Il creditore, che ha rilasciato quietanza, non può poi lamentarsi per non aver ricevuto il prezzo integrale

In caso di quietanza di pagamento in forma tipica, il creditore che l’ha rilasciata non può superare la vincolatività della stessa provando semplicemente di non aver ricevuto il pagamento, poiché il modello giuridico di riferimento non è, in questi casi, quello della relevatio ab onere probandi e dell’inversione dell’onere della prova tipico delle dichiarazioni ricognitive assertive di diritti. Il creditore potrà dunque impugnare la quietanza non veritiera soltanto dimostrando che il divario tra realtà e dichiarazione è una conseguenza di errore di fatto o violenza, mentre al di fuori di queste ipotesi, vale il principio di autoresponsabilità, che vincola il quietanzante alla contra se pronuntiatio .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10202/15 depositata il 19 maggio. Il caso. La pronuncia in commento origina dalla causa promossa dal venditore di un immobile per l’ottenimento del saldo finale del corrispettivo della compravendita che sosteneva di aver incassato solo 600 dei 700 milioni di vecchie lire pattuiti. Gli acquirenti resistevano dichiarando di aver integralmente pagato il prezzo, come risultante dalla quietanza di pagamento, rilasciata dal creditore con atto pubblico, in cui veniva indicato il prezzo di 300 milioni di lire, accompagnato dalla rinuncia della controparte all’ipoteca legale. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, ma la Corte d’appello ribaltava completamente la decisione, respingendo le pretese del venditore ed argomentando con riferimento alla valenza pienamente liberatoria della quietanza di pagamento da lui stesso rilasciata, qualificabile come confessione stragiudiziale, con efficacia di piena prova ai sensi dell’art. 2725 c.c L’estensione degli effetti della quietanza. Il creditore ricorre avverso la pronuncia di seconde cure innanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che l’efficacia liberatoria della quietanza avrebbe dovuto essere limitata alla cifra in essa indicata, essendo priva di un’inequivocabile e generale abdicazione a ogni pretesa. Il ricorrente argomentava la propria doglianza anche sul riferimento al fatto che il prezzo indicato nella quietanza era simulato ed inferiore a quello dissimulato, non menzionato nella stessa, ma al quale i giudici di merito avevano comunque esteso l’efficacia liberatoria. La Corte di Cassazione rileva l’infondatezza e l’inammissibilità del ricorso che trascura la ratio della sentenza impugnata, la quale ha valorizzato l’espressa rinuncia del quietanzante ad ogni diritto di ipoteca legale, con una chiara volontà di attestare l’avvenuta integrale definizione ed estinzione di ogni residua pendenza economica tra le parti . La pretesa simulazione. Nessun pregio merita la doglianza relativa alla simulazione del prezzo, poiché correttamente la Corte territoriale ha affermato che nel caso in cui il venditore abbia rilasciato una quietanza pienamente liberatoria, ma abbia in realtà ricevuto solo una parte del prezzo pattuito e chieda di provare tale situazione, non si tratta di simulazione del negozio, in quanto tale situazione esula dal disposto dell’art. 1414 c.c L’onere della prova. La parte attrice avrebbe dovuto offrire la prova del non integrale pagamento, in quanto tutti gli elementi presuntivi dettagliatamente analizzati dalla sentenza impugnata smentiscono tale assunto. La linea interpretativa proposta dal ricorrente contrasta infatti con la consolidata giurisprudenza in materia di simulazione contrattuale e quietanza, la quale ha costantemente ribadito che di fronte ad una quietanza di pagamento in forma tipica, cioè di atto rilasciato al debitore dal creditore, quest’ultimo non può superare la vincolatività della quietanza sulla base della semplice prova di non aver ricevuto il pagamento, poiché il modello di riferimento non è quello della relevatio ab onere probandi e dell’inversione dell’onere della prova, tipico delle dichiarazioni ricognitive assertive di diritti ex art. 1988 c.c La quietanza non veritiera può dunque essere efficacemente impugnata soltanto attraverso al dimostrazione che il divario tra realtà e dichiarazione è la conseguenza di errore di fatto o violenza, mentre al di fuori di queste ipotesi, vale il principio di autoresponsabilità, che vincola il quietanzante alla contra se pronuntiatio assertiva del fatto dell’intervenuto pagamento, seppure non corrispondente al vero . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 gennaio – 19 maggio 2015, n. 10202 Presidente Mazzacane – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 Dal 2001 l'odierno ricorrente pretende 100 milioni di lire dai signori V.G. e C. a titolo di saldo finale del prezzo di acquisto di una porzione di fabbricato sito in omissis , mappale 398 sub 1 e 3- 2 e 4. Sostiene di aver incassato soltanto 600 dei 700 milioni di lire pattuiti. I convenuti hanno sempre opposto di aver integralmente pagato il prezzo e che la quietanza era stata data nell'atto pubblico del 31 luglio 2000, in cui tuttavia il prezzo era stato indicato in soli 300 milioni di lire. Il tribunale di Alessandria ha accolto la domanda dell'attore D.S. , ma la Corte di appello di Torino con sentenza 23 luglio 2007 ha capovolto la decisione e ha respinto la pretesa. D.S. ha impugnato questa sentenza con un motivo di ricorso per cassazione, notificato il 22 ottobre 2008, resistito da controricorso V. . Motivi della decisione 2 La Corte d'appello ha ritenuto che la quietanza rilasciata nel rogito valeva a liberare gli acquirenti da ogni debito, essendo richiamata la pienezza del saldo, con rinuncia del venditore all'ipoteca legale. Ha osservato che era onere dell'attore fornire la prova della non veridicità della quietanza da lui rilasciata. Prova del tutto mancata, in assenza di riscontri contabili di pagamento. Ha infine richiamato la natura di confessione stragiudiziale della quietanza . stessa, con efficacia di piena prova ex art. 2735 cc. Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1199 e 1414 anche in relazione all'art. 1364 c.c. . Sostiene che la quietanza ha efficacia liberatoria solo per la somma specificata, circoscritta al quantum che, con essa, si attesta essere stato ricevuto. Per avere portata più ampia dovrebbe emergere inequivocabilmente da essa un'abdicazione di ogni pretesa dichiarazione liberatoria . Nel caso di specie non vi sarebbe questa chiara volontà, perché la quietanza era inserita in una clausola contrattuale che indicava un prezzo simulato. Questo il quesito di diritto Dica la Corte Suprema se è conforme a diritto estendere l'efficacia liberatoria della quietanza rilasciata con riferimento al prezzo simulato di un contratto di compravendita anche al maggior prezzo dissimulato, non menzionato in tale contratto”. 3 La censura è sia inammissibile che infondata. Essa si muove in una prospettiva che non affronta la duplice ratio decisiva della sentenza impugnata. I giudici di appello hanno in primo luogo chiaramente valorizzato che nell'atto di vendita non veniva solo accusata la ricezione del pagamento di 300 milioni di lire, cioè il prezzo indicato in atto, ma che il D. aveva rilasciato ampie finali quietanze liberatorie di pieno saldo, con espressa rinuncia ad ogni diritto di ipoteca legale . Riportando la testuale dizione contrattuale, la Corte territoriale ha desunto da questa formula la chiara volontà di attestare l'avvenuta integrale definizione ed estinzione di ogni residua pendenza economica tra le parti . Invano parte ricorrente lamenta, denunciando una violazione di legge, che la valutazione della portata della quietanza liberatoria sarebbe erronea ricorso pag. 6 . Come rilevato dal procuratore generale in udienza, questa censura avrebbe potuto e dovuto, in ipotesi, essere prospettata sotto il profilo del vizio di motivazione, cioè della ricostruzione fattuale del contenuto della dichiarazione espressa nella quietanza, interpretata come si è detto dalla Corte di appello. 4 Non pertinente è la censura svolta, peraltro prospettata senza farsi carico del fatto che ci si trova in presenza una quietanza titolata, cioè facente riferimento al rapporto fondamentale, quale è quella che abbia per oggetto il pagamento del saldo prezzo di vendita di un immobile e contenga il riferimento al contratto di compravendita. La Corte di appello infatti ha completato la motivazione della sentenza aggiungendo, con la citazione della massima di Cass. 4522/93, che quando il venditore deduca che, nonostante nel contratto abbia rilasciato quietanza liberatoria per l'intero prezzo della vendita, aveva in realtà ricevuto parte del prezzo stesso, e chieda di provare tale assunto, non si è in presenza di una simulazione del negozio, neppure con riguardo al prezzo della compravendita, sicché l'ipotesi esula dalla disciplina degli artt. 1414 e ss. cod. civ., comportando soltanto l'indagine sulla verità della dichiarazione unilaterale del venditore di aver ricevuto il prezzo integrale”. La Corte di appello ha pertanto rimproverato a parte attrice di non aver offerto la prova, che su di essa incombeva cfr anche Cass. 5623/89 , di non aver ricevuto l'integrale prezzo di settecento milioni di lire, circostanza smentita dagli elementi presuntivi dettagliatamente recensiti nella sentenza impugnata, e della relativa volontà di quietanzare solo parte del prezzo e non l'intero importo realmente pattuito . Questi principi sulla assenza della prova richiesta e sull'onere della prova, fondamentale ratio della decisione, non sono stati oggetto di specifica censura. Coglie quindi nel segno il rilievo di parte resistente, secondo la quale il quesito e le argomentazioni del ricorso non sono sufficienti ad attaccare la decisione. 5 Resta però da aggiungere, per completezza argomentativa, che, a prescindere dalla sua inconferenza, la linea interpretativa sostenuta in ricorso è contraria all'insegnamento delle Sezioni Unite sia in materia di simulazione contrattuale, scandita da Cass. 6877/02 e 7246/07, sia in tema di forza probatoria della quietanza. Da ultimo Cass. 19888/14 ha infatti manifestato una sfumatura limitativa in ordine al valore probatorio della quietanza solo con riguardo alla c.d. quietanza atipica, contenuta nelle dichiarazioni di vendita degli autoveicoli indirizzate al conservatore del pubblico registro automobilistico. Ha però utilmente ribadito in motivazione, contraddicendo quindi le tesi di cui al ricorso, che a fronte di quietanza in forma tipica, cioè di atto rilasciato dal creditore al debitore, al creditore quietanzante non è sufficiente, per superare la vincolatività della dichiarazione, provare di non avere ricevuto il pagamento, perché il modello di riferimento non è quello della relevatio ab onere probandi e dell'inversione dell'onere della prova che caratterizza le dichiarazioni ricognitive asseverative di diritti ex art. 1988 cod. civ Il creditore è ammesso ad impugnare la quietanza non veridica soltanto attraverso la dimostrazione - con ogni mezzo - che il divario esistente tra realtà e dichiarato è conseguenza di errore di fatto o di violenza. Fuori di questi casi, vale il principio di autoresponsabilità, che vincola il quietanzante alla coltra se pronuntiatio asseverativa del fatto dell'intervenuto pagamento, seppure non corrispondente al vero”. Questo enunciato rende ancor più chiara la infondatezza del ricorso. Discende da quanto esposto anche la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 4.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso spese generali.