Se manca la prova del lucro cessante, va risarcita solo la differenza di valore tra bene non viziato e bene venduto

Ove l’azione per la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., concorra con quella per il risarcimento del danno ex art. 1494 c.c., e vi sia inoltre una sentenza non definitiva che escluda la risarcibilità del lucro cessante per carenza assoluta di prove, la domanda di risarcimento si risolve nella condanna al pagamento della differenza di valore tra la cosa esente da vizi ed il minor valore del bene effettivamente venduto.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4003/15 depositata il 27 febbraio. Il fatto. Il Tribunale di Firenze ingiungeva alla società acquirente di una macchina utensile il pagamento del corrispettivo al fornitore. La società ingiunta proponeva opposizione avverso il decreto, sostenendo la mancanza della definitiva messa in bolla e del collaudo della predetta macchina utensile. Il Tribunale rigettava l’opposizione, parzialmente accolta invece dalla Corte d’appello che, previa disposizione di una ctu diretta ad accertare il minor valore del macchinario, riduceva il corrispettivo, addebitando al fornitore la non corretta messa in funzione della macchina ed i relativi vizi di operatività. La società acquirente propone ricorso per cassazione, articolandolo in 8 motivi con i quali lamenta, sostanzialmente, la conferma della condanna al pagamento pur in presenza di sentenza parziale di accertamento dell’inadempimento della controparte, nonché il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. I vizi della cosa venduta e l’azione per il risarcimento. La Corte di Cassazione ritiene non meritevole di accoglimento il ricorso. La sentenza impugnata risulta aver correttamente applicato i principi sull’azione per la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 cc., e quelli sull’azione per il risarcimento del danno ex art. 1494 c.c Difatti, dopo aver richiamato una precedente sentenza non definitiva che escludeva ogni risarcibilità del danno da lucro cessante per carenza assoluta di prova, afferma il Tribunale che la domanda di risarcimento si risolve nella condanna alla differenza tra il valore della cose esente da vizi ed il minor valore del bene venduto. La sentenza non definitiva di cui si invoca il riconoscimento si ripercuote pertanto contro la ricorrente, non essendo peraltro condivisibile l’interpretazione – proposta dalla ricorrente - circa l’accertato diritto ad esercitare la facoltà di cui all’art. 1460 c.c., in mancanza di ogni riferimento al riguardo. Se manca la prova del danno, il risarcimento è limitato alla differenza di valore. La S.C. aderisce in conclusione alle tesi della società venditrice controricorrente in merito alla circostanza dell’omogeneità dalla sentenza definitiva rispetto a quella parziale, soprattutto considerando che di fronte all’assoluta carenza di prove circa ogni eventuale danno da lucro cessante o danno emergente, l’azione per il risarcimento si risolve nella condanna alla differenza tra il valore della cosa esente da vizi ed il minor valore del bene. Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 dicembre 2014 – 27 febbraio 2015, n. 4003 Presidente Piccialli – Relatore Correnti Svolgimento del processo Pakei srl proponeva opposizione al d.i. del Presidente del tribunale di Firenze che le aveva ingiunto di pagare lire 84.000.000 oltre accessori a FA.GI.MA . Fresatrici srl a saldo del corrispettivo della vendita di una macchina utensile denominata Centro di lavoro verticale mod. Fat. 500 deducendo che, manifestatisi problemi tecnici, in mancanza della definitiva messa in bolla e del collaudo, aveva sospeso il pagamento ai sensi dell'art. 1460 cc. Controparte sosteneva che l'installazione era avvenuta il 24.6.1997 con esito positivo e restava da verificare solo la messa in piano dopo il consolidamento dei basamento in c.a. Il tribunale rigettava l'opposizione mentre la Corte di appello di Firenze, con sentenza parziale rigettava le ulteriori domande di Pakei e disponeva ctu per accertare il minor valore del macchinario e, con sentenza definitiva 8.5.2008, in parziale accoglimento dell'impugnazione di Pakei, accertava il minor valore della macchina in euro 232.321,64 e condannava Pakei a pagare euro 17.569,86 oltre interessi con parziale compensazione delle spese rilevando che la sentenza non definitiva aveva concluso per l'addebitabilità a FA.GI.MA della non corretta messa in funzione della macchina e dei vizi donde la legittimità del rifiuto del residuo prezzo. La riduzione del prezzo andava apportata con una diminuzione del prezzo pattuito corrispondente alla percentuale di disvalore della cosa derivante dall'esistenza dei vizi ed il danno andava quantificato nella differenza tra gli utili ricavabili nelle diverse situazioni, ottimale e deficitaria. Ricorre Pakei con otto motivi, resiste FA.GI.MA . Motivi della decisione Col primo motivo si deduce violazione di norme di diritto con riferimento agli arti. 324 cpc, 2909 e 1460 cc col quesito se incorra nelle violazioni indicate la sentenza che condanni l'opponente al pagamento del prezzo ancorchè con sentenza parziale abbia accertato il diritto ad esercitare la facoltà di cui all'art. 1460 cc. Col secondo motivo si lamenta omessa motivazione in relazione alle stesse norme col quesito se, accertato l'inadempimento del venditore, la ricorrente debba adempiere la propria prestazione. Col terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 112 e 624 cpc con due quesiti sulla legittimità del pagamento del saldo del prezzo. Col quarto motivo si deduce violazione dell'art. 1460 cc con plurimi quesiti. Col quinto motivo si deducono vizi di motivazione e violazione degli artt. 1460 e, 1492,1494 cc con plurimi quesiti sul diritto al risarcimento del danno ed alla riduzione del prezzo. Col sesto motivo si deducono le stesse violazioni in relazione agli arti. 324 cpc e 2909 cc col quesito sul rigetto della domanda risarcitoria. Col settimo motivo si deducono vizi di motivazione in relazione agli arti. 1492, 1494 e 1223 cc col quesito sulla negazione del risarcimento del danno. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione degli artt. 1460, 1224, 1282 cc col quesito sulla condanna agli interessi. Le censure non meritano accoglimento. La sentenza impugnata, richiamati i principi sull'azione per la riduzione del prezzo e su quella per il risarcimento del danno spettanti al compratore a norma degli artt. 1492 e 1494 cc e richiamata la sentenza non definitiva nella parte in cui, esclusa la risarcibilità di ogni eventuale particolare danno da lucro cessante, del quale v'è assoluta carenza di prova, afferma che la relativa domanda si risolve nell'ipotesi di condanna alla differenza tra il valore della cosa assente da vizi ed il minor valore del bene venduto, dispone supplemento di ctu per l'accertamento del minor valore del bene in questione. L'invocato giudicato relativo alla sentenza non definitiva si ritorce, pertanto, contro la tesi dell'odierna ricorrente né appare condivisibile l'interpretazione circa l'accertato diritto ad esercitare la facoltà di cui all'art. 1460 cc in mancanza di qualsiasi riferimento al riguardo. I plurimi quesiti appaiono meramente assertivi e non funzionali all'accoglimento delle domande U. 20603/2007, 16528/2008, Cass. 823/2009, 44612009, 321/2009, 4309/2008, 2425512011, 4566/2009 , e la motivazione della sentenza impugnata appare congrua, logica e condivisibile. Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222 Comunque, appaiono condivisibili le deduzioni della controricorrente in ordine alla circostanza che la sentenza definitiva non si è discostata da quella parziale e che di fronte all'assoluta carenza di prova circa ogni eventuale danno da lucro cessante o mancato guadagno l'azione per il risarcimento si risolve nella condanna alla differenza tra il valore della cosa assente da vizi ed il minor valore del bene. In particolare in ordine al primo motivo va osservato che la legittimità del rifiuto ex art. 1460 cc operava transitoriamente. In ordine al secondo è stato accertato un inesatto adempimento ed accolta l'actio quanti minoris. In ordine al terzo motivo va dedotto che l'opposto diventa attore e la domanda può essere accolta in misura minore. In relazione al quarto motivo va rilevato che l'eccezione vale nei limiti della sua fondatezza. I motivi quinto, sesto e settimo non meritano accoglimento perché l'azione risarcitoria era stata rigettata con la non impugnata sentenza non definitiva. L'ottavo motivo propone una questione nuova. In definitiva il ricorso va rigettato con condanna alle spese . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in euro 2700 di cui 2500 per compensi, oltre accessori.