverso criterio della superficie espositiva del mezzo.

Con la pronuncia del 3 luglio 2015, n. 13764, la Corte di Cassazione chiarisce che la novella apportata alla disciplina nazionale in tema di imposte locali – per quanto concerne i canoni di pubblicità – non ha efficacia retroattiva, con conseguente legittimità dei criteri adottati nella vigenza della disciplina di cui al d.lgs. 507/1993. Il caso. Una concessionaria di pubblicità impugna una serie di richieste di pagamento inviate dal Comune di Roma ritenute errate, in quanto basate sul criterio della dimensione dell’affissione pubblicitaria e non su quello dello spazio pubblico occupato, secondo la novella apportata al d.lgs. 507/1993 dalla legge n. 388/2000. Rigettata in primo grado, la domanda viene accolta in sede di appello sul rilievo della natura di interpretazione autentica della disciplina di riforma di cui alla legge 388/2000 poc’anzi citata. Il S.C. riforma la decisione di appello e decide nel merito, rigettando la domanda attrice, affermando che non può desumersi la natura di interpretazione autentica della disposizione in esame e che, quindi, la modifica dei criteri di calcolo delle imposte locale non ha natura retroattiva. Leggi di interpretazione autentica in generale Secondo un principio consolidato – peraltro richiamato nella sentenza in commento, a mo’ di premessa della questione affrontata - in dottrina come nella giurisprudenza costituzionale, il legislatore può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica che determinano, chiarendola, la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. e in particolare. L'intervento del legislatore, ad esempio, con norme di interpretazione autentica, può trovare giustificazione quando questo, risolvendosi nella enucleazione di una delle possibili opzioni ermeneutiche dell'originario testo normativo, sia volto a superare una situazione di oggettiva incertezza di tale testo, evidenziata, appunto dai suoi diversi indirizzi interpretativi, e non incida su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali. Nel caso di specie, la Corte non ravvisa, nell’apparente contrasto di normative in tema di tributi relativi alla pubblicità locale, la presenza di quegli elementi, sopra evidenziati, dai quali desumere la natura di interpretazione autentica della legge 388/2000, di modifica del d.lgs. n. 507/1993. Retroattività e tributi locali. La Cassazione, come visto dalla massima, esclude la natura retroattiva o di interpretazione autentica oggetto di disamina. Per attribuire ad una norma contenuto interpretativo e dunque efficacia retroattiva , infatti, è necessario che la norma esistente in origine contenga una delle opzioni interpretative poi fatte palesi dal legislatore con l'intervento successivo. Ciò non accade riguardo alla norma contenuta nel comma 7, dell'art. 9, d.lgs. n. 507/1993, relativo all'imposta sulla pubblicità , la quale, nella versione antecedente alla modifica apportata dal comma 55 dell'art. 145 della legge n. 388/2000, non conteneva alcuna indicazione sulle modalità di individuazione dei canoni di locazione o concessione, con la conseguenza che alla norma contenuta nella legge finanziaria vanno attribuiti carattere e contenuto innovativi. Imposta su pubblicità e tassa occupazione spazio pubblico quale rapporto? Un ulteriore caso di apparente contrasto di normative in tema di tributi locali riguarda i canoni di pubblicità e quello di occupazione del suolo pubblico. Sul punto, il S.C. in più occasioni ha precisato che in caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in godimento, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art. 9, comma 7, d.lgs. n. 507/1993, ed essendo esclusa l'alternatività tra i due tributi per violazione del divieto di doppia imposizione, in quanto l'imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli artt. 5 e 38, d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all'uso generalizzato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 maggio – 3 luglio 2015, n. 13764 Presidente Salvago – Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d'appello di Roma ha accolto l'appello proposto da N.D.P. - Nuova Dimensione Pubblicitaria - s.r.l. contro la sentenza del tribunale che aveva respinto la domanda dell'appellante volta a sentir accertare l'illegittimità di una serie di inviti al pagamento del canone dovuto nel 1996 per la concessione all'installazione di impianti pubblicitari, che le erano stati inviati dal Comune di Roma sul presupposto che il canone andasse determinato in base alla superficie degli impianti e non dei suolo pubblico che gli stessi occupavano. La corte capitolina ha rilevato che la stessa Giunta comunale, con delibera del gennaio 2001, aveva riformulato la precedente delibera del '94, sulla quale si fondava la pretesa avanzata nei confronti di NDP, specificando che i canoni andavano computati applicando la relativa tariffa in base alla superficie di suolo pubblico occupata dal mezzo pubblicitaria che la modifica costituiva, peraltro, necessario adeguamento alla normativa statale, atteso che gli artt. 55 e 56 rectius commi 55 e 56 dell'art. 145 della legge n. 38812000 legge finanziaria del 2001 , fornendo una interpretazione autentica del d.lgs. n. 507193 che regolava la materia, avevano chiarito che il canone doveva essere commisurato all'effettiva occupazione del suolo pubblico e non alla superficie dell'impianto pubblicitario che, inoltre, la Giunta capitolina, con successiva delibera dei maggio 2002, aveva dato mandato ai propri legali di chiudere in via transattiva il gravoso contenzioso pendente in ordine alla questione che pertanto, alla luce delle indicate deliberazioni comunali e dei criteri interpretativi della I. n. 507173 dettati dalla legge finanziaria, la domanda di accertamento negativo svolta dall'appellante risultava fondata. La sentenza, pubblicata l'11.9.06, è stata impugnata dal Comune di Roma con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui N.D.P. s.r.l. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il Comune di Roma, denunciando violazione dell'art. 9, 7° comma, dei d.lgs. n. 507193, lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto illegittimo il criterio di determinazione del canone da esso applicato nel '96 sulla scorta delle norme sopravvenute di cui ai commi 55 e 56 dell'art. 145 della legge n. 38812000, che ha erroneamente qualificato come di interpretazione autentica, attribuendo alle stesse, seppur implicitamente, valenza retroattiva. Rileva che il giudice a quo ha tratto il proprio infondato convincimento non già da un esame esegetico delle citate disposizioni, ma dall'analisi complessiva dei testi di deliberazioni comunali ed ha così finito con l'affermare, paradossalmente, che era esatto applicare in via retroattiva la modifica all'art. 9, 7° comma, del citato d.lgs., introdotta dall'art. 55 della legge finanziaria solo perché esso ricorrente aveva inteso applicarla retroattivamente. Richiama, infine, a sostegno dei proprio contrario assunto, i principi enunciati in materia dalla Corte Costituzionale e da questa Corte di legittimità. 2 Col secondo e col terzo motivo il ricorrente - ribadito che il percorso interpretativo compiuto dalla corte del merito sovverte le regole generali in tema di gerarchia delle fonti - contesta, comunque, che le deliberazioni di Giunta dei gennaio 2001 e del maggio 2002 fossero volte ad attribuire valenza retroattiva al nuovo criterio di determinazione del canone concessorio previsto dalla legge finanziaria del 2001. I motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, devono essere accolti. 3 Il 7° comma dell'art. 9 dei d.lgs. n. 507193 - dettato in tema di imposta comunale sulla pubblicità e sulle affissioni - ha attribuito ai Comuni, per l'ipotesi in cui la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni loro appartenenti, la facoltà di applicare una tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche nonché di richiedere il pagamento dei relativi canoni di locazione o di concessione. La norma, che sino alla fine del 2000 non stabiliva alcun criterio di commisurazione dei canoni concessori e lasciava perciò ai Comuni discrezionalità nella scelta dei parametri in base a cui computarli, è stata integrata, ai sensi del comma 55 dell'art. 145 della I. n. 38812000, mediante l'aggiunta, dopo le parole di concessione , della frase commisurati, questi ultimi, all'effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario . La disposizione integrativa, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte distrettuale, non ha efficacia retroattiva. Difetta, infatti, un'espressa previsione a riguardo, né ricorrono indici rivelatori dell'intenzione dei legislatore di procedere, attraverso l'integrazione, all'interpretazione autentica della norma previgente, stante l'assenza di quei presupposti situazioni di incertezza o significativi contrasti giurisprudenziali nell'applicazione del precedente testo, necessità di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria voluntas legis che, a tutela dei valore della certezza del diritto e del principio costituzionale di uguaglianza, consentono il superamento dei divieto di irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 delle preleggi, il quale, come ripetutamente ricordato dalla Corte costituzionale, rappresenta una regola essenziale dei sistema, cui il legislatore deve ragionevolmente attenersi, salvo un'effettiva causa giustificatrice Corte costituzionale nn. 7812012, 2091010, 311109, 155190 . Come già affermato da questa Corte Cass. nn. 851013, 19063106 l'intervenuta modifica dell'art. 9, 7° comma, dei d.lgs. n. 507193 ad opera del comma 55 dell'art. 145 della I. n. 38812000, con la quale è stato specificato che i canoni di concessione devono essere commisurati alla superficie dei suolo effettivamente occupata, deve dunque essere interpretata nel senso che a tale criterio di determinazione i Comuni sono obbligati ad attenersi per il futuro ovvero a partire dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 38812000 . Ne consegue la piena legittimità della delibera con la quale, nel vigore della preesistente disciplina, il Comune di Roma ha adottato un diverso criterio di determinazione dei canoni, commisurandoli alla superficie del mezzo pubblicitario utilizzato. Del tutto errato, oltre che palesemente in contrasto con la disciplina generale della gerarchia delle fonti, è poi l'assunto della corte territoriale secondo cui la valenza retroattiva dell'art. 145, comma 55, della legge finanziaria del 2001 sarebbe desumibile dal testo delle delibere della Giunta capitolina del gennaio 2001 e dei maggio 2002 la prima, che ha indubbiamente recepito l'intervenuto mutamento legislativo, non contiene alcuna previsione dalla quale possa desumersi la volontà dell'organo deliberativo di applicare il nuovo criterio di determinazione dei canoni anche alle annualità pregresse e non solo a quelle future la seconda è stata invece adottata in attuazione dell'art. 10 comma 1 lettera d della I. n. 448101, che ha demandato ai Comuni di disciplinare nel proprio regolamento misure di definizione bonaria di accertamenti e contenziosi in materia di imposta di pubblicità che tendano a favorire l'emersione dell'abusivismo, ed è dunque volta al perseguimento di tale specifico fine, non ricollegabile sotto alcun profilo alla questione dibattuta in giudizio. All'accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., e rigettare la domanda di accertamento negativo proposta da N.D.P. s.r.l. Le spese del doppio grado del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di accertamento negativo avanzata da N.D.P. - Nuova Dimensione Pubblicitaria - s.r.l. nei confronti del Comune di Roma condanna NDP s.r.l. al pagamento delle spese dei giudizi di merito, che liquida per il primo grado in € 3.000 € 400 per competenze, € 2.500 per onorari ed € 100 per esborsi e per il secondo grado in € 7.000 € 1.800 per competenze, € 4.500 per onorari, € 700 per esborsi , e di quelle dei presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre, per. tutti e tre i giudizi, accessori dovuti per legge.