Il potere di riduzione del canone di affitto è devoluto in via esclusiva al giudice

In tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, l’autoriduzione del canone costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata in riferimento al canone dovuto ex art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, dà facoltà al conduttore solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26540, depositata il 17 dicembre 2014. Il fatto. Il locatore con atto di citazione intimava alla società conduttrice sfratto per morosità per i canoni pari a due mensilità, per la locazione di un immobile ad uso commerciale. La società si opponeva alla convalida, proponendo domanda riconvenzionale per il danno emergente ed il lucro cessante e per la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore, oltre al risarcimento dei danni e al pagamento dell’indennità di avviamento commerciale, perché per tre mesi era stata costretta ad interrompere l’attività essendo in corso i lavori necessari nell’immobile, scoperti dopo l’inizio della locazione. Il Tribunale accoglieva la domanda della conduttrice e respingeva quella del locatore. La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice che condannava a pagare i canoni per tre mensilità. L’obbligo di pagamento del canone, affermava la Corte, può essere sospeso qualora manchi completamente la controprestazione nel caso in esame, pur se con i vizi sopravvenuti o scoperti la conduttrice aveva continuato a fruire dell’immobile, salvo per i 15 giorni necessari per i lavori. Dunque, la conduttrice non aveva assolto ai suoi obblighi ingiustificatamente. La società conduttrice ricorre per cassazione contro tale decisione. L’autoriduzione del canone. Il Collegio ritiene il ricorso infondato. Infatti, per quel che maggiormente interessa in questa sede, la S.C. ha ritenuto che i Giudici d’appello, nella loro decisione, si sono correttamente uniformati al principio secondo il quale in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, l’autoriduzione del canone e cioè il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata in riferimento al canone dovuto ex art. 1578, comma 1, c.c. vizi della cosa locata , per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti. Per tali ragioni, la Cassazione ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 giugno – 17 dicembre 2014, n. 26540 Presidente Berruti – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con citazione del 24 maggio 1994 D.G. intimò alla società n.c. Anais di Colonna Maria sfratto per morosità per i canoni di marzo e aprile, pari a lire 3.219.300, per la locazione dell'immobile ad uso commerciale situato in . La società si oppose alla convalida deducendo che il 19 gennaio 1993 il suo legale aveva invitato il locatore a prendere in consegna i mobili e a sistemare l’impianto elettrico, fatiscente e pericoloso, che il 21 febbraio 1994 aveva messo a disposizione del locatore il locale, e che al momento della rimozione dei mobili, era stato scoperto che i muri non erano intonacati e l’impianto elettrico era i costituito soltanto da fili esterni, e quindi per tre mesi era stata costretta a sospendere l’attività commerciale essendo in corso i lavori necessari. Perciò propose domanda riconvenzionale per il danno emergente ed il lucro cessante e per la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore, oltre al risarcimento dei danni e al pagamento dell'indennità di avviamento commerciale. In data 7 giugno 1994 il locatore accettò la riconsegna delle chiavi, ma chiese il canone per sei mesi di omesso preavviso di rilascio, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 392 del 1978 e i canoni successivi non corrisposti, contestando le avverse domande. Il Tribunale accolse la domanda della conduttrice e respinse quella del locatore. Con sentenza del 19 febbraio 2010 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice che ha condannato a pagare i canoni dei mesi di marzo, aprile, e maggio 1994 sulle seguenti considerazioni 1 l’obbligo di pagamento del canone può esser sospeso soltanto se manchi completamente la controprestazione diversamente alterandosi il sinallagma e poiché nella specie pur se con i vizi sopravvenuti o scoperti la conduttrice aveva continuato a fruire dell'immobile - che restituì in corso di causa a giugno del 1994 - salvo per i 15 giorni necessari per l’intonacatura del locale e il rifacimento dell'impianto elettrico, poteva riconoscersi legittima la sospensione del canone dal 21 febbraio all'8 marzo 1994 2 e dunque valutati i rispettivi obblighi ed inadempienze, la conduttrice non li aveva assolto ingiustificatamente e perciò la risoluzione le doveva esser addebitata unitamente alla condanna al pagamento dei canoni di marzo, aprile e maggio 1994. Ricorre per cassazione la società n.c. Anais di Colonna Maria cui resiste D.G. . Le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce Violazione e falsa applicazione degli artt. 1576 e 1578 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3 anche in relazione all’art. 112 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 5 per avere la Corte di Appello ritenuto applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all'art. 1576 c.c. e non già quella di cui all'art. 1578 c.c. e comunque per avere la stessa Corte ritenuto non costituente comportamento colpevole del locatore la non completa eliminazione dei vizi manifestatisi nel corso della locazione, pur preesistenti e dolosamente sottaciuti dal medesimo locatore all'inizio della locazione . Ed infatti, se la Corte di merito avesse correttamente applicato l’art. 1578 cod. civ. per i vizi incidenti sulla struttura materiale del bene, alterandone l’integrità e riducendone il godimento secondo la destinazione contrattuale, configurante inadempimento alle obbligazioni di cui all’art. 1575 c.c. e determinante uno squilibrio contrattuale rimediabile soltanto con la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, non essendo esperibile l’esatto adempimento - diversamente al caso in cui il bene subisca deterioramento nel corso dell'uso ed in relazione al quale opera l’art. 1576 c.c. e di cui il conduttore può pretendere l’adempimento - non avrebbe risolto il contratto per l'inadempimento della conduttrice. Peraltro nella fattispecie il locatore non aveva provveduto alla pitturazione del locale e di fronte a tale inadempimento il conduttore poteva agire soltanto per la risoluzione non potendo utilizzare il bene. Inoltre l'inadempimento del locatore era stato così qualificato dal primo giudice e tale statuizione non era stata impugnata dal locatore. Né risponde a verità che la conduttrice non fosse interessata al locale pur dopo la parziale eliminazione dei vizi perché diversamente avrebbe chiesto la risoluzione al momento della scoperta di essi ai sensi dell'art. 1578 c.c. e comunque il D. era in colpa perché egli aveva predisposto l’arredo, tolto il quale i vizi si erano rivelati, e neppure aveva assolto all'onere di provare che non poteva conoscerli con l’ordinaria diligenza. Il motivo è infondato. Ed infatti la sentenza di appello si è conformata al principio secondo il quale - Cass. 10639 del 26/06/2012 - in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, primo comma, cod.civ., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non da facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti. 2.- Con il secondo motivo lamenta Violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3, anche in relazione all'art. 112 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto non costituente comportamento colpevole del locatore - e quindi non sussistente nella fattispecie un'alterazione del sinallagma contrattuale - la sua omissione nel ripristinare completamente il locale in questione all'uso pattuito non avendo la Corte considerato che per tutto il tempo necessario all'eliminazione dei vizi non si era ridotta la possibilità di godimento del bene, ma era venuta meno del tutto, ed infatti ancora a giugno 1994 la conduttrice non poteva svolgere la sua attività commerciale perché mancava la tinteggiatura dei locali, sì che era irrilevante che avesse la disponibilità dell'immobile durante il tempo necessario all'asciugarsi delle pareti perché il locale doveva esser interamente pitturato e perciò il giudice doveva comparare i rispettivi inadempimenti. Il motivo, assorbito in parte dalle ragioni di rigetto del motivo precedente, è inammissibile nella parte in cui propone una diversa ricostruzione dei fatti accertati dalla Corte di merito secondo cui per 15 giorni soltanto l’immobile è stato indisponibile. 3.- Con il terzo motivo censura Violazione e falsa applicazione degli artt. 1207 e 1216 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto avere avuto effetti pienamente liberatori la consegna del locale in questione alla società conduttrice da parte del locatore dopo che quest'ultimo aveva effettuato in quello stesso locale i soli lavori di rifacimento dell'impianto elettrico e di intonacatura delle pareti, con esclusione quindi della relativa pitturazione e poiché durante la esecuzione dei lavori il conduttore non perde la detenzione dell'immobile ed è tenuto a tollerare i lavori, è inconferente il richiamo agli artt. 1207 e 1216 c.c. dovendo invece esser accertato se i lavori necessari per l’idoneità all'uso convenuto erano stati eseguiti o no come nella fattispecie. Il motivo è infondato, perché la sentenza impugnata ha indicato le norme censurate non già per ulteriormente evidenziare il disinteresse della conduttrice alla prosecuzione del rapporto, bensì per respingere l’appello del locatore volto ad ottenere i canoni per violazione dell'onere semestrale di preavviso del recesso, di cui all'art. 27 della legge n. 392 del 1978, al riguardo considerando l’incondizionata accettazione della riconsegna dell'immobile da parte del locatore. Concludendo il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 2.200 di cui Euro per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.