Nel contratto di locazione la clausola “di stile” va provata

La previsione di una clausola in cui il conduttore dichiari di aver esaminato i locali oggetto del contratto di locazione e di averli trovati adatti al proprio uso ed in buono stato di manutenzione non è di mero stile” quando questi nulla deduca in ordine ad un errore percettivo invalidante sulla sua valutazione dello stato dei luoghi, essendosi determinato consapevolmente a locare l’immobile pur in presenza degli asseriti inconvenienti, perché ritenuto comunque idoneo alle sue esigenze.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7713/15 depositata il 16 aprile. La vicenda processuale. Il locatore agiva in giudizio per domandare il ristoro dei danni arrecati dal conduttore all’immobile. Il Tribunale adito emetteva sentenza di condanna nei confronti del convenuto. Interposto gravame, la Corte d’appello riduceva il quantum debeatur , ferma restando la responsabilità del convenuto. Il conduttore ricorreva per cassazione. I motivi di ricorso. Le censure si incentravano essenzialmente su due profili a non aver valutato la Corte d’appello come clausola di stile” quanto contenuto nel contratto di locazione e, segnatamente, la parte conduttrice dichiara di aver esaminato i locali oggetto del presente contratto e di averli trovati adatti al proprio uso ed in buono stato di manutenzione”. A suo dire trattavasi di clausola inefficace e di matrice non confessoria. b l’anzidetta clausola avrebbe avuto poi natura vessatoria, in assenza di una specifica sottoscrizione giacché stipulata mediante modulo o formulario. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Le argomentazioni della Corte. Spiegano gli Ermellini che si è dinanzi ad una clausola di stile” quando le parti abbiano utilizzato, nell’ordito negoziale, espressioni talmente generiche per prassi contenute nei contratti o negli atti notarili che si rivelino per la loro indeterminatezza prive di una funzione operativa. In altri termini esse completano in modo formale il contratto non aggiungendo nulla sotto il profilo regolamentare e volitivo. Il giudice del merito è così chiamato in base alle regole di ermeneutica contrattuale ex artt. 1361 c.c. e ss. a conferire al testo esaminato un qualche” effetto, anche a fronte della sua genericità. Solo quando la vaghezza è talmente ampia ed insuperabile, deve qualificare la clausola di stile”, negandone efficacia, perché mai entrata nella sfera volitiva e cognitiva dei contraenti. Nel caso di specie la corte territoriale ha fatto buon governo di tali regole. Il conduttore, infatti, scientemente aveva dato atto del buono stato dei locali e della loro idoneità all’uso pattuito. Ne discende la di lui responsabilità contrattuale nel momento in cui l’immobile è stato riconsegnato danneggiato, e non già deteriorato come da normale usura. Sul piano del castelletto probatorio la motivazione della pronuncia è risultata immune da vizi perché il conduttore convenuto non aveva dedotto alcun errore sulla valutazione dello stato dei locali. Anzi in primo grado questi aveva dedotto di aver voluto locare l’immobile, pur in presenza degli asseriti vizi, perché comunque ritenuto idoneo alle proprie esigenze. Dal punto di vista operativo. Quali dunque gli insegnamenti pratici da dedurre dalla disamina della sentenza in commento? Innanzi tutto, comprendere che la clausola di stile è una clausola ontologicamente inutile, ovvero una clausola divenuta inutile. Essa non assurge né al rango di clausola d’uso, né a quello di regola consuetudinaria, costituendo un ridondante esercizio stilistico. Essendo indifferente alla volontà delle parti essa è priva di concreta efficacia regolamentare. La qualificazione della clausola come di stile”, o meno, non è frutto di un automatismo qualificatorio ma, stando a questo orientamento degli Ermellini, deve necessariamente conseguire da un’indagine ermeneutica rimessa al giudice. Da questo rilievo scaturisce che l’interprete deve rifuggire ogni automatismo ed in ossequio ad un atteggiamento sostanzialistico deve comunque verificare in modo attento la comune intenzione delle parti onde evitare un’ interpretatio abrogans ex se . Ciò significa che per evitare che la clausola sia definita di stile” il redattore del contratto dovrà calibrare il contenuto negoziale in modo circostanziato in base alle esigenze delle parti, alle caratteristiche del negozio da concludere ed a tutto quanto sia emerso nella singola trattativa.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 febbraio – 16 aprile 2015, n. 7713 Presidente Russo – Relatore Stalla Svolgimento del giudizio A. C. agiva nei confronti di A.M. S. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da quest'ultima causati all'immobile da lei locato alla convenuta ad uso abitativo. Nella costituzione in giudizio della S., veniva emessa la sentenza 12 maggio 2010 con la quale il tribunale di Napoli, sezione distaccata di Portici, accoglieva la domanda, con condanna della convenuta al pagamento della complessiva somma di euro 15.033,11, oltre interessi e spese. Interposto gravame dalla S., veniva emessa la sentenza n. 1357/11 con la quale la corte di appello di Napoli, ferma restando la ritenuta responsabilità della conduttrice nella determinazione dei danni, riduceva l'importo risarcitorio ad euro 12.915,11. Avverso tale sentenza viene dalla S. proposto un motivo di ricorso per cassazione gli intimati I., A., G. e G. D’A. - eredi della C. - non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione § 1. Con l'unico motivo di ricorso la S. lamenta – ex articolo 360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. - violazione o falsa applicazione normativa sostanziale e processuale articolo 24 Cost. articolo 1341 cc disciplina della responsabilità contrattuale del conduttore articolo 99 segg. cpc , nonché omesso esame di un punto decisivo della controversia ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ciò, per avere la corte di appello ritenuto la sua responsabilità risarcitoria per i danni riscontrati nei locali, nonostante che a. la clausola del contratto di locazione dedotta dall'attrice la parte conduttrice dichiara di aver esaminato i locali oggetto del presente contratto e di averli trovati adatti al proprio uso ed in buono stato di manutenzione fosse una mera clausola `di stile' e, come tale, priva di valore confessorio, ed inidonea a far ritenere provata la sussistenza ed entità di danni da essa conduttrice cagionati b. tale clausola dovesse ritenersi nulla o quantomeno inefficace, perché di natura vessatoria e dedotta, in assenza di specifica sottoscrizione, nell'ambito di un contratto stipulato mediante modulo o formulario. § 2. La censura è infondata sotto tutti i profili nei quali essa si articola. Va premesso che la parte argomentativa della doglianza si incentra su aspetti che non attengono direttamente alla ratio decidendi recepita dal giudice di merito. In particolare, essa si sofferma sulla natura dei danni dedotti in giudizio a dire della ricorrente ascrivibili a vizi strutturali, e non manutentivi, dell'immobile sulla distribuzione, tra locatore e conduttore, dell'obbligo di porvi rimedio sull'obbligo del conduttore di preservare la cosa nello stato iniziale, restando a carico del locatore l'obbligo di porre in essere gli interventi volti a consentire l'utilizzo della cosa in conformità alla sua destinazione. La doglianza non confuta tuttavia quello che è il nucleo fondamentale del convincimento della corte di appello rappresentato dal fatto che i danni riscontrati nei locali alla cessazione del rapporto locativo dovevano ritenersi comprovatamente ascrivibili alla conduttrice, in quanto inesistenti all'inizio del rapporto. E tale inesistenza è stata dal giudice di merito desunta - andando, con ciò, oltre la meccanica applicazione della presunzione legale di cui al secondo comma dell'articolo 1590 cod.civ. - dalla esplicita manifestazione di volontà ravvisabile nella su riportata clausola contrattuale da ritenersi non meramente `di stile'. Sul piano della conformità normativa, la decisione impugnata è rispondente al principio di diritto per cui, in tema di interpretazione dell'accordo negoziale, le `clausole di stile' sono costituite soltanto da quelle espressioni generiche, frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza ed indeterminatezza rivelano una funzione di semplice completamento formale del regolamento contrattuale mentre non può considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti Cass. n. 19876 del/ 29/09/2011 . Essa risulta inoltre conforme al principio in base a rl quale il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque presumere che sia stata oggetto della volontà negoziale, così da interpretarla in relazione al contesto articolo 1363 cod. civ. per consentire alla stessa di avere qualche effetto articolo 1367 cod. civ. . Solo se la vaghezza e la genericità della clausola siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa qualsivoglia rilievo nell'ambito dell'indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto articolo 1325 cod. civ. , ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti, può negarsi ad essa efficacia, qualificandola come mera clausola di stile . Cass. n. 13839 del 31/05/2013 . La decisione della corte territoriale si fa carico - nell'escludere la irrilevanza negoziale della clausola in oggetto - di tali criteri interpretativi a loro volta discendenti da parametri legali, ex articolo 1362 segg.cc, la cui osservanza e corretta applicazione da parte della corte territoriale non viene nemmeno specificamente confutata nella censura in esame giungendo in tal modo alla conclusione nel senso della consapevolezza e volontà con le quali la conduttrice S. aveva contrattualmente dato atto del buono stato dei locali e della loro idoneità all'uso convenuto. Parimenti corretta - sempre in linea di diritto - è poi stata la conseguente applicazione della regola di responsabilità contrattuale in base alla quale il i conduttore, al termine della locazione, è tenuto a restituire l'immobile nel medesimo stato in cui l'ha ricevuto, salvo il normale deterioramento risultante dall'uso della cosa in conformità al contratto, dovendo egli rispondere di ogni danno ulteriore che la cosa presenti all'atto della riconsegna. Venendo con ciò al piano della congruità motivazionale, la corte di appello ha dato conto delle ragioni che deponevano, nella concretezza nella fattispecie, per escludere che la clausola contrattuale in questione rivestisse carattere meramente `di stile', posto che - la S. aveva riferito in primo grado di essersi risolta a locare l'immobile, pur in presenza degli asseriti inconvenienti, in quanto ritenuto comunque idoneo alle sue esigenze - la medesima non aveva dedotto alcun errore percettivo invalidante la sua valutazione sullo stato dei locali e l'idoneità al loro utilizzo, così esplicitata - già il primo giudice, con decisione meritevole di conferma sul punto, aveva osservato come dalla prova orale fosse effettivamente emerso che l'appartamento era in buone condizioni prima della locazione, e che presentava ingenti danni al momento del rilascio , come poi appurati in sede di accertamento tecnico preventivo. In tale situazione - escludente la necessità di ulteriori accertamenti probatori in contrasto con quanto contrattualmente emergente - deve negarsi la fondatezza della doglianza anche ex articolo 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ Essa si risolve, in realtà, nella sollecitazione in questa sede di una mera rivisitazione dell C valutazione così argomentatamente offerta dal giudice di merito in termini di reale rispondenza della situazione di fatto dei locali a quella contrattualmente descritta all'inizio del rapporto. Sollecitazione del tutto inammissibile, perché confliggente con il principio per cui lo stabilire se una determinata clausola contrattuale sia soltanto `di stile' ovvero costituisca espressione di una concreta volontà negoziale con efficacia normativa del rapporto, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se sorretto - come appunto accade nella specie - da congrua e corretta motivazione. Ragioni non dissimili da quelle fin qui individuate depongono per il rigetto della doglianza anche sotto il profilo della pretesa violazione degli articoli 1341 e 1342 cod.civ In particolare, non risulta qui applicabile il regime di cui al secondo comma dell'articolo 1341 cod.civ., vertendosi di clausola non vessatoria, ma meramente descrittiva dello stato dei locali e della loro idoneità all'uso convenuto e nemmeno è applicabile l'articolo 1342 cod.civ., avendo il giudice di merito appurato con valutazione qui insindacabile che, indipendentemente dall'uso di un modulo contrattuale prestampato, la clausola in oggetto rappresentò la manifestazione di una consapevole volontà negoziale volta a dare contezza dello stato dei luoghi in rapporto agli obblighi contrattuali che da tale riconoscimento sarebbero derivati in capo alle parti stipulanti , non già dell C unilaterale predisposizione impositiva di una sola delle parti in pregiudizio dell'altra. Ne segue il rigetto del ricorso nulla si dispone sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva in questa sede da parte degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.