Restituzione della prestazione pecuniaria: nessuna automatica rivalutazione in assenza della prova del maggior danno

La risoluzione del contratto per inadempimento a seguito di pronuncia costitutiva del giudice priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti. Ne consegue che l’obbligo restitutorio relativo all’originaria prestazione pecuniaria, anche in favore della parte non inadempiente, ha natura di debito di valuta, come tale non soggetto a rivoluzione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’art. 1224 c.c

Con la pronuncia n. 6401 del 30 marzo 2015, la Corte di Cassazione, nel solco della pregressa giurisprudenza di legittimità, precisa che in caso di risoluzione del contratto, la rivalutazione monetaria sulla somma oggetto di prestazione da restituzione non è dovuta, salvo la prova del maggior danno a carico del creditore. Il caso. La sentenza del S.C. in esame definisce una controversia relativa all’azione di risoluzione contrattuale avviata nei confronti di una società che, secondo la prospettazione dell’attore, aveva venduto un’imbarcazione affetta da gravi vizi. La domanda veniva accolta in primo grado, con condanna anche al risarcimento del danno ex art. 1224 c.c. tale capo della sentenza veniva poi riformato in appello e, per quanto di interesse in questa, costituiva oggetto del ricorso per Cassazione. Debito di valuta quando è possibile il riconoscimento del maggior danno. Il debito che deriva che da un’obbligazione contrattuale costituisce, come noto, un debito di valuta, per il quale non è previsto un automatico adeguamento dell’ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare, in applicazione dell’art. 1224, comma 2, c.c., solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre che degli interessi, del maggior danno che sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l’inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro ciò in quanto gli interessi moratori accordati al creditore dal comma 1 dell’art. 1224 c.c. hanno funzione risarcitoria, rappresentando il ristoro, in misura forfetariamente predeterminata, della mancata disponibilità della somma dovuta. In tal senso si esprime, anche come visto nella massima, la Cassazione, confermando la sentenza di appello che aveva escluso, in difetto di prova da parte del creditore, il riconoscimento della rivalutazione monetaria in favore del creditore stesso. Eccezione di inadempimento nessun pagamento di interessi moratori. Analogamente, la parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra, ai sensi dell’art. 1460 c.c., non può essere considerata in mora e non è, perciò, tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall’altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l’art. 1224 c.c., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggiori danni conseguenti all’omesso pagamento della prestazione pecuniaria. Sentenza riformata quali interessi nell’azione di ripetizione? Diversamente, invece – ed anche sul punto il S.C. fa un richiamo ai precedenti di legittimità -l’azione di ripetizione di somme pagate per spese di lite in esecuzione di una sentenza successivamente annullata non è riconducibile allo schema della condictio indebiti , sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza e prescinde dall’esistenza o meno del rapporto sostanziale, sia perché il comportamento dell’ accipiens non si presta a valutazioni sulla buona o mala fede, non potendo venire in considerazione stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti. In applicazione delle regole generali sui crediti pecuniari, peraltro, gli interessi legali sulle somme predette devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda. Risoluzione del contratto necessaria la domanda restitutoria. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, pur essendo l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, un effetto naturale della risoluzione del contratto, non di meno sul piano processuale è necessario che la parte proponga specifica domanda ai fini di detti effetti restitutori ne consegue che, ad esempio, ove sia stata proposta in primo grado la domanda di risoluzione del contratto con richiesta di risarcimento danni, al giudice d’appello è preclusa, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la possibilità di prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova. Risarcimento del danno debito di valore. Diversamente dall’obbligazione contrattuale, l’obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante, comunque, da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, come tale quantificabile tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Effetti restitutori anche per le imposte. Gli effetti restitutori che conseguono alla risoluzione del contratto investono l’intera prestazione eseguita e comprendono anche la restituzione delle somme versate a titolo di imposta.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 dicembre 2014 – 30 marzo 2015, n. 6401 Presidente Salmé – Relatore Stalla