La vessatorietà della clausola c.d. claims made deve essere valutata in concreto

La clausola cosiddetta a richiesta fatta” inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile è valida ed efficace, mentre spetta esclusivamente al giudice di merito stabilire se, nel caso concreto, essa abbia natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2872/15, depositata il 13 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda diretta ad ottenere il risarcimento per i danni alla persona subiti dall’attore a seguito di intervento chirurgico, condannando al pagamento le società assicuratrici chiamate in giudizio dall’ente ospedaliero convenuto. Una delle società condannate proponeva appello sostenendo l’inoperatività della garanzia assicurativa prestata in favore del convenuto in primo grado. La Corte d’appello accoglieva il gravame considerando lecita e non vessatoria la clausola claims made inserita dalle parti nel contratto assicurativo. L’ente ospedaliero assicurato impugna la sentenza di secondo grado in Cassazione. La legittimità della clausola claims made. Il ricorso sostanzialmente lamenta, con una serie di motivi, l’omessa pronuncia in ordine alla nullità della clausola in questione, per violazione dell’art. 2965 c.c., sostenendo inoltre la contrarietà della stessa a buona fede. La S.C. esamina congiuntamente i motivi del ricorso giudicandoli in parte inammissibili ed in parte infondati. L’argomentazione dei giudici di merito ritiene che la specifica pattuizione di cui si discute non abbia la natura di formulario unilaterale ma sia il frutto di una puntuale negoziazione tra le parti. Viene dunque ribadito il principio per cui clausole contrattuali c.d. a richiesta fatta” o claims made , inserite in contratti assicurativi della responsabilità civile, in virtù delle quali l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato delle conseguenze dannose di fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipulazione, sono valide ed efficaci, spettando al giudice di merito l’accertamento concreto dell’eventuale natura vessatoria. Una clausola del tipo summenzionato non può difatti essere considerata vessatoria in astratto, in quanto essa non pone limitazioni alla responsabilità dell’assicuratore ma definisce l’oggetto della copertura assicurativa. La clausola configura un contratto atipico. Il principio è consolidato nella giurisprudenza di legittimità Corte di Cassazione, sentenza n. 3622/14 e n. 5624/05 , nel cui ambito è stato inoltre specificato che la clausola in esame non rientra nella fattispecie tipica di cui all’art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico, generalmente lecito, in quanto, adottando un approccio interpretativo sistematico in tema di contratto di assicurazione, risulta derogabile la disposizione del primo comma dell’art. 1932 c.c., secondo la quale l’assicuratore assume l’obbligo di tenere indenne l’assicurato dei danni cagionati a terzi in conseguenza di fatti accaduti durante il tempo dell’assicurazione. In conclusione la Corte di Cassazione osserva come dalla sentenza impugnata emerga una corretta applicazione dei principi su esposti e per questi motivi il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 novembre 2014 – 13 febbraio 2015, n. 2872 Presidente Russo – Relatore Spirito Svolgimento del processo La P. citò in giudizio la P.R.S.P. per essere risarcita dei danni alla persona subiti a seguito di intervento chirurgico. La convenuta chiamò in garanzia la D. Ass.ni e la C. Ass.ni. La D., a sua volta, chiamò in giudizio la C. Ass.ni. Il Tribunale di Roma accolse le domande, condannando anche le compagnie a tenere indenne la P.R., ciascuna per la sua quota contrattuale. Ha proposto appello la C. Ass.ni, sostenendo la non operatività della garanzia assicurativa prestata in favore della P.R La Corte d'appello di Roma ha accolto il gravame, considerando lecita e non vessatoria la clausola claims made stipulata nella fattispecie, attraverso la quale era stabilito che l'assicurazione era valida per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta durante il periodo di efficacia dell'assicurazione, purché il fatto che avesse dato origine alla richiesta di risarcimento fosse stato commesso nel medesimo periodo o anche in epoca antecedente tale periodo ma comunque non prima di tre anni dalla data di perfezionamento del presente contratto . Propone ricorso per cassazione la P.R. in cinque motivi. Risponde con controricorso la Società C. di Ass.ne. Motivi della decisione Il primo motivo - che censura la sentenza ai sensi dei nn. 3, 4 e 5 dell'art. 360 c.p.c. per avere omesso di pronunziarsi in ordine alla rilevata nullità della clausola in questione per contrarietà all'art. 2965 c.c., che prevede la nullità dei patti con i quali si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto - è infondato, siccome la complessiva argomentazione della sentenza della quale si dirà più dettagliatamente in seguito , tesa ad attribuire legittimità alla clausola contrattuale, contiene l'implicito rigetto dell'eccezione formulata dalla parte. I motivi 2° e 3° censurano la sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione, predicando la natura vessatoria della clausola stessa. Il 4° motivo sostiene che la clausola sia contraria a buona fede. Il 5° motivo censura il punto penultimo paragrafo pag. 5 in cui la sentenza afferma che la clausola di cui si discute risulta nel testo delle condizioni particolari allegate alla polizza e sottoscritte dalla appellata contraente che paiono avere il contenuto e la forma di pattuizioni specifiche del rapporto tra quelle parti e non un mero formulario o una clausola inserita nelle condizioni generali di contratto unilateralmente predisposta dalla assicurazione . I motivi dal secondo al quinto, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. Come s'è visto, la sentenza afferma che la specifica pattuizione della quale si discute non ha la natura di un formulario unilateralmente predisposto, bensì quella di una vera e propria pattuizione intervenuta tra le parti. Si tratta di un accertamento di fatto che, siccome adeguatamente e logicamente motivato, sfugge dalla censura di legittimità. Né la ricorrente fornisce elementi specifici ed autosufficienti tali da porre in crisi l'accertamento stesso. Allora, in proposito deve essere ribadito il principio secondo cui la clausola cosiddetta a richiesta fatta claims made inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile in virtù della quale l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l'assicurazione è valida ed efficace, mentre spetta al giudice stabilire, caso per caso, con valutazione di merito, se quella clausola abbia natura vessatoria ai sensi dell'art. 1341 cod. civ. Cass. 7273/13 . Tale accertamento, dunque, è capace di risolvere in radice tutte le perplessità avanzate dalla ricorrente. Tuttavia, il giudice è entrato nel merito della questione ed ha correttamente precisato adeguandosi, appunto, al summenzionato principio che la clausola claims made non può essere, comunque, considerata vessatoria in astratto, posto che essa non pone limitazioni di responsabilità in favore dell'assicuratore, ma definisce l'oggetto della copertura assicurativa, stabilendo quali siano i sinistri indennizzabili. Così ragionando, il giudice s'è adeguato all'ormai consolidata giurisprudenza in materia che, come s'è visto attribuisce legittimità al cd. patto a richiesta fatta . Sulla legittimità della clausola in questione, cfr. tra le più recenti Cass. 3622/14 5624/05. In particolare, quest'ultimo arresto chiarisce che la clausola della quale si discute non rientra nella fattispecie tipica prevista dall'art. 1917 cod. civ., ma costituisce un contratto atipico, generalmente lecito ex art. 1322 cod. civ., giacché, del suindicato art. 1917, l'art. 1932 cod. civ. prevede l'inderogabilità' - se non in senso più favorevole all'assicurato - del terzo e del quarto comma, ma non anche del primo, in base al quale l'assicuratore assume l'obbligo di tenere indenne l'assicurato di quanto questi deve pagare ad un terzo in conseguenza di tutti i fatti o sinistri accaduti durante il tempo dell'assicurazione di cui il medesimo deve rispondere civilmente, per i quali la connessa richiesta di risarcimento del danno da parte del danneggiato sia fatta in un momento anche successivo al tempo di efficacia del contratto, e non solo nel periodo di efficacia cronologica del medesimo, come si desume da un'interpretazione sistematica che tenga conto anche del tenore degli artt. 1917, 1913 e 1914 cod. civ., i quali individuano l'insorgenza della responsabilità civile nel fatto accaduto. Tali principi risolvono anche il dubbio avanzato dalla ricorrente circa l'illegittimità del patto per contrarietà a buona fede. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Il diverso esito dei giudizi di merito consigliano l'intera compensazione delle spese tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.