L’aumento del canone non sempre è legittimo

È valida la pattuizione che stabilisce l’aumento del canone di locazione solo ove la variazione sia ancorata a elementi oggettivi predeterminati ed indipendenti dalle variazioni annuali del potere di acquisto della moneta.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4933 del 12 marzo 2015, è tornata a pronunciarsi in materia di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, confermando l’orientamento giurisprudenziale esistente sulle condizioni per il valido aumento del canone. I fatti. La fattispecie riguardava un contratto di locazione di un immobile ad uso commerciale, stipulato nel 2004, con il quale le parti avevano pattuito un canone di euro 22mila per i primi 2 anni e di euro 30mila dal terzo anno, rivalutabile dal quarto anno secondo gli indici Istat. Veniva adito il Tribunale, prima, e la Corte di appello di Bologna, poi, per ottenere la risoluzione del contratto, ma la Corte territoriale respingeva la domanda, assumendo la nullità della clausola di aumento del canone, in quanto elusiva dei limiti sanciti dall’art. 32, legge n. 392/78 e successive modifiche. Avverso la pronuncia di secondo grado, ha interposto ricorso in Cassazione la società soccombente, affidato a 3 motivi con il primo ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32 e 79, l. n. 392/78, deducendo che la Corte di merito si era immotivatamente discostata dall’orientamento secondo il quale il canone può essere differenziato e crescente, purché la relativa previsione avvenga al momento della conclusione del contratto. Con il secondo motivo è stata eccepita la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché l’omessa motivazione, per non avere la Corte bolognese ritenuto che la previsione di aumento del canone secondo gli indici Istat sul canone a regime, esclude la volontà di aggirare i divieti sanciti dalla c.d. legge dell’equo canone. Infine, è stata censurata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2722 e 2724 c.c. e la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale, dedotta per chiarire i motivi della pattuizione del canone a scaletta, ovvero, la volontà di agevolare la conduttrice nella fase iniziale di avviamento della società. Gli aumenti di canone, diversi da quelli previsti dalla legge, devono ritenersi nulli. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha confermato la bontà della decisione assunta dai giudici del merito resa, peraltro, in conformità al costante orientamento giurisprudenziale. Rigettando le censure mosse dalla ricorrente, infatti, la Corte di legittimità ha ribadito che, in tema di locazione di immobili ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente ad oggetto aumenti di canone diversi da quelli previsti dall’art. 32, legge n. 392/78, così come successivamente modificato, deve ritenersi nulla. Diversamente, infatti, al locatore verrebbe riconosciuto il diritto di ottenere un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla legge. Unica deroga, ha chiarito la Corte, è consentita ove l’aumento sia ancorato ad elementi oggettivi predeterminati, idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale ed indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto. Con tali motivazioni i giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso, con condanna della soccombente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 novembre 2014 – 12 marzo 2015, n. 4933 Presidente Russo – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con sentenza del 24 novembre 2010 la Corte di appello di Bologna ha respinto l' impugnazione della Metropol s.r.l. che aveva richiesto la risoluzione del contratto di locazione di un immobile ad uso commerciale stipulato nel novembre 2004 con la City Mode di P.S. e C. s.a.s. per un canone annuo di £. 22.000.000 per i primi due anni e di £. 30.000.000 dal terzo anno, rivalutabile dal quarto anno secondo gli indici ISTAT, in quanto la relativa clausola, non essendo ancorata ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio sinallagmatico del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta, era da ritenere nulla ai sensi dell' art. 79 legge n. 392 del 1978 in quanto elusiva dei limiti di cui all' art. 32 stessa legge. Ricorre per cassazione la s.r.l. Metropol cui resiste la s.a.s. City Mode di P.S. & amp C. Le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, come sostituito dall' art. 1 del D.L. 7 febbraio 1985 n. 12, convertito, con modificazioni, nella legge n. 118 del 1985 e 79 della legge del 1978 n. 392 per non essersi la Corte di merito conformata al principio secondo il quale le parti possono, nella loro autonomia, stabilire un canone differenziato e crescente, purché la previsione avvenga al momento della conclusione del contratto. 2.- Con il secondo motivo lamenta Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. art. 360 primo comma, n. 3 c.p.c. . Omessa e/o insufficiente motivazione sul punto art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per non avere la Corte di merito ritenuto che la previsione di aumento del canone dal quarto anno e di aggiornamento secondo gli indici ISTAT sul canone a regime esclude la volontà di aggirare il divieto di cui all' art. 32 legge n. 392 del 1978 e senza che ciò potesse indursi dall' assenza di giustificazioni dell' aumento stabilito, non richieste da nessuna norma. 3.- Con il terzo motivo censura Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2722 e 2724 c.c. art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. . Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso la prova testimoniale dedotta per chiarire i motivi della pattuizione del canone a scaletta, ossia facilitare la conclusione del contratto ed agevolare la conduttrice all' inizio dello svolgimento dell' attività commerciale. Le censure, congiunte, sono infondate. Ed infatti la Corte di merito si è conformata al consolidato principio secondo il quale, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'art. 32 della legge n. 392 del 1978 - nel testo di cui all'art. 1 del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modifiche, dalla legge n. 118 del 1985, ratione temporis applicabile - ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma Cass. 2932 del 2008, 2961 del 2013 , a meno che all'atto della conclusione del contratto l'aumento sia ancorato ad elementi oggettivi predeterminati, idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale quali ad esempio lavori di ristrutturazione dell' immobile, periodo di avviamento commerciale e correlative iniziative etc. , e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta Cass. 10834 e 13887 del 2011, 17061 del 2014 . Pertanto il ricorso va respinto. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 3.200, di cui euro 3.000 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.