E’ nulla la clausola che impone al Comune oneri economici non previsti da un impegno contabile

Nella formazione dei contratti soggetti alla c.d. evidenza pubblica l’assenza dell’impegno contabile dell’ente locale in riferimento a clausole contrattuali che prevedano generici esborsi economici a carico di quest’ultimo, rende nulla la previsione negoziale, posto che l’indicazione dell’ammontare della spesa a carico dell’ente pubblico e della fonti per farvi fronte rileva quale condizione per la validità del successivo impegno negoziale stipulato con la controparte privata.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10288/15 depositata il 20 maggio. Il caso. Il Tribunale di Civitavecchia condannava il Comune per l’inadempimento di due contratti di locazione non abitativa in quanto l’immobile era stato riconsegnato dal Comune locatore in condizioni di estremo degrado, per la cui eliminazione e per il ripristino dello stato originario dei luoghi era necessaria una spesa ingente. Dopo il rigetto del gravame da parte della Corte d’appello di Roma, il Comune propone ricorso in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della nullità dei contratti di locazione in esame per la mancanza dell’impegno contabile che avrebbe dovuto accompagnare la clausola contrattuale che prevedeva il ripristino dello stato originario dell’immobile locato prima della restituzione, includendo tale ripristino anche il deterioramento derivante dal normale uso, previsione contrastante con il disposto dell’art. 1590 c.c Sostiene il ricorrente che il procedimento di spesa degli enti locali ritiene l’impegno di spesa quale prima e cruciale fase di gestione per la realizzazione di un’obbligazione giuridicamente perfetta. La necessità dell’impegno di spesa . La Corte di legittimità rileva la fondatezza della doglianza, affermando la nullità della clausola contrattuale relativa all’obbligazione di ripristino dello stato originario dell’immobile, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale. In tema di contratti stipulati da enti locali, e in particolare dai comuni, vige il principio generale ed inderogabile della necessità dell’impegno di spesa, quale condizione per la validità degli impegni giuridici assunti. Come prevede l’art. 284, r.d. n. 383/1934 e successivamente l’art. 55, comma8, l. 8 giungo 1990, le deliberazioni dei comuni che comportano delle spese devono infatti indicare l’ammontare delle stesse e i mezzi per farvi fronte. Il diritto vivente interpreta la disposizione qualificando l’impegno di spesa quale requisito a pena di nullità, rispondente non solo alla ratio di contabilità pubblica, bensì anche alla necessità di regolarità e buon andamento finanziario delle amministrazioni locali. e la sua rilevanza a pena di nullità del contratto. La sentenza impugnata escludeva che la mancanza dell’impegno contabile di spesa e dell’attestazione di copertura finanziaria potesse assumere rilevanza nei confronti della controparte contrattuale, essendo afferente ai soli rapporti interni tra organi ed uffici dell’Ente. Tale affermazione contrasta con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di contratto di prestazione d’opera stipulato iure privatorum da un ente locale con un professionista, la delibera dei competenti organi comunali o provinciali è valida e vincolate soltanto se contiene la previsione dell’ammontare dovuto e dei mezzi finanziari per farvi fronte, principio certamente applicabile anche al caso di specie. Nella formazione dei contratti soggetti alla c.d. evidenza pubblica coesistono infatti due procedimenti collegati, il primo destinato a sfociare in un provvedimento – avente portata interna all’ente – ed il secondo funzionale alla formazione dell’accordo con la controparte. Conseguentemente, i vizi della fase amministrativa si riflettono anche sul successivo atto negoziale, rispetto al quale la delibera s’inserisce come passaggio obbligato nell’iter di formazione della volontà contrattuale della parte pubblica , invalidandolo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 febbraio – 20 maggio 2015, numero 10288 Presidente Russo – Relatore Scrima Svolgimento del processo Il Tribunale di Civitavecchia, pronunciando sulla domanda di inadempimento delle obbligazioni derivanti da due contratti di locazione e dall'art. 7 degli stessi in particolare , proposta dal Fallimento Comef S.r.l. locatore nei confronti del Comune di Civitavecchia conduttore , condannava quest'ultimo al pagamento di € 320.282,86 nonché alle spese di lite. Riteneva il Tribunale che l'immobile era stato riconsegnato al locatore in condizioni di estremo degrado e che l'importo per il ripristino nell'originario stato, in base alla specifica obbligazione assunta dal conduttore all'art. 7 dei detti contratti, ammontava ad € 320.282,86, detratti i costi non imputabili al conduttore relativi al rifacimento delle tubature delle cucine e all'adeguamento dell'impianto elettrico e dell'ascensore alla nuova normativa in tema di sicurezza. Il Giudice di primo grado affermava, altresì, che la previsione di cui all'art. 7 non confliggeva in modo insanabile con l'art. 1590 c.c. prevedente l'obbligo del destinatario di restituzione della cosa locata nel medesimo stato di originaria consegna, salvo il deterioramento dovuto all'uso effettuato in confornútà del contratto, atteso, tra l'altro, che nella specie trattavasi di locazione non abitativa, in relazione alla quale non era vigente la disciplina vincolistica rispetto alla misura delle obbligazioni del conduttore . Avverso tale decisione il Comune proponeva appello, cui resisteva il Fallimento. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 19 gennaio 2011, rigettava il gravame e condannava l'appellante alle spese di quel grado. Avverso la sentenza della Corte di merito il Comune di Civitavecchia ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito con controricorso il Fallimento Comef S.r.l Il ricorrente ha depositato memoria e il difensore della parte controricorrente ha comunicato l'intervenuta chiusura del fallimento della Comef S.r.l. con ordine al curatore di chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Motivi della decisione 1. Va anzitutto evidenziato che la chiusura del fallimento con ordine al curatore di chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese dichiarata in data 16 gennaio 2013, intervenuta dopo l'instaurazione del giudizio di legittimità e la costituzione del detto fallimento in questa sede, non rileva per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall'impulso d'ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c 2. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli arti. 183 ss. del D.Lgs. 18 agosto 2000, numero 267, recante il testo unico sulle autonomie locali art. 360, primo comma, numero 3 c.p.c. e contraddittorietà della motivazione art. 360, primo comma, numero 5, Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur prendendo atto della mancanza dell'impegno contabile che avrebbe dovuto ex lege accompagnare la clausola di cui all'art. 7 dei contratti di locazione in questione, ha contraddittoriamente rigettato l'eccezione di nullità sollevata dal Comune, trattandosi di questione attinente ai rapporti interni fra organi e uffici dell'ente ma non avente rilevanza nei confronti della controparte, in difetto di espresso richiamo in contratto ed in ossequio al principio di buona fede ed affidamento. Sostiene il ricorrente che, con riferimento agli enti locali, il procedimento di spesa annovera l'impegno quale prima e cruciale fase di gestione in cui si realizza un'obbligazione giuridicamente perfetta e al riguardo richiama quanto previsto dall'art. 183 D.Lgs. numero 267 del 2000 e precisa che l'impegno di spesa, per essere valido ed efficace richiede l'attestazione, da parte del responsabile del servizio economico finanziario, in relazione alla copertura finanziaria dell'impegno stesso. Ad avviso del Comune, pertanto, la pattuizione di cui all'art. 7 in parola, che pone a carico dell'ente un esborso di pecunia pubblica generico, prescindendo dalle modalità di cui agli arti. 183 e ss. del citato decreto legislativo, sarebbe nulla, stante la sua inidoneità a determinare il sorgere di un impegno contabile giuridicamente vincolante per il Comune. 2.1. Il motivo è fondato e va, quindi, accolto. La Corte di merito ha interpretato la clausola in questione - e sul punto non vi é specifica contestazione - nel senso che il conduttore debba riconsegnare l'immobile, alla fine della locazione, nell'identico stato in cui l'aveva a suo tempo ricevuto epoca coincidente con il conseguimento del rilascio del certificato di abitabilità , includendo, ai fini del ripristino, anche il deterioramento derivante dal normale uso. Tale clausola, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, è nulla. Se è pur vero che il citato decreto legislativo non è applicabile, racione temporis ai contratti di cui si discute in causa, risalenti al 1969, tuttavia va evidenziato che, in tema di contratti stipulati dagli enti locali e dai comuni in particolare, é principio generale inderogabile, che si è perpetuato nell'ordinamento degli enti locali territoriali, quello della necessità dell'impegno di spesa, non solo ai sensi della norma invocata dal ricorrente ma anche già ai sensi dell'art. 55, comma 5 della legge 8 giugno 1990 e, ancor prima, ai sensi degli artt. da 284 a 288 del RD. numero 383 del 1934 e successive modificazioni, e a tale principio - ad avviso di questo Collegio - sostanzialmente, fa riferimento il ricorrente, invocandone l'applicazione al caso di specie. In particolare l'art. 284 citato, al primo comma, stabiliva che le deliberazioni dei comuni, delle province e dei consorzi, che importino spese, devono indicare l'ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte . Secondo il diritto vivente, l'osservanza della riportata disposizione - la cui ratio non può essere riduttivamente individuata soltanto in un'esigenza di contabilità pubblica, in quanto pur avendo detta norma di mira la regolarità e il buon andamento finanziario delle amministrazioni locali, evitando che l'ente pubblico assuma obbligazioni senza rendersi conto della loro incidenza economica e senza valutare la propria reale capacità di adempierle, questi obiettivi sono perseguiti in funzione dell'interesse pubblico all'equilibrio economico, e quindi al buon andamento, di dette amministrazioni, in un quadro di certezza e di trasparenza che ha fondamento costituzionale art. 97 - deve ritenersi prescritta a pena di nullità, alla luce della generale previsione di cui al successivo art 288 dello stesso R.D., che statuiva la nullità delle deliberazioni prese in adunanze illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle attribuzioni degli organi deliberanti o che contengano violazioni di legge . Dal combinato disposto dei due precetti discende, infatti, che le deliberazioni - che importino spese e non indichino l'ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte - sono nulle perché adottate in violazione di legge, stante il carattere tassativo della prima disposizione devono indicare . L'affermazione della Corte di merito, secondo cui la mancanza dell'impegno contabile di spesa e dell'attestazione di copertura finanziaria costituisce questione afferente ai rapporti interni fra organi ed uffici dell'Ente ma non può assumere rilevanza nei confronti dell'instaurato rapporto, non è corretta, alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte in rapporto alla violazione dell'art. 384, primo comma, del R.D. numero 383 del 1934 e in tema di contratto di prestazione d'opera stipulato, iure privaíorum, da un ente locale con un professionista, ma sicuramente applicabile anche al caso ora all'esame e secondo cui, nel vigore del combinato disposto degli artt. 284 e 288 del predetto regio decreto, la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano a un professionista privato l'incarico per la progettazione di un'opera pubblica é valida e vincolante nei confronti dell'ente locale soltanto se contenga la previsione dell'ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte l'inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, nullità che si estende al contratto successivamente stipulato, escludendone l'idoneità a costituire titolo per il compenso Cass., sez. unumero , 10 giugno 2005, numero 12195 . Con il ricordato arresto le Sezioni Unite hanno precisato che la tesi, alla quale ha evidentemente aderito la Corte di merito, e secondo cui il vizio della delibera produrrebbe conseguenze circoscritte al solo ambito organizzativo dell'ente, senza incidere negativamente sui diritti acquisiti dall'altro contraente in forza del contratto stipulato iure privato rum, si scontra, infatti, con la considerazione che nella formazione dei contratti soggetti alla cd. evidenza pubblica tra cui quelli stipulati dagli enti locali coesistono due procedimenti collegati il primo, destinato a sfociare in un provvedimento deliberazione a contrarre da parte degli organi competenti con cui si esterna lo scopo da perseguire ed i relativi strumenti il secondo funzionale alla formazione dell'accordo tra le parti contraenti secondo le norme privatistiche, salve alcune varianti correlate segnatamente alle procedure da seguire per la scelta del contraente. Ne discende che - fermo restando pure il consolidato principio per cui la deliberazione, fino a quando non venga tradotta in un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante dell'ente e dall'altra parte contraente, è atto con efficacia interna, inidoneo a determinare la costituzione del relativo rapporto negoziale - i vizi della fase amministrativa - quelli, cioè, che rendano la delibera radicalmente nulla e non semplicemente annullabile - vitiantur et viliant, ossia si riverberano anche sull'atto negoziale successivo, rispetto al quale la delibera a contrarre s'inserisce come passaggio obbligato nell'iter di formazione della volontà contrattuale della parte pubblica, proprio perché tale volontà non si può ritenere validamente formata nella sede propria e, sul piano negoziale, il contratto viene ad essere stipulato in contrasto con una norma imperativa, con le conseguenze di cui all'art. 1418, primo comma, c.c. Cass., sez. unumero , 10 giugno 2005, numero 12195 v. pure, in motivazione, 26 maggio 2006, numero 12636 Cass. 2 luglio 2007, numero 18144 Cass. 28 dicembre 2010, numero 26202 e Cass. 18 novembre 2011, numero 24303 . 3. L'esame del secondo motivo con cui si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1590, 1339 e 1419 c.c. e del terzo motivo con cui si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1223, 1218 c.c. , resta assorbito dall'accoglimento del primo motivo. 4. Alla luce delle argomentazioni che precedono, va accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo e il terzo la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà al suddetto principio di diritto e a quanto sopra evidenziato. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.