Determinazione compenso professionisti: non può prescindere dalla convenzione intervenuta fra le parti

I compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere concordati in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, con possibilità di concordare una riduzione dei minimi tariffari, senza nullità del patto derogatorio degli anzidetti limiti minimi tariffari e tantomeno l’obbligo dell’amministrazione committente di liquidare al professionista il maggior compenso richiesto in base alle proprie parcelle.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8502, depositata il 27 aprile 2015. Il fatto. Il Tribunale di Latina emetteva decreto ingiuntivo nei confronti del Comune di Latina, con il quale ingiungeva allo stesso di pagare una somma di denaro per la prestazione professionale svolta dalle parti ricorrenti personalmente o dai loro danti causa. Il Comune proponeva opposizione al detto decreto ingiuntivo, nelle more del giudizio di opposizione interveniva una transazione con la quale il Comune si impegnava a corrispondere ai richiedenti professionisti una somma di denaro pari circa alla metà di quella stabilita con il provvedimento monitorio . Per effetto di tale transizione, il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere e revocava, quindi, il decreto ingiuntivo. Contro tale decisione proponevano appello gli originari ricorrenti, chiedendo la declaratoria di nullità o comunque di inefficacia dell’intervenuta transazione. La Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame e, ferma restando la revoca dell’opposto decreto ingiuntivo, condannava il Comune a pagare una somma di denaro ancora più bassa . Contro tale decisione si rivolgono alla Corte di Cassazione gli originari ricorrenti. Interpretazione norme contrattuali. Con i primi due motivi i ricorrenti vanno a colpire l’aspetto della decisione di merito gravata concernente l’interpretazione del contratto inter partes . Il Collegio, sul punto, ritiene che la sentenza impugnata sia immune da vizi, avendo con logica motivazione dato adeguato conto della valutazione operata. In particolare, i giudici di merito hanno dato atto che il contratto cui si appigliano le parti ricorrenti, consta di un tenore letterale che non lascia adito a dubbi circa il diritto dei professionisti al corrispettivo per l’opera professionale svolta. Non è, quindi, fondata a parere del Collegio, la censura relativa ad una pretesa necessaria non svolta interpretazione cumulativa e congiunta di tutte le norme contrattuali. Determinazione di criteri per la determinazione del compenso dei professionisti nell’ambito del contratto d’opera. Con altro motivo di ricorso, le parti chiedono alla Corte di esprimersi in ordine all’individuazione della tariffa applicabile in sede di redazione di parcelle professionali di ingegneri ed architetti, cioè se era applicabile quella in vigore al tempo del conferimento dell’incarico o al tempo in cui l’incarico è eseguito. Chiedono alla Corte di rispondere ad un ulteriore quesito, e cioè se la norma che prevede l’inderogabilità dei minimi tariffari per gli ingegneri e gli architetti si applica agli incarichi già conferiti, ma non ancora portati ad esecuzione. Il Collegio ritiene, in primo luogo, che la tariffa applicabile era quella prevista al momento della stipulazione del contratto. Ed a quel momento era consentita – ricorrendo, come nel caso di specie, speciali accordi” in forma scritta tra le parti – la derogabilità alle suddette tariffe. Vi era, dunque, la possibilità di derogare alle tariffe professionali applicabili nella fattispecie, cosa che le parti fecero. Peraltro, il Collegio richiama sul punto il consolidato orientamento della Corte di legittimità in base al quale i compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere concordati, ex art. 4, comma 12-bis, d.l. n. 65/1989, in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, con possibilità di concordare una riduzione dei minimi tariffari, senza nullità del patto derogatorio degli anzidetti limiti minimi tariffari e tantomeno l’obbligo dell’amministrazione committente di liquidare al professionista il maggior compenso richiesto in base alle proprie parcelle . Tutto ciò nel generale contesto della determinazione di criteri per la determinazione del compenso dei professionisti nell’ambito del contratto d’opera, che non può prescindere in primo luogo dalla convenzione che sia intervenuta fra le parti . Sulla base delle suesposte argomentazioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 febbraio – 27 aprile 2015, n. 8502 Presidente Piccialli – Relatore Oricchio Considerato in fatto Il Tribunale di Latina, a seguito di apposito ricorso da parte di D.B.F. , Fi.Gi. , B.N. e F.B. , nonché di Ba.Ca. , L.N. , F. ed A. quali eredi di L.E. e Z.C. e S.F. e Fa. , quali eredi di Sc.Fe. , emetteva decreto ingiuntivo n. 2606/1993. Col detto provvedimento monitorio veniva ingiunto al Comune di Latina di pagare, per prestazione professionale svolta dalle suddette parti personalmente o dai loro danti causa, la somma complessiva di L. 669.462.946. La vicenda per cui veniva proposto il ricorso per decreto ingiuntivo faceva seguito al contratto per iscritto con cui il medesimo Comune, in data 9 febbraio 1976 aveva affidato si impegnava a per lì espletamento dell'opera professionale consistente nella compilazione della progettazione di massima ed esecutiva della viabilità principale di alcune zone del P.R.G. di quella città, cui seguiva progetto approvato con delibera municipale n. 149 del 27 novembre 1984. Il Comune di Latina proponeva opposizione al detto decreto ingiuntivo. Nel giudizio di opposizione interveniva P.M. , che chiedeva - in quanto anch'esso affidatario del suddetto incarico - la condanna del Comune al pagamento della parte di onorario ad esso spettante. Nelle more del giudizio di opposizione interveniva transazione del 19 ottobre 2010 con la quale il Comune si impegnava a corrispondere ai richiedenti professionisti la somma di Euro 231.496,64. All'esito l'adito Tribunale di Latina, con sentenza n. 3246/2003 dichiarava cessata la materia del contendere per effetto dell'anzidetta intervenuta transazione, revocava l'opposto decreto ingiuntivo ed affermava l'inesistenza della prova delle effettiva qualità di eredi dei deceduti professionisti L.E. e Sc.Fe. , delle succitate parti qualificatesi come tali. Avverso la sentenza del Tribunale di prima istanza proponevano appello, con separati atti, P.M. , nonché D.B.F. , Fi.Gi. , B.N. , F.B. e S.F. e Fa. , chiedendo –rispettivamente - la declaratoria di nullità o, comunque, l'inefficacia dell'intervenuta transazione e la nullità dell'opposizione del Comune per difetto di mandato alle liti. Resisteva ai proposti appelli l'Ente, chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza. Riuniti i due giudizi di appello, adita Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3154/2008, accoglieva l'appello per quanto di ragione e, ferma restando la revoca dell'opposto decreto ingiuntivo, condannava il Comune di Latina a pagare in favore di P.M. , D.B.F. , Fi.Gi. , B.N. , F.B. e S.F. e Fa. questi ultimi due quali eredi di Sc.Fe. la somma di Euro 21.691,19, oltre interessi ex art. 9 L. n. 143/1948 dal 22 agosto 1987 al saldo, nonché alla refusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio e di consulenza tecnica di ufficio. Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorrono D.B.F. , Fi.Gi. , F.B. e S.F. e Fa. con atto affidato a tre ordini di motivi. Resiste con controricorso il Comune di Latina. Hanno depositato, nell’approssimarsi dell'udienza di discussione, note illustrative - ai sensi dell'art. 378 c.p.c. - i ricorrenti D.B. ed altri ed il Comune di Latina. Ritenuto in diritto 1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione di legge, artt. 1362, 1363, 1366, 1369 c.c. in relazione all'art. 360, 1 comma n. 3 c.p.c. . Il motivo è assistito dalla formulazione di quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. del seguente testuale tenore in sede di interpretazione del contratto e di applicazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c. può il Giudice utilizzare il solo dato letterale di una porzione del contratto omettendo di valersi cumulativamente e congiuntamente di tutti i criteri interpretativi di cui alle norme citate? . 2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. . Il motivo, pur in assenza di un esplicitato motivo di sintesi quanto al fatto controverso e decisivo in ordine al quale si sarebbe verificata la lamentata carenza motivazionale, sembrerebbe far riferimento ad una insufficienza motiva della decisione gravata, che si limita a fornire 'interpretazione di una sola parte dell'articolo in esame, tale che detta carenza e lacuna nelle , riverbera direttamente sulla correttezza decisoria . 3.- I due motivi innanzi esposti possono essere trattati congiuntamente attesa la loro contiguità e continuità logica ed argomentativa. Entrambi tendono a colpire, con unico intento logico e varie argomentazioni, l'aspetto della decisione di merito gravata concernente l’interpretazione del contratto inter partes. Senonchè, in punto, la sentenza gravata appare immune da vizi, avendo con logica ed adeguata motivazione dato adeguato conto della valutazione operata. Il tutto facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie. In particolare è stato dato atto che il contratto del 9/2/1976, cui si appigliano le parti ricorrenti, consta di un tenore letterale che non lascia adito a dubbi circa il diritto dei professionisti al corrispettivo per l'opera professionale svolta. Più specificamente, ancora, l'art. 11 del detto contratto aveva ad oggetto i termini di scadenza dell'obbligazione a carico del Comune, nel mentre era solo l’art. 10 del detto contratto la norma che disciplinata ed approfonditamente la questione del corrispettivo dovuto al gruppo di professionisti incaricati. Non è, quindi, affatto fondata la censura relativa ad una pretesa necessaria non svolta interpretazione cumulativa e congiunta di tutte le norme contrattuali. Ancora e, più specificamente, è del tutto infondata la doglianza a quanto pare retrostante il secondo e on facilmente intellegibile motivo in esame in ordine alla questione delle spese. La Corte distrettuale con evidenziata e corretta valutazione rientrante nelle attribuzioni tipiche del Giudice del merito ha ritenuto l'inesistenza di qualsivoglia dubbio in ordine alla onnicomprensività del compenso di cui al contratto inter partes, che – pertanto - non poteva giustificare in alcun modo l'attribuzione di ulteriori somme a titolo di spese. Entrambi i motivi in esame vanno, quindi, respinti. 4.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione di legge n. 143 del 2.3.1949, art. unico L. 4.3.1958 n. 143, art. unico L. 5.5.1970 n. 340, art. 6 L. 1.7.1977 n. 4040, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. . Viene, al riguardo, sottoposto al vaglio di questa Corte il seguente testuale quesito di diritto al fine di individuare la tariffa applicabile in sede di redazione di parcelle professionali di ingegneri ed architetti, deve farsi riferimento alla tariffa in vigore al tempo del conferimento dell'incarico o a quello in cui l'incarico è eseguito? La norma che prevede l'inderogabilità dei minimi tariffari per gli ingegneri e gli architetti si applica ad incarichi già conferiti, ma non ancora portati ad esecuzione? . La duplice questione in parte, per di più, nuova sollevata dalle parti ricorrenti col motivo in esame è priva di fondamento. L'applicazione della tariffa non poteva che essere quella prevista al momento della stipulazione del contratto. Ed, a quel, momento, era consentita - ricorrendo, come in ipotesi, speciali accordi in forma scritta fra le partila derogabilità alle suddette tariffe. Vi era, insomma, la possibilità - cui nell'ipotesi le parti fecero ricorso - di derogabilità delle tariffe professionali applicabili nella fattispecie. Peraltro è noto e deve, in questa sede, brevemente richiamarsi il ribadito orientamento di questa Corte, secondo cui i compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere concordati, ex art. 4 co. 12-bis del D.L. n. 65/1989 in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, con possibilità di concordare una riduzione dei minimi tariffari senza nullità del patto derogatorio degli anzidetti limiti minimi tariffari e tantomeno l'obbligo dell'Amministrazione committente di liquidare al professionista il maggior compenso richiesto in base alle proprie parcelle Cass. civ. Sez. I, Sent. 11 agosto 2009, n. 18223 . Il tutto nel più generale contesto della determinazione dei criteri per la determinazione del compenso dei professionisti nell'ambito del contratto d'opera, che – in ogni caso - non può prescindere in primo luogo dalla convenzione che sia intervenuta fra le parti Cass. civ., Sez. II, Sent. 5 ottobre 2009, n. 21235 . Il motivo in esame è, quindi, del tutto infondato e, pertanto, deve essere rigettato. 5.- In considerazione di tutto quanto innanzi esposto, affermato e dedotto il ricorso va rigettato. 6.- Le spese seguono la soccombenza e, per l'effetto, si determinano così come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore, del contro ricorrente delle spese del giudizio determinate in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.