La clausola di risoluzione espressa, in caso di morosità, determina la risoluzione del contratto anche se il conduttore provvede a versare i canoni scaduti

La sanatoria di cui all'art. 55 l. n. 392/1978 si applica alle locazioni abitative ma non a quelle commerciali. Il locatore che abbia domandato la risoluzione non è posto in condizione di sospendere l'adempimento della propria obbligazione. Non è dunque neppure ipotizzabile il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente. Se l'inadempimento del conduttore perduri e si aggravi, di quell'aggravamento il giudice deve tener conto, mentre resta irrilevante che il conduttore adempia dopo la proposizione della domanda di risoluzione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8002, depositata il 20 aprile 2015. Il caso. Il locatore di un immobile ceduto in locazione commerciale, rilevato il mancato pagamento di alcuni canoni mensili, proponeva intimazione di sfratto per morosità. All'udienza, parte ricorrente dava atto della sopravvenuta regolarizzazione dei pagamenti e chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione del contratto in ragione di clausola risolutiva contenuta all'interno del negozio che prevedeva la risoluzione in caso di mancato pagamento di due canoni. Il conduttore si opponeva alla risoluzione. Il tribunale accoglieva la domanda formulata da parte ricorrente, dichiarava risolto il contratto ed emetteva sentenza che dichiarava la risoluzione e ordinava il rilascio. La Corte d'appello confermava la decisione di primo grado. Parte soccombente ha proposto ricorso per cassazione. Morosità e risoluzione del contratto di locazione. Parte conduttrice ha affermato di aver adempiuto alla morosità prima dell'intimazione di sfratto pertanto, la Corte territoriale aveva errato nel rilevare e statuire la risoluzione del contratto. La Cassazione ha chiarito che l'atto di intimazione di sfratto e la risoluzione di diritto del contratto sono atti e momenti tra loro distinti e separati. La regolarizzazione della morosità non esclude la risoluzione del contratto. L'art. 55 l. n. 392/1978 attribuisce al conduttore la possibilità di sanare la morosità nell'udienza di convalida dello sfratto per non più di tre volte in un quadriennio, tuttavia, detta norma si applica per le locazioni abitative e non per le locazioni commerciali. La disciplina di cui all'art. 55, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Ed infatti, il legislatore, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando nell'ultimo termine consentitogli, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall'art. 5 della stessa legge, quindi, è la stessa disposizione di cui all'art. 55 a delineare la limitazione del suo ambito di applicazione alle sole locazioni abitative. Modalità di pagamento e mora. La Cassazione ha chiarito che la tolleranza delle diverse modalità di pagamento del canone non implica automaticamente la possibilità di tollerare ritardi nel pagamento che scaturiscano dalle diverse modalità di versamento del canone. Ove il conduttore vari le modalità prescelte per il pagamento, deve provvedere in modo tale che siano rispettate le tempistiche di pagamento. Il giudice non ha il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del termine previsto per il pagamento del canone dipenda dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso per adempiere es. pagamento a mezzo bonifico , perché l'obbligazione di pagamento del canone, in mancanza di diversa pattuizione, deve essere adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, e perciò il rischio di ritardo o mancata ricezione resta a carico del debitore ed attiene alla fase preparatoria del pagamento - Cass. n. 9370/2006. Inadempimento e risoluzione. La Cassazione ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale a tenore del quale ai fini dell'emissione della pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore, il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda. Come in tutti i contratti di durata in cui la parte abbia domandato la risoluzione, il locatore non è posto in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione. Non è dunque neppure ipotizzabile il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata ed è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna. Se l'inadempimento del conduttore perduri e si aggravi, di quell'aggravamento il giudice deve tener conto, mentre resta irrilevante che il conduttore adempia dopo la proposizione della domanda di risoluzione. Con queste argomentazioni, i giudici di legittimità hanno respinto tutti i motivi di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 gennaio – 20 aprile 2015, n. 8002 Presidente/Relatore Amendola Svolgimento del processo Con atto notificato in data 8 agosto 2008 G.A. intimò sfratto per morosità a D. s.r.l. assumendo che i canoni dei mesi di luglio e agosto, relativi al contratto di locazione a uso commerciale di un immobile sito in Desenzano del Garda, non erano stati pagati. All'udienza all'uopo fissata, assente l'intimata, il G. diede atto dell'avvenuta sanatoria della morosità. Rilevato tuttavia che nel contratto era prevista una clausola risolutiva espressa, in caso di mancato pagamento di due canoni, chiese ed ottenne la pronuncia di ordinanza di rilascio, ex art. 665 cod. proc. civ. Costituitasi nel giudizio di merito, D. s.r.l. contestò l'avversa pretesa. Il giudice adito accolse la domanda. Con la decisione ora impugnata, emessa in data 30 giugno 2010, la Corte d'appello di Brescia ha respinto l'appello proposto dalla soccombente società. Il ricorso per cassazione proposto da D. s.r.l. è affidato a 4 motivi. Si è difeso con controricorso G.A Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo l'impugnante lamenta violazione dell'art. 665 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali. Deduce che, già prima della notifica dell'atto di intimazione di sfratto, il conduttore aveva completamente saldato la morosità relativa ai mesi di luglio e agosto 2008, il cui ritardato pagamento era dipeso esclusivamente da circostanze non imputabili alla debitrice, essendo stato determinato da disguidi tecnici nella trasmissione dei bonifici da parte della Banca Popolare di Cremona, incaricata di accreditare mensilmente il canone dovuto al G. . Ciò posto - e ricordato che in occasione della prima udienza di convalida lo stesso locatore aveva dato atto della sanatoria della morosità - sostiene la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, ex art. 665 cod. proc. civ. è preclusa in caso di mancata persistenza della morosità. 1.2 Con il secondo mezzo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 1176 cod. civ., con riferimento alla ritenuta responsabilità della conduttrice per il ritardo nell'adempimento, senza considerare che l'adozione di un mezzo di pagamento del canone diverso dal versamento di moneta avente corso legale presso il domicilio del locatore, era stata pacificamente da questi tollerata, al pari del lieve ritardo nei pagamenti mensili e della conseguente disponibilità giuridica delle somme dovute oltre il termine contrattualmente previsto, sì da diventare una prassi regolatrice del rapporto. 1.3 Con il terzo motivo l'impugnante prospetta vizi motivazionali circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex artt. 1218 e 1453 cod. civ Il giudice di merito, nel ritenere la società conduttrice responsabile per inadempimento, non avrebbe valutato l'assenza di colpa in capo alla stessa per essere il ritardo nell'accredito dei canoni dipeso esclusivamente da disguidi tecnici del sistema interno della Banca Popolare di Cremona. Segnatamente in maniera affatto incomprensibile la Corte territoriale aveva ritenuto insufficiente la prova documentale costituita dalla dichiarazione scritta rilasciata dal predetto Istituto, lamentando l'assenza di una conferma testimoniale . 1.4 Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1456 cod. civ Sostiene la ricorrente che, nella fattispecie, nonostante i ritardi accumulati dal conduttore nel pagamento dei canoni, il locatore non aveva in alcun modo invocato la clausola risolutiva espressa di talché, sanata la morosità, la clausola stessa era diventata inefficace. E tanto in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità per cui la dichiarazione di volersene avvalere, ex art. 1456, comma 2, cod. civ., può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, ma non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali. 2 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, non hanno pregio, per le ragioni che seguono. Buona parte di quelle svolte nel primo mezzo contestano la sussistenza dei presupposti per la pronuncia dell'ordinanza di rilascio, ex art. 655 cod. proc. civ., insistendo, al riguardo, sulla pacifica, avvenuta sanatoria della morosità, mercé il versamento dei canoni impagati. Trattasi tuttavia di censure inammissibili, perché l'ordinanza di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. - priva dei caratteri della definitività e della decisorietà, in quanto non irrevocabile, né idonea a statuire, in via definitiva, sui diritti e sulle eccezioni delle parti confr. Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12846 Cass. civ. 19 giugno 2008, n. 16630 - non è impugnabile autonomamente, né è suscettibile di passare in giudicato, tanto più laddove, come nella fattispecie, essa sia stata completamente assorbita dalla pronuncia di risoluzione confr. Cass. civ. 19 luglio 1996, n. 6522 . 3 Tale rilievo è stato del resto formulato anche dal giudice di appello, allorché ha osservato che la questione della insussistenza dei presupposti per l'emanazione dell'ordinanza ex art. 665 cod. proc. civ., era anzitutto irrilevante, considerato che, disposto il mutamento di rito, era stata pronunciata la risoluzione del contratto, con condanna al rilascio. Ed è significativo che la ricorrente ometta completamente di confrontarsi con tale passaggio argomentativo della sentenza impugnata, idoneo a essere qualificato in termini di autonoma ratio decidendi della scelta decisoria adottata, così incorrendo in un ulteriore profilo di inammissibilità confr. Cass. civ. sez. un. 29 marzo 2013, n. 7931 . 4 Miglior sorte non hanno le ulteriori doglianze formulate dall’impugnante, il cui esame, per ragioni di ordine logico, deve partire da quelle svolte nell'ultimo motivo. I principi giuridici ivi richiamati, effettivamente conformi alla giurisprudenza di questa Corte confr. Cass. civ. 24 novembre 2010, n. 23824, in motivazione Cass. civ. 22 ottobre 2004 n. 20595 Cass. civ. 18 giugno 1997 n. 5455 Cass. civ. 5 maggio 1995 n. 4911 , non giovano tuttavia all'esponente, per le ragioni che seguono. E invero, con riguardo alle locazioni a uso commerciale, l'offerta o il pagamento del canone che, se effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono l'emissione, ai sensi dell'art. 665 cod. proc. civ., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, terzo comma, cod. proc. civ. , non comportano tuttavia l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, nel giudizio susseguente a cognizione piena, in quanto ad esse non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in tema di termine di grazia, di talché, ai sensi dell'art. 1453, terzo comma, cod. civ., dalla data della domanda volta allo scioglimento del vincolo - che é quella già avanzata ex art. 657 cod. proc. civ. con l'intimazione di sfratto - il conduttore non può più adempiere confr. Cass. civ. 31 maggio 2010, n. 13248 . E invero il legislatore, nel dettare la disciplina di cui all'art. 55 innanzi menzionato, ha sì previsto che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitarla pagando, nell'ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri e accessori, ma ha escluso dalla sfera di applicabilità della norma le locazioni a uso commerciale, come dimostra, in maniera invincibile, l'espresso richiamo alle obbligazioni di cui all'articolo 5, dettato in tema di locazioni di immobili urbani adibiti a uso abitativo, conseguentemente limitando a queste ultime la portata della disposizione confr. Cass. civ. sez. un. 28 aprile 1999, n. 272 . 5 Tanto premesso e precisato in ordine alla compatibilità giuridica tra sanatoria della morosità e attivazione della clausola risolutiva espressa, rileva il collegio che la contestazione volta a far valere che in realtà non vi sarebbe mai stata, da parte del locatore, dichiarazione di volersi avvalere della stessa, introduce una questione nuova, in quanto non trattata nella sentenza impugnata, nella quale il decidente, senza menzionare eventuali sollecitazioni critiche formulate sul punto dalle parti, ha tout court esplicitato, nella parte relativa allo svolgimento del processo, che il G. , dato atto dell'avvenuta sanatoria della morosità, aveva tuttavia evidenziato che nel contratto era prevista una clausola risolutiva espressa in caso di ritardato pagamento di due mensilità, contestualmente invocandola a sostegno della sua domanda di risoluzione. Ne deriva che la ricorrente avrebbe dovuto esplicitare, con il corredo deduttivo imposto dall'osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che la questione della mancata attivazione della clausola faceva già parte del thema decidendum del giudizio di appello confr. Cass. civ. 18 ottobre 2013, n. 23675 . 6 Quanto poi alle censure volte a infirmare la positiva valutazione dei presupposti della pronuncia di risoluzione del contratto e del conseguente ordine di rilascio, le argomentazioni in ordine alla pretesa esistenza di una prassi per cui il pagamento dei canoni avveniva abitualmente oltre il termine pattiziamente fissato sono, a ben vedere, estremamente generiche, considerato che l'impugnante omette finanche sia di allegare il margine di ritardo tollerato sia di indicare gli elementi acquisiti al processo da cui si evincerebbe l'evocata consuetudine. Peraltro, trattandosi di censure alla ricostruzione dei fatti di causa accolta dal decidente, il malgoverno del materiale istruttorie che l'avrebbe originata andava denunciato in chiave di vizio motivazionale. 7 Le deduzioni in ordine alla valutazione della dichiarazione scritta rilasciata dall'Istituto di credito, pretesamente idonee a escludere la colpa del debitore per i ritardi nell'adempimento dell'obbligazione, sono poi gravemente carenti sul piano dell'autosufficienza, perché il contenuto della stessa - che pure risulta prodotta unitamente al ricorso - non è stato riportato nell'atto di impugnazione, laddove le sezioni unite di questa Corte, pur avendo chiarito che l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., hanno tuttavia precisato che resta ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento confr. Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726 . 8 Va pertanto qui ribadita la piena operatività del principio, centrale nell'iter argomentativo della sentenza impugnata, per cui la tolleranza del locatore, in ordine al pagamento del canone, anziché presso il proprio domicilio in moneta avente corso legale, a mezzo bonifico o accredito in conto corrente bancario, non implica, salvo prova contraria a carico del conduttore, anche la tolleranza circa la disponibilità della somma dovutagli oltre il termine pattuito per il versamento del canone, di modo che laddove, come nella fattispecie, quella prova contraria non sia stata fornita, il solvens assume i rischi di eventuali ritardi o disguidi derivanti dal ricorso al servizio bancario confr. Cass. civ. sez. un. 28 dicembre 1990, n. 12210 Cass. civ. 21 aprile 2006, n. 9370 . 10 Infine non è attinto da alcuna censura il rilievo della Corte territoriale secondo cui anche i pagamenti successivi a quelli posti a base dell'intimazione di sfratto erano avvenuti in ritardo, il che confermava il disinteresse della parte per il rispetto delle pattuizioni contrattuali. Trattasi di affermazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il collegio intende dare continuità, secondo cui, mentre l'adempimento della propria obbligazione, da parte del conduttore in mora di un immobile ad uso non abitativo dopo che il locatore abbia domandato la risoluzione del contratto, non può essere tenuto in considerazione al fine di stabilire se l'inadempimento integri il requisito della gravità, di cui all'art. 1455 cod. civ., all'opposto, la circostanza che l'inadempimento del conduttore, non grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, si aggravi in corso di causa, è rilevante ai fini dell'accoglimento della stessa confr. Cass. civ. 26 ottobre 2012, n. 18500 . Ne consegue che il silenzio serbato sul punto nei motivi di censura che ulteriormente evidenzia l'insufficienza dell'approccio dell'impugnante con le questioni sottese alla presente controversia , comporta l'intangibilità delle argomentazioni svolte a sostegno di tale profilo del convincimento del decidente. Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre spese generali e accessori, come per legge.