Clausola claims made pura: valida ed efficace anche in assenza di specifica sottoscrizione

La clausola claims made c.d. pura non implica una limitazione della responsabilità dell’assicuratore tale da incidere sull’assetto degli interessi disciplinati dal contratto. Essa, pertanto, non rientra nel novero delle pattuizioni contemplate dall’art. 1341, comma 2, c.c. ed è perfettamente valida ed efficace anche in assenza di specifica sottoscrizione.

Il caso. Con la sentenza n. 5828/2014, il Tribunale di Palermo, chiamato a pronunciarsi su una domanda giudiziale in tema di responsabilità medica, pur essendosi l’evento verificato durante il periodo di vigenza della polizza, essendo la relativa richiesta risarcitoria pervenuta successivamente alla sua scadenza, in virtù della clausola claims made dalle parti convenzionalmente pattuita ha rigettato la domanda di garanzia proposta dalla Casa di Cura nei confronti della propria assicurazione ed ha condannato la struttura sanitaria al risarcimento del danno in favore di parte attrice ed al pagamento delle spese legali. Validità temporale dell’assicurazione. Diversamente dallo schema ordinario, infatti, definito loss occurrence e legato alla data di insorgenza dell’evento lesivo , che offre la copertura assicurativa per tutti i rischi che si verificano nel periodo di vigenza della polizza, con la clausola claims made o a richiesta fatta” l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle conseguenze dei fatti realizzatisi anche prima della stipula della polizza purché la richiesta di risarcimento da parte del danneggiato sia pervenuta durante il periodo di efficacia del contratto. Il sinistro si identifica, in questo caso, non già con la data dell’evento bensì con la data della richiesta di risarcimento. Differenza tra claims made pura e claims made mista. Come compiutamente esposto dal Tribunale, tra l’altro, nella prassi dei rapporti negoziali occorre distinguere tra le clausole claims made c.d. pure e le clausole claims made c.d. miste. Le prime ancorano l’ambito temporale di validità della garanzia alla data di presentazione della richiesta di indennizzo senza altra limitazione se non quella derivante dalla prescrizione - nel caso di specie decennale - del diritto al risarcimento del terzo danneggiato. Le seconde, invece, introducono ulteriori limitazioni, ad esempio escludendo gli eventi dannosi verificatisi oltre una certa soglia temporale di due o tre anni, così riducendo il lasso di tempo entro il quale rimane fermo l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato. Equivalenza tra il contratto con clausola claims made pura ed il contratto loss occurrence. Ad avviso del Decidente, pertanto, può nel caso di specie ravvisarsi una sostanziale equivalenza tra la polizza con clausola claims made pura e la polizza loss occurrence sotto il triplice profilo dell’alea contrattuale, della valutazione del rischio assicurato e dell’equilibrio nel rapporto sinallagmatico tra le parti, operando sostanzialmente la garanzia per qualunque tipologia di evento riconducibile alle fattispecie descritte nel contratto e per un analogo ambito temporale corrispondente al periodo in relazione al quale il terzo può fare valere il proprio diritto al risarcimento del danno , alla sola condizione - non dipendente dall’assicurato né dall’assicuratore, bensì dall’iniziativa dello stesso terzo danneggiato - che la richiesta risarcitoria pervenga nel periodo di validità della polizza . Inapplicabilità della disciplina prevista dall’art. 1341, comma 2, c.c In virtù di quanto sopra esposto, quindi, il Tribunale di Palermo, non ravvisando i presupposti, fattuali e giuridici, per l’applicazione dell’art. 1341, comma 2, c.c. , ha motivatamente statuito la legittimità della superiore clausola a prescindere dal fatto che sia stata dalle parti sottoscritta separatamente e per iscritto .

Tribunale di Palermo, sez. I Civile, sentenza 13 giugno – 26 novembre 2014, n. 5828 Giudice Lo Forte Motivi della decisione Il presente giudizio, instaurato con atto di citazione ritualmente notificato da omissis nei confronti della Casa di Cure omissis , ha per oggetto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da quest'ultimo patiti in dipendenza di una patologia infettiva di origine batterica di origine nosocomiale cfr. p. 2 dell'atto di citazione insorta successivamente ad un intervento chirurgico di artroprotesi al ginocchio sinistro eseguito presso l'anzidetta struttura sanitaria il giorno omissis . Costituitasi in giudizio, Casa di Cure omissis ha preliminarmente contestato la fondatezza della domanda attorea, sollecitandone il rigetto ha, inoltre, chiesto ed ottenuto l'autorizzazione alla chiamata in causa del terzo Reale Mutua Assicurazioni S.p.a. spiegando nei confronti di detta compagnia assicurativa domanda di garanzia per l'ipotesi di una eventuale condanna , nonché dei terzi omissis , omissis e omissis indicati quali i medici che materialmente avevano eseguito l'intervento chirurgico del omissis ed evocati in giudizio con azione di rivalsa sul presupposto della loro responsabilità in ordine alla causazione dei danni lamentati dall'attore. Costituitosi in giudizio, omissis ha negato qualsivoglia responsabilità correlata all'esecuzione dell'intervento de quo ed ottenuto, a sua volta, l'autorizzazione alla chiamata in garanzia di omissis Assicurazioni S.p.a. oggi omissis Assicurazione Reale Mutua Assicurazioni si è costituita in giudizio eccependo l'inapplicabilità alla fattispecie in esame della garanzia assicurativa derivante dalla polizza n. 879/03/41093, avente per oggetto, in virtù, di apposita clausola contrattuale, unicamente le richieste di risarcimento avanzata nel relativo periodo di durata e non già i fatti dannosi verificatisi in detto periodo . omissis Assicurazioni S.p.a. si è costituita in giudizio non contestando l'applicabilità della polizza invocata dal proprio assicurato omissis ma eccependo l'operatività delle franchigie e dei massimali previsti dal relativo contratto. Nel corso del giudizio in data 18 febbraio 2013 , l'attore omissis è deceduto. Con comparsa di costituzione in prosecuzione del giudizio ex art. 302 c.p.c. si sono costituiti omissis e omissis rispettivamente, coniuge e figli del defunto omissis , nella qualità di eredi dell'attore originario. Il processo è stato istruito con l'acquisizione di documentazione, l'assunzione di prove testimoniali e l'espletamento di mia consulenza tecnica d'ufficio affidata ai CC.TT.UU. omissis e depositata il 9 febbraio 2012. Va, preliminarmente, respinta l'eccezione, avanzata dalla convenuta Casa di Cure omissis in ordine alla costituzione in giudizio di omissis atteggiandosi ad evenienza prevista e disciplinata dall'art. 302 c.p.c. il fatto che il decesso di taluna delle parti non sia dichiarato dal relativo procuratore in udienza o con atto notificato alle altre parti e non sortisca, dunque, l'effetto interruttivo previsto dall'art. 300 c.p.c., con conseguente onere di riassunzione del giudizio ad opera della parte interessata ma che, comunque, gli eredi della parte defunta come tali attivamente o passivamente legittimati in ordine alle domande originariamente proposte dal de cuius ovvero nei confronti dello stesso possano direttamente costituirsi per proseguire il processo. Parimenti priva di fondamento si palesa l'eccezione di estinzione del giudizio, sollevata dal terzo chiamato omissis in seno alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. depositata il 16 giugno 2010 argomentando dal rilievo di una mancata integrazione del contraddittorio nei riguardi omissis , per il quale pure la Casa di Cure omissis ha domandato l'autorizzazione alla chiamata in causa senza, tuttavia, mai procedere alla notificazione, nei suoi confronti, del relativo atto di citazione. Al riguardo, mette conto osservare che l'azione di rivalsa esercitata dalla struttura sanitaria convenuta nei riguardi dei medici indicati quali materiali responsabili dei danni lamentati dalla parte attrice non configura, come è noto, un’ipotesi di litisconsorzio necessario per la quale sia ipotizzabile un onere di integrazione del contraddittorio la cui inadempienza sia, eventualmente, sanzionabile con l'estinzione del processo ex art. 307, comma 3, c.p.c. pertanto, la convenuta medesima ben può decidere, di fatto, di non evocare in giudizio taluno dei soggetti per i quali pure abbia domandato, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., l'autorizzazione alla chiamata in causa così sostanzialmente abdicando all'esercizio dell'azione di rivalsa nel medesimo contesto processuale senza che detta opzione riverberi alcun effetto sulla valida instaurazione del contraddittorio con gli altri soggetti evocati. Ciò posto, alla luce delle risultanze processuali, la domanda risarcitoria originariamente avanzata da omissis il quale, va ricordato, in atto di citazione ha ascritto l'eziologia del danno alla salute patito successivamente all'intervento chirurgico di posizionamento di artroprotesi al ginocchio sinistro eseguito il 9 novembre 2004, ad una patologia infettiva di origine nosocomiale e dunque, in ultima analisi, alle carenze igieniche della struttura nella quale è stato eseguito l'intervento de quo, senza neppure adombrare alcuna imperizia del personale medico a vario titolo coinvolto nell'esecuzione di detto trattamento deve ritenersi fondata e meritevole di accoglimento entro i limiti infra specificati. In punto di diritto, va osservato che, alla stregua del costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la responsabilità dell'ente ospedaliero per i danni provocati dal medico suo dipendente al paziente per errori nella terapia o nell'intervento chirurgico ha natura contrattuale di tipo professionale, trovando fondamento in un contratto autonomo ed atipico, definito come contratto di spedalità o contratto di assistenza sanitaria cfr. Cass. civ., n. 8826/07 Cass. civ., n. 1698/06 Cass. civ., n. 571/05 Cass. civ., n. 9556/02 Cass. Civ., n. 12233/98 Cass. Civ., a 7336/98 Cass. Civ., n. 4152/95 Cass. Civ., n. 5939/93 . È peraltro, indifferente che si tratti di una struttura sanitaria pubblica o, comunque, convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale ovvero privata, essendo sostanzialmente equivalenti a livello normativo gli obblighi gravanti sui due tipi di strutture nei confronti del fruitore del servizio in entrambi i casi, eventuali violazioni incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità di limitazione di responsabilità o discriminazioni sul piano risarcitorio in ragione della diversa natura, pubblica o privata, della struttura cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 577/08 . A sua volta anche l'obbligazione del medico dipendente dall'ente ospedaliero nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul contatto sociale , ha natura contrattuale cfr. Cass. Civ., n. 589/99 Cass. Civ., n. 10297/04 Cass. Civ., n. 9085/06 . L'anzidetta qualificazione, costituente l'approdo di un percorso di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, va oggi ribadita pur alla luce della previsione recata dall'art. 3, comma 1, della legge n. 189/12 cd. legge Balduzzi , a mente del quale l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo . Ed invero, sì come recentemente chiarito dal Supremo Collegio, detta disposizione poiché omette di precisare in che termini si riferisca all'esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso solo la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. dev'essere interpretata, conforme al principio per cui in lege aquilia et levissima culpa levit, nel senso che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve anche in ambito di responsabilità extracontrattuale civilistica. Deve, viceversa, escludersi che con detto inciso il legislatore abbia inteso esprimere un'opzione a favore di una qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità extracontrattuale [ ]. Deve, pertanto, ribadirsi che alla norma nessun rilievo può attribuirsi che induca il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità medica come responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni da ultimo riaffermate da Cass., n. 4792 del 2013 cfr. Cass. civ., ord. 17 aprile 2014, in motivazione . Come è noto, la ricostruzione della responsabilità della struttura sanitaria e del medico in essa operante in termini di responsabilità contrattuale riverbera significativi effetti sia sotto il profilo della distribuzione dell'onere probatorio fra le parti, sia sul versante del criterio di valutazione della responsabilità del debitore inadempiente. Per un verso, infatti, il creditore della prestazione sanitaria è tenuto a dimostrare la conclusione del rapporto contrattuale e l'inadempimento, mentre spetta al debitore provare che quest'ultimo è dipeso da fatto a lui non imputabile, secondo il principio sancito dall'art. 1218 c.c. Segnatamente, il soggetto che assume di avere subito un danno dovuto a colpa professionale medica ha l'onere di provare la sussistenza del danno stesso, cioè la patologia da cui è affetto, il tipo di prestazione che ha ricevuto, il fatto che si tratti di una prestazione ordinaria o di routine, ed infine il nesso di causalità tra danno e prestazione del professionista sussistendo la prova in giudizio dei suddetti elementi il medico unitamente alla struttura ospedaliera di cui egli sia dipendente è responsabile, ex art. 1218 c.c., dei danni subiti dal paziente, a meno che non provi di non essere incorso in colpa, sia lieve che grave, oppure, di avere dovuto fronteggiare una situazione straordinaria o di eccezionale difficoltà ed essere incorso semplicemente in colpa lieve per imperizia. Con specifico riferimento alle ipotesi in cui l'eziologia del danno sia ricondotta alla contrazione di una patologia infettiva in ambiente ospedaliero cd. infezione nosocomiale , in virtù dell'applicazione del suddetto criterio di riparto dell'onere probatorio graverà sulla struttura sanitaria convenuta, una volta che sia stato accertato - in termini di certezza ovvero di elevata probabilità logica - il nesso causale tra il lamentato pregiudizio e l'infezione de qua, l'onere di dimostrare di avere diligentemente adempiuto la prestazione offerta al paziente, anche sotto il profilo dell'adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e delle leges artis onde scongiurare l'insorgenza di patologie infettive a carattere batterico nonché della prestazione, ad opera del proprio personale medico, la prestazione del necessario e doveroso trattamento terapeutico successivo all'eventuale contrazione dell'infezione da parte del paziente. Una volta acclarati gli eventuali profili di colpa ascrivibili al sanitario ovvero imputabili sub specie di omessa adozione delle cautele preventive destinate a scongiurare il rischio di insorgenza di infezioni in ambiente ospedaliero alla struttura sanitaria convenuta, l'attenzione va focalizzata sul secondo, imprescindibile polo della relazione causale sottesa all'azione risarcitoria, ossia il danno del quale viene invocato il ristoro. Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie, muovendo dalla disamina della documentazione sanitaria relativa alla degenza ospedaliera del defunto { omissis presso la Casa di Cure omissis dalla ricostruzione dell'iter della relativa vicenda clinica operata dai CC.TT.UU. nominati, può ritenersi acclarato che - nel periodo compreso tra l'8 novembre 2004 ed il 17 novembre 2004 il omissis venne ricoverato presso l'anzidetta struttura con la diagnosi, riportata nella cartella clinica relativa a detto ricovero, di artrosi post-traumatica ginocchio sx , derivante da un precedente infortunio e tale da rendere necessario un intervento chirurgico di sostituzione totale del ginocchio cfr. p. 4 della relazione a firma dei CC.TT.UU. omissis depositata il 9 febbraio 2012, in atti - il giorno 9 novembre 2044 il omissis fu sottoposto ad un intervento chirurgico di sostituzione totale del ginocchio sinistro con una protesi eseguito il giorno 9 novembre 2004 - successivamente all'esecuzione di detto intervento di protesizzazione, intervenne un processo infettivo endoarticolare da Streptococco agalactiae confermato sia dall'obbiettività che dagli accertamenti clinici eseguiti scintigrafia con leucociti marcati e esame colturale del secreto che fuoriusciva dalla fistola cfr. p. 16 della relazione di C.T.U. - il processo infettivo in questione provocò progressivamente una distruzione tessutale ossea loco-regionale , rendendo necessaria l'esecuzione con tecnica artroscopica di numerosi trattamenti di toilette del ginocchio presso altre strutture in data 27 febbraio 2007, nell'ottobre 2007, nel marzo 2008, il 16 aprile 2008, nel maggio 2008 e nel luglio 2008 e, infine, di un nuovo intervento chirurgico di asportazione della protesi infetta e di applicazione di altra protesi cementata effettuato in data 19 novembre 2009 cfr. pp. 12 e 13 della relazione di C.T.U. . Ciò posto, alla stregua della valutazione pressoché concorde dei due CC.TT.UU. nominati sul punto esaurientemente motivata, immune da contraddizioni e vizi logici e, pertanto, condivisibile in questa sede , la patologia infettiva batterica da Streptococco agalactiae venne contratta da omissis durante il periodo di degenza dello stesso presso la Casa di Cure omissis ai fini dell'esecuzione dell'intervento di protesizzazione del ginocchio sinistro nel novembre del 2004. In particolare, può ragionevolmente escludersi che il processo infettivo endoarticolare de quo fosse insorto in epoca precedente all'applicazione della protesi poiché la scintigrafia ossea eseguita nel settembre 2004 due mesi prima l'intervento risultò negativa per focolai di infezione cfr. p. 17 della relazione di consulenza, in atti , dovendosi pertanto ascriverne l'eziologia, alla stregua di un criterio di elevata probabilità logica, al trattamento chirurgico poiché la sua presenza e il suo esordio sono documentati dal successivo formarsi in sede cicatriziale di cute necrotica e di una artrite infettiva che rese necessario il successivo intervento di asportazione della lesione cutanea nell'aprile 2005 a distanza di cinque mesi dall'intervento cfr. p. 17 della relazione di consulenza, in atti . Non è dato, tuttavia, rilevare profili di negligenza o di imperizia specificamente imputabili ai sanitari operanti in punto di individuazione ed esecuzione del trattamento terapeutico adottato nei riguardi di omissis nella fase pre-operatoria e nel decorso post-operatorio, avendo in nominati CC.TT.UU. accertato, sulla base della cartella clinica relativa al ricovero, che al paziente venne somministrato il Diezime 1 g. i.m. prima di entrare in sala operatoria trattasi di un antibatterico che si utilizza nel trattamento delle infezioni , terapia che fu ripetuta sino al 15-11-2004 e che da tale data sino al 17-11-2004 fu somministrato un altro antibatterico Ciproxin , con prescrizione, all'atto della dimissione, di continuare la terapia con Ciproxin per altri 6 giorni cfr. p. 17 della relazione di consulenza, in atti detto trattamento, secondo la valutazione operata dai CC.TT.UU., venne eseguito secondo la prassi indicata nel campo infettivo logico che prevede una profilassi pre e post operatoria di breve durata cfr. pp. 17-18 della relazione di consulenza, in atti . Pertanto, una volta esclusa l'incidenza causale di una negligente condotta medica in ordine all'insorgenza dell'infezione comunque maturata in ambiente ospedaliero , la relativa eziologia va ricondotta, secondo un criterio di plausibilità ed elevata probabilità logica, ad una inadeguata disinfezione e sterilizzazione del locale adibito a sala operatoria ovvero della strumentazione chirurgica impiegata cfr. p. 18 della relazione di consulenza tecnica per quanto suesposto il processo infettivo post-operatorio con conseguente danno articolare non è dipeso dallo specifico trattamento chirurgico di protesizzazione ma verosimilmente da difetti o carenze di carattere organizzativo all'interno della struttura sanitaria e da possibili inadeguatezze concernenti le procedure di profilassi volte ad impedire o limitare le infezioni batteriche ospedaliere operazione, quest'ultima, non demandata all'equipe medica occupatasi dell'esecuzione dell'intervento - e costituita da omissis - i cui componenti peraltro, secondo la stessa prospettazione della convenuta Casa di Cure omissis non erano, all'epoca dei fatti, dipendenti della medesima struttura e rispetto ai quali non era, dunque, predicabile alcun potere di controllo in ordine alla disinfezione della sala operatoria , ma erano stati scelti dallo stesso paziente. A fronte di ciò, la struttura sanitaria convenuta non ha adempiuto all'onere, sulla medesima gravante alla stregua dei principi generali richiamati supra, di dimostrare di avere adottato le cautele prescritte dalla vigente normativa in tema di preservazione delle condizioni igieniche dei locali destinati all'effettuazione degli interventi chirurgici ed al ricovero dei pazienti e di sterilizzazione e profilassi preventiva della strumentazione adoperata. Difetta, dunque, qualsiasi elemento probatorio utile a dimostrare l'adozione, ad opera della Casa di Cure omissis di misure preventive dirette a scongiurare la verificazione dell'infezione batterica post-operatoria mediante la profilassi del campo operatorio e la salvaguardia della salubrità dei luoghi di degenza. Va, infatti, ricordato che la diligente sterilizzazione dell'ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e delle attrezzature e strumentazioni chirurgiche adoperate costituisce obbligo precipuo della struttura sanitaria, che è tenuta, in virtù del contratto di spedalità, ad assicurare ambienti salubri ed attrezzature conformi ai parametri della scienza e della tecnica medica. Orbene, secondo i principi in materia di onere probatorio sopra richiamati, incombeva alla struttura ospedaliera convenuta la prova dell'inesistenza di un inadempimento, ossia di avere disinfettato e sterilizzato con successo la sala operatoria e le attrezzature utilizzate, ovvero in alternativa la prova positiva dell'inesistenza del rapporto di causalità tra inadempimento e danno, in ragione della preesistenza dell'infezione al ricovero ospedaliero che nel caso di specie può ragionevolmente escludersi sulla scorta delle considerazioni sul punto sopra svolte in tema di nesso causale . Va, quindi, osservato che l'insorgenza della patologia infettiva de qua non si atteggia ad evento imprevedibile costituendo al contrario, si come evidenziato dai CC.TT.UU., una delle più temibili complicanze con effetti iatrogeni dell'intervento di impianto di protesi articolare e comportando spesso la necessità di ulteriori procedure chirurgiche quali la rimozione delle protesi resezioni ossee, eventuali reimpianti verificatesi nel caso di specie né, per altro verso, essa può definirsi inevitabile, dovendosi osservare, in accordo con quanto sostenuto dai CC.TT.UU., che le percentuali del verificarsi di una tale complicanza si sono progressivamente ridotte con i tempi, in rapporto alle migliori misure preventive ed al rigoroso rispetto dell'asepsi nell'ambiente operatorio così, mentre per i primi impianti queste complicanze variavano secondo le principali casistiche dall'11% al 7%, esse si sono successivamente attestate intorno allo 0,5% e, dunque, ad ipotesi assolutamente marginale cfr. pp. 16-17 della relazione di consulenza, in atti . Può, pertanto, ascriversi alla struttura sanitaria convenuta una diretta responsabilità in ordine alla causazione dell'infezione e, in ultima analisi, delle relative conseguenze pregiudizievoli delle quali è stato domandato il ristoro con l'atto di citazione a cominciare da quelle, di carattere non patrimoniale, direttamente incidenti sull'integrità psico-fisica di omissis . Infatti, la mancata dimostrazione della preesistenza dell'infezione nella persona del paziente, l'accertata riconducibilità eziologica dell'infezione ad un agente patogeno diffuso in ambito ospedaliero, in uno alla mancata dimostrazione dell'efficace sterilizzazione del campo operatorio, della strumentazione chirurgica adoperata e dei locali di degenza, inducono ad affermare che la Casa di Cure omissis non abbia esattamente adempiuto all'obbligo di porre a disposizione del paziente attrezzature idonee ad evitare l'insorgenza della complicanza infettiva cfr. pp. 20-21 della relazione di consulenza, in atti il processo infettivo successivamente instauratosi in sede chirurgica è verosimilmente dovuto a difetti o carenze di carattere organizzativo all'interno della struttura ospedaliera e a possibili inadeguatezze concernenti le procedure di profilassi volte ad impedire o limitare le infezioni batteriche nosocomiali . Acclarato, dunque, l'inadempimento contrattuale della struttura sanitaria convenuta, quest'ultima va condannata al risarcimento dei danni il cui ristoro è stato invocato in questa sede, entro i limiti e nella misura infra specificati. Non può, invece, trovare accoglimento la domanda di garanzia spiegata dalla predetta convenuta nei riguardi di Reale Mutua Assicurazioni in forza del rapporto assicurativo derivante dalla polizza n. 879/03/41093, esorbitando l'azione risarcitoria promossa da omissis novero degli eventi assicurati ricadenti entro l'ambito temporale di applicabilità della garanzia medesima relativo alla assicurazione della responsabilità civile verso terzi e verso prestatori di lavoro cfr. polizza ed allegate condizioni di contratto, doc. n. 10 allegato alla produzione della convenuta Casa di Cure omissis . Ed invero, la clausola recata dall'art. 8 delle condizioni generali di assicurazione espressamente richiamate dall'anzidetta polizza, ad essa allegate e sottoscritte in ogni pagina ed in calce dal legale rappresentante della società assicurata cfr. doc. n. 10 allegata alla produzione della Casa di Cura omissis con riferimento alla validità temporale dell'assicurazione, chiaramente circoscrive l'operatività della garanzia alle sole richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'Assicurato nel corso del periodo di validità dell'assicurazione purché relative a fatti accaduti antecedentemente alla stipula del contratto . Nel caso di specie, la data di decorrenza contrattuale è fissata al 23 dicembre 2003, mentre la data di scadenza al 23 dicembre 2004, mentre è pacifico che la richiesta di risarcimento da parte di omissis sia pervenuta per la prima volta alla Casa di Cura omissis in data 14 gennaio 2009 sì come dalle medesima struttura indicato nella missiva datata 17 gennaio 2009 indirizzata alla Società Reale Mutua di Assicurazioni, cfr. doc. n. 9 allegato alla produzione di parte convenuta riceviamo in data odierna 14/01/2009, da parte dello Studio omissis richiesta di risarcimento danni da parte del paziente in oggetto indicato, che alleghiamo in copia per Vostra opportuna conoscenza . Orbene, non è revocabile in dubbio, alla stregua del dominante indirizzo della giurisprudenza di legittimità e di merito, la legittimità e la validità di siffatta clausola, comunemente denominata claims mode o a richiesta fatta in virtù della quale l'assicuratore si obbliga a tenere indenne l'assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l'assicurazione e ciò diversamente dall'ordinario schema, denominato loss occurrance e legato alla data di insorgenza dell'evento lesivo , che offre la copertura assicurativa per tutti gli eventi dedotti nel contratto purché si siano verificati nel periodo di vigenza della polizza , attesa la pacifica derogabilità della previsione recata dall'art. 1917, comma 1, c.c. Ciò sia laddove si voglia accedere all'opzione ermeneutica che la riconduce entro l'alveo di un contratto atipico ex art. 1322 c.c. cfr. Cass. civ., n. 5624/05 , sia qualora la si ritenga, invece, pienamente compatibile con la fattispecie negoziale tipica delineata dall'art. 1917 c.c. in tal senso, argomentando dal rilievo che la clausola non altera l'oggetto del contratto, costituito pur sempre dal fatto illecito dedotto in polizza, ma si limita a circoscrivere sul piano temporale l'operatività dell'obbligazione di garanzia ricadente sull'assicuratore, cfr. Trib. Milano, sentenza n. 3527/10 Corte di Appello Roma n. 312/12 . In ordine al carattere eventualmente limitativo della responsabilità dell'assicuratore della clausola ed alla conseguente assoggettabilità, pure adombrata dalla parte convenuta, della medesima alla disciplina recata dall'art. 1341, comma 2, c.c., va in generale ricordato che, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la clausola in esame non è di per sé limitativa della responsabilità ex art. 1341 c.c., dipendendo detto effetto semmai dalla sua concreta configurazione e dallo specifico contenuto che le parti abbiano inteso attribuirle, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito cfr. Cass. civ., n. 5624/05 una clausola contrattuale può essere ricompresa tra quelle che stabiliscono limitazioni di responsabilità a favore di colui che l'ha predisposta a condizione che essa restringa ad es. sotto il profilo quantitativo, spaziale o temporale l'ambito di responsabilità così come fissato, con più ampia estensione, da precetti normativi cfr. altresì Cass. civ., n. 5390/97 non possono, pertanto, qualificarsi vessatorie quelle clausole che abbiano, per contenuto, una mera determinazione della effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione . Sotto detto profilo va osservato che nella prassi dei rapporti negoziali suole distinguersi tra clausole claims made pure che si limitano ad ancorare l'ambito temporale di validità della garanzia alla data di presentazione della richiesta di indennizzo, senza alcuna altra limitazione diversa da quella eventualmente derivante dalla prescrizione del diritto al risarcimento del terzo danneggiato e miste che introducono ulteriori limitazioni, ad esempio escludendo gli eventi dannosi verificatisi oltre una certa soglia temporale, ad esempio oltre i due o tre anni precedenti alla stipulazione della polizza, così riducendo il lasso di tempo - altrimenti decennale, fino al decorso della prescrizione - entro il quale rimane fermo l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato . A ben vedere, non può dirsi che le clausole del primo tipo introducano una limitazione della responsabilità dell'assicuratore a svantaggio dell'assicurato nell'accezione rilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 1341, comma 2, c.p.c. Ed invero, nel regime ordinario ex art. 1917 c.c. contratto cd. loss occurrence , l'assicurato copre la propria responsabilità in relazione ai rischi che si verificano durante il periodo di efficacia della polizza ma può far valere tale copertura assicurativa relativa al fatto commesso durante il periodo di efficacia della polizza, di solito annuale fino al termine di prescrizione del diritto del terzo di proporre una richiesta di risarcimento danni nella specie, poiché trattasi di responsabilità medica, addirittura fino ai 10 anni successivi . In presenza della clausola claims made ed. pura, invece, l'assicurazione copre le richieste di risarcimento del danno pervenute all'assicurato nel periodo di regola annuale, sì come nel caso di specie di efficacia della polizza, ma relativamente a tutti i rischi dedotti in polizza verificatisi nel decennio precedente, cioè fino al momento in cui esso assicurato potrà ritualmente eccepire la prescrizione del diritto del danneggiato di chiedere il risarcimento del danno. Può, pertanto, ravvisarsi una sostanziale equivalenza tra le due ipotesi in esame contratto cd. loss occurrence e con clausola claims made cd. pura sotto il triplice profilo dell'alea contrattuale, della valutazione del rischio assicurato e dell'equilibrio nel rapporto sinallagmatico tra le parti, operando sostanzialmente la garanzia per qualunque tipologia di evento riconducibile alle fattispecie descritte nel contratto e per un analogo ambito temporale corrispondente al periodo in relazione al quale il terzo danneggiato può fare valere il proprio diritto al risarcimento del danno , alla sola condizione non dipendente dall'assicurato né dall'assicuratore, bensì dall'iniziativa dello stesso terzo danneggiato che la richiesta risarcitoria pervenga all'assicurato nel periodo di validità della polizza talora, anzi, potrebbe essere addirittura più vantaggioso per l'assicurato stipulare la polizza contenente la clausola claims made si pensi all'ipotesi in cui rassicurato sia in tutto o in parte privo di copertura assicurativa per i fatti illeciti eventualmente posti in essere in epoca anteriore alla stipulazione della polizza . Ne consegue che una clausola siffatta deve ritenersi valida ed efficace a prescindere dal fatto che essa sia stata sottoscritta separatamente e per iscritto ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c. Nel caso di specie, siamo appunto in presenza di una clausola claims made cd. pura , che subordina l'operatività della garanzia assicurativa al semplice fatto che la richiesta di risarcimento sia stata inoltrata all'assicurato nel periodo di vigenza del rapporto contrattuale, senza ulteriori limitazioni temporali diverse dall'eventuale prescrizione del diritto al risarcimento del danneggiato risultano, infatti, coperti dalla garanzia assicurativa prestata dalla Società Reale Mutua di Assicurazione tutti i fatti accaduti antecedentemente alla stipula del contratto , senza alcuna distinzione . Orbene, ritiene questo Tribunale, in accordo con la linea interpretativa della più recente giurisprudenza di merito ed espressa, con dovizia di argomentazioni, dal Tribunale di Milano con la citata sentenza n. 3527/10 che siffatta clausola sia legittima, valida ed efficace pur in assenza di specifica sottoscrizione essa non può, infatti, ascriversi al novero delle pattuizioni contemplate dall'art. 1341, comma 2, c.c., non implicando una limitazione della responsabilità dell'assicuratore tale da incidere sull'assetto di interessi disciplinato dal contratto di assicurazione in guisa da determinare una significativa alterazione dell'equilibrio del rapporto sinallagmatico a solo vantaggio dell'assicuratore, bensì unicamente a delimitare l'oggetto della garanzia prestata sotto il profilo temporale in ordine alla distinzione tra clausole limitative della responsabilità e clausole di specificazione dell'oggetto del contratto, cfr. Cass. civ., n. 10619/12 in detta pronuncia il Supremo Collegio, nell'affermare, con specifico riferimento al contratto di assicurazione, la non assoggettabilità al regime previsto dall'art. 1341, comma 2, c.c. di una clausola negoziale che prevedeva il contenimento della durata della garanzia ad un tempo inferiore rispetto a quello della prescrizione dell'azione risarcitoria eventualmente intentata nei confronti dell'assicurato - e, dunque, ben una delimitazione del rischio garantito ben più incisiva rispetto a quella derivante da una clausola claivis made pura - ha ribadito il principio secondo il quale sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell'art. 1341 c.c., solo quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all'oggetto del contratto, e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dal comma 2 di detta norma, le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito analogamente, cfr. Cass. civ., n. 395/07 Cass. civ., n. 23741/09 Cass. civ., n. 8235/10 . Non è dato, poi, rinvenire la prova dell'esistenza di ulteriori polizze assicurative suscettibili di radicare il fondamento della domanda di garanzia avanzata dalla Casa di Cure omissis genericamente allegate da quest'ultima in comparsa di costituzione e risposta, laddove si fa riferimento all'avvenuta stipulazione negli anni di varie polizze assicurative per la responsabilità civile verso terzi, senza soluzione di continuità temporale . Al riguardo, mette appena conto rilevare che la suddetta convenuta si è limitata ad allegare unicamente la copia di una delle polizze in questione, la n. 879/03/41093 del 23 dicembre 2003. Né può farsi riferimento alla successiva polizza n. 850/03/50427 del 21 febbraio 2006, avente validità annuale sino al 21 febbraio 2007 , pure essa connotata dalla clausola claims made e riferita unicamente ad eventi verificatisi non antecedentemente al 31/12/2004 , essendo la richiesta risarcitoria pervenuta all'assicurato in epoca successiva anche rispetto alla scadenza di detto rapporto cfr. doc. n. 4 allegato alla produzione della terza chiamata Società Reale Mutua di Assicurazione . In conclusione, sulla scorta delle ragioni sopra esposte, la domanda di garanzia spiegata dalla convenuta Casa di Cure omissis nei confronti della Società Reale Mutua di Assicurazione va rigettata, essendo pacifico che la richiesta risarcitoria di omissis sia pervenuta all'anzidetta convenuta in epoca successiva alla scadenza delle polizze, non ricadendo dunque l'evento dannoso dedotto a fondamento di detta richiesta entro l'ambito temporale di applicazione della garanzia assicurativa. Attesa l'acclarata insussistenza di specifici profili di colpa professionale imputabili ai componenti dell'equipe medica incaricata dell'esecuzione dell'intervento chirurgico di impianto di artroprotesi al ginocchio sinistro e dotati di efficienza causale in ordine all'insorgenza della patologia infettiva post-operatoria, devono, altresì, reputarsi infondate le domande di rivalsa avanzate dalla convenuta Casa di Cura omissis nei riguardi dei terzi chiamati omissis cfr. pp. 20-21 della relazione di consulenza, in atti non si evince nesso di causalità tra l'operato dei sanitari della Casa di Cura omissis che sottoposero il Ricorrente ad intervento di protesizzazione di ginocchio nel novembre 2004 e il processo infettivo successivamente instauratosi in tale sede. L'operato dei sanitari fu condotto con diligenza, prudenza e perizia sia per quanto riguarda la fase di diagnosi, la fase di intervento e la fase di successiva terapia e la scelta del tipo di intervento chirurgico fu idonea nel caso in questione. Anche la modalità di esecuzione di tale intervento è da considerare adeguata e corretta. Pertanto non si ravvisano elementi di responsabilità all'equipe operatorie per le sequele infinite che poi si verificarono . Ciò posto in ordine all'accertamento della responsabilità civile ascrivibile alla parte convenuta, occorre verificare la sussistenza delle diverse voci di danno il cui ristoro è stato invocato dal omissis e, successivamente al decesso di quest'ultimo, avvenuto in corso di causa, da omissis costituitisi in prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 302 c.p.c. nella qualità di eredi dell'originario attore. Muovendo dalla considerazione dei profili di pregiudizio afferenti la sfera non patrimoniale, va tenuto conto del fatto che omissis in considerazione delle condizioni di salute pregresse ed antecedenti rispetto all'esecuzione dell'intervento chirurgico di artroprotesi, avrebbe verosimilmente patito, anche in presenza di un normale decorso postoperatorio, una permanente limitazione della propria integrità psico-fisica. In questa sede dunque, sì come correttamente rilevato dai CC.TT.UU., può essere accordato unicamente il ristoro del cd. maggior danno , ossia della menomazione a carattere permanente ulteriore e specificamente residuata quale conseguenza dell'infezione post-chirurgica di origine ospedaliera, con necessità di reimpianto di protesi , che va quantificata nella misura del 15% cfr. p. 21 della relazione di consulenza, in atti . Pure va riconosciuto il ristoro dell'invalidità temporanea, protrattasi per un periodo ben più lungo di quello ordinariamente necessario per la convalescenza all'esito di un intervento di impianto di protesi articolare proprio in conseguenza dell'insorgenza dell'infezione batterica detto periodo, alla stregua della motivata e condivisibile valutazione sul punto operata dai CC.TT.UU., è stato pari a complessivi 52 giorni di invalidità temporanea totale ed a complessivi 550 giorni di invalidità temporanea parziale correlata ai successivi interventi di pulitura della sede della protesi resi necessari dalla perdurante presenza dell'infezione ed ai relativi periodi di convalescenza calcolata al 50% delle attitudini del soggetto per i primi 200 giorni ed al 10% per i successivi 350 giorni . Non può essere riconosciuto alcun ristoro in relazione ad una menomazione dell'integrità psichica dell'attore omissis non avendo i nominati CC.TT.UU. riscontrato in capo al medesimo, al di là di una comprensibile reazione emotiva rispetto agli eventi patiti, la sussistenza di una vera e propria patologia psichiatrica suscettibile di preciso ed obiettivo inquadramento clinico cfr. pp. 19-20 della relazione di consulenza, in atti per quanto attiene al versante psichiatrico si può affermare che il Sig. omissis non presenta anomalie psicopatologiche di rilievo psichiatrico forense. È palese che non ci troviamo di fronte ad un quadro psicotico evidente e conclamato [ ]. L'evidenza di sfumata sintomatologia ansiosa presente episodicamente in passato e nel presente non si può inquadrare, secondo le classificazioni in uso, in un disturbo propriamente detto, il ricorrente non presenta, inoltre, patologie della serie psicorganica che possano incidere sulle sue funzioni cognitive, né anomalie della personalità tali da poter individuare uno specifico disturbo [ ]. I ripetuti interventi sanitari ai quali è stato costretto a sottoporsi hanno certamente determinato una lesione della sua qualità di omissis interferendo sulle relazioni affettive-familiari, modificando le abitudini sociali e relazionali. Malgrado questa condizione di disagio, comunque, nel soggetto non è stata rilevata alcuna lesione dell'integrità psichica tale da inquadrarsi in termini di danno biologico di natura psichica . Ore, per ciò che attiene alla liquidazione del pregiudizio, va osservato che, come precisato da quattro recenti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione a sezioni unite le nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008 , il danno biologico, quale lesione del diritto inviolabile alla salute art. 32 Cost. , va ricondotto nell'alveo del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. e ha una portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private il cui art. 139 statuisce che per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medicolegale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito , suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Nella nozione di danno biologico sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti ai profili dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato nonché ogni aspetto concernente la sofferenza morale, non necessariamente transeunte, conseguente all'evento lesivo, risarcibile - ex art. 185 c.p. - allorché cui tale evento configuri un illecito penale e ciò anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge e, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato cfr. Corre Cost. n, 233/2003 Cass. civ. nn. 7281,7282 e 7283 del 2003 . Ed invero, secondo le sezioni unite della Suprema Corte, il danno non patrimoniale costituisce una categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate ed il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 26972/2008 . Pertanto, è fonte di ingiustificate duplicazioni di risarcimento l'attribuzione di distinte poste risarcitorie liquidate, magari, l'una in percentuale dell'altra a titolo di danno biologico, di danno morale e di quel pregiudizio - scaturente dalle alterazioni alla vita di relazione, dalla perdita di qualità della vita, dalla compromissione delle dimensioni esistenziali della persona - che nell'elaborazione di dottrina e giurisprudenza aveva preso la definizione di danno esistenziale la cui autonoma configurazione deve essere definitivamente superata, giacché attraverso questa si finisce per portare, contro la volontà del legislatore, il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno . Alla luce di ciò, posto che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre , sarà compito del giudice quello di procedere ad un'adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza, comprensivo sia della lesione dell'integrità psicofisica che delle conseguenti sofferenze. Nella liquidazione, avente natura essenzialmente equitativa, di una tale voce di danno, questo giudice ritiene di prendere le mosse dal criterio, ormai consolidato in giurisprudenza, del cosiddetto punto tabellare , in base al quale l'ammontare del danno viene calcolato in relazione all'età della parte lesa ed al grado di invalidità. Al riguardo, va assunta come parametro di riferimento la tabella in uso presso il Tribunale di Milano da ultimo aggiornata all'anno 2013 recentemente valorizzate dal Supremo Collegio quale punto di riferimento a livello nazionale per la liquidazione del danno non patrimoniale cfr. Cass. civ., n. 12408/11 ed elaborate in guisa da prevedere un incremento ponderato del valore punto di invalidità in relazione alle sofferenze ed ai turbamenti conseguenti alla traumatica esperienza subita alle gravità delle lesioni riportate alle intuitive ripercussioni delle stesse sulla sfera emotivo-relazionale del soggetto ed alla verosimile necessità di sottoporsi in futuro ad ulteriori trattamenti terapeutici e riabilitativi. Per ciò che attiene alle modalità di liquidazione, va poi ricordato che il nominato C.T.U. ha quantificato in complessivi 15 punti percentuali il grado di riduzione dell'integrità fisica residuato in capo a omissis e specificamente ricollegabile sul piano causale, alla patologia infettiva contratta in occasione dell'intervento chirurgico di protesizzazione del ginocchio sinistro al netto, dunque, della condizione di invalidità permanente che sarebbe, comunque, inevitabilmente residuata in capo al paziente anche nell'ipotesi di normale decorso post-operatorio . Pertanto, utilizzando il corrispondente valore-punto tabellare di euro 3.508,19 già comprensivo di un incremento percentuale ponderato elaborato in guisa da tenere conto della necessità di procedere al risarcimento del danno non patrimoniale inteso nella lata accezione sopra delineata e, dunque, suscettibile nella prospettiva di una personalizzazione del risarcimento, di assicurare un adeguato ristoro anche del pregiudizio soggettivo di ordine emotivo correlato e moltiplicandolo per il coefficiente 0,745 corrispondente all'età della persona danneggiata 52 anni all'epoca della verificazione del danno che può farsi coincidere con la data dell'esecuzione dell'intervento chirurgico in conseguenza del quale si è sviluppata la patologia infettiva ossia con il 9 novembre 2004 , si ottiene la somma di euro 39.204,00. In sintonia con le indicazioni contenute nelle tabelle ed al fine di garantire un'adeguata personalizzazione del risarcimento appare opportuno, in considerazione dei notevoli patimenti correlati alla necessità di sottoporsi ai numerosi interventi chirurgici documentali in atti e finalizzati ad emendare le conseguenze della patologia infettiva culminati con la definitiva sostituzione della protesi originariamente impiantata ed alle, presumibili ed intuibili, negative ripercussioni di detti eventi sulla sfera emotiva e relazionale del soggetto nonché, vista la peculiare natura delle lesioni fisiche, all'incidenza negativa delle stesse sull'attitudine lavorativa generica del danneggiato delle applicare su detta somma un ulteriore incremento percentuale del 25%, addivenendosi così all'importo complessivo di euro 49.005,00, riconoscibile a titolo di ristoro del complessivo pregiudizio non patrimoniale spettante a omissis . Va, pure, accordato il ristoro del danno non patrimoniale patito dal omissis sub specie di invalidità temporanea, da quantificarsi, in conformità alla valutazione espressa dal C.T.U. e sopra richiamata ed alla stregua del valore di euro 96,00 giornalieri previsto dalle Tabelle del Tribunale di Milano, in complessivi euro 17.952,00. Ciò posto, nel caso di specie la circostanza che il soggetto leso sia deceduto nelle more del giudizio peraltro per ragioni indipendenti dalla patologia dedotta quale danno risarcibile , riverbera significativi effetti sotto il profilo della liquidazione del danno non patrimoniale dallo stesso subito e del quale viene ora invocato il ristoro, iure successionis, dagli eredi omissis . Al riguardo va, infatti, osservato come in tema di risarcimento del danno non patrimoniale qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, alla valutazione probabilistica connessa con l'ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato debba sostituirsi quella del concreto danno effettivamente prodottosi, cosicché l'ammontare del danno biologico il cui ristoro gli eredi del defunto domandano iure successionis va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, per quanto tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d'animo è più intenso rispetto ai periodi successivi in tal senso Cass. Civ., n. 28407/08 Cass. Civ.,n. 19058/08 . In armonia con il condivisibile orientamento della Suprema Corte dianzi richiamato, dunque, qualora la morte non sia stata causata dalle lesioni, ma sia sopravvenuta per altra causa allorquando - come nel caso di specie - le lesioni si erano evolute in postumi invalidanti stabilizzati, la liquidazione del danno biologico da invalidità permanente deve seguire regole particolari, in quanto la durata della vita, in questo caso, non costituisce più un dato presunto, ma un dato reale è possibile, così, sapere per quanto tempo il danneggiato ha dovuto convivere con la sua menomazione, con la conseguenza che il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta cfr. Cass. Civ., n. 5332/2003 . Da tale considerazione discende, quale logico corollario, che l'ammontare del danno non patrimoniale trasmissibile iure hereditatis dovrà essere calcolato non già in relazione all'aspettativa di vita media, bensì in relazione all'effettiva vita residua goduta ciò in quanto ai fini della liquidazione dell'anzidetto pregiudizio, l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. In altri termini, come osservato dal Supremo Collegio, quando la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l’intera durata della sua vita residua così Cass. Civ., n. 22338/07 . Ciò posto, va osservato che il criterio di liquidazione tabellare del danno da invalidità permanente dianzi richiamato risulta calibrato sulla presumibile durata della vita del danneggiato il quale, all'epoca del sinistro, aveva 52 anni e postula la proiezione del pregiudizio su una determinata aspettativa media di vita residua, mentre, nel caso di specie, omissis ha, di fatto, sopportato i postumi invalidanti derivanti dalle lesioni dell'integrità fisica accertati dal C.T.U. sino alla data della morte avvenuta il 18 febbraio 2013 e, dunque, per un periodo di tempo sensibilmente più ridotto pari a circa otto anni e quattro mesi . Il danno biologico da invalidità permanente andrà, dunque, ancorato al periodo di effettiva sopravvivenza di omissis successivamente alla verificazione dell'evento lesivo che lo ha colpito inferiore rispetto all'odierna aspettativa di vita media e ciò operando un abbattimento percentuale della somma liquidata che tenga conto dello scarto temporale tra l'entità della residua aspettativa di vita media e l'effettivo periodo di sopravvivenza del soggetto in epoca successiva all'evento lesivo e della proporzione tra detti elementi. Ed invero, la somma, sopra liquidata, di euro 49.005,00 postula la sopravvivenza del danneggiato sino al raggiungimento della soglia della presumibile aspettativa di vita media che può fissarsi in 85 anni e, dunque, nel caso di specie, la proiezione futura del pregiudizio a decorrere dall'insorgenza del danno lungo un arco temporale di circa 33 anni. L'effettiva sopravvivenza di omissis nel periodo successivo all'evento lesivo si è, invece, protratta per circa nove anni. Pertanto, alla stregua di un criterio essenzialmente equitativo e tenuto conto della gravità dei postumi invalidanti riportati e del consolidamento dei medesimi nel periodo intercorso tra l'evento lesivo e la morte, si stima congruo liquidare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale correlato all'invalidità permanente ed effettivamente patito dal defunto omissis nel periodo di sopravvivenza e, come tale, risarcibile iure successionis ai relativi eredi , la somma di euro 17.151,75 pari al 35% dell'intero importo astrattamente spettante a omissis qualora quest'ultimo fosse, attualmente, ancora in vita . Va, invece, integralmente riconosciuto il ristoro, iure successionis ed in forma di equivalente pecuniario, dell'intero danno biologico da invalidità temporanea pari come sopra evidenziato a euro 17.952,00 , trattandosi di pregiudizio integralmente e compiutamente patito da omissis allorché lo stesso era ancora in vita. Ricordato che il vulnus recato alla capacità lavorativa generica della persona danneggiata può essere ristorato sotto forma di danno biologico mediante la personalizzazione del risarcimento a detto titolo riconosciuto cfr. Cass. civ., n. 2311/07 , va osservato che il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica non si riflette automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e quindi di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l'incidenza, sulla scorta delle allegazioni e dei congruenti riscontri forniti dal danneggiato così Cass. civ., n. 15674/11 . Nel caso di specie, non può trovare accoglimento la domanda, pure originariamente avanzata da omissis risarcimento del danno patrimoniale subito sub specie di lucro cessante correlato all'incapacità lavorativa specifica ed alla conseguente contrazione reddituale, in difetto di qualsivoglia dimostrazione, sia sul piano documentale che con prova testimoniale, dell'obiettiva entità dei proventi asseritamente conseguiti dal omissis dipendenza dell'attività lavorativa svolta all'epoca dell'intervento chirurgico - e successivamente cessata - quale genericamente allegata in atto di citazione elettricista dati, questi, in ordine ai quali nessun elemento utile è stato fornito dal testimone escusso sul punto, dalla cui deposizione oltretutto si evince il carattere precario ed occasionale di detta attività cfr. verbale di udienza del 15 giugno 2011, in atti . Né può ritenersi costituisca un danno patrimoniale emergente conseguenza diretta ed immediata dell'evento lesivo imputabile alla struttura sanitaria convenuta l'esborso di euro 40.961,63 effettuato dal omissis in favore dell'I.N.P.S. cfr. relativa ricevuta di versamento, allegata alla produzione di parte attrice al fine di integrare i contributi maturati con le Ferrovie dello Stato mediante la contribuzione volontaria [ ] al fine di raggiungere i requisiti minimi per la pensione cfr. p. 4 dell'atto di citazione trattasi, infatti, non già di una perdita patrimoniale correlata alla condizione di invalidità in senso proprio, bensì della volontaria, anticipata sopportazione di un onere economico che, comunque, sarebbe stato sostenuto dal soggetto in ogni caso e, dunque, anche in ipotesi di svolgimento dell'attività lavorativa rimasta preclusa al fine di maturare i requisiti contributivi per la percezione della pensione di anzianità nella prospettiva di un futuro godimento della medesima da parte di sé stesso ovvero dei prossimi congiunti aventi diritto . Alla luce delle considerazioni sopra svolte, l'importo del danno non patrimoniale, unitariamente considerato, patito da omissis e risarcibile, iure successionis, agli attori omissis in qualità di eredi dello stesso omissis ammonta a complessivi euro 35.103,75. La somma in questione, in quanto calcolata ai valori attuali, va dapprima devalutata alla data dell'evento lesivo coincidente con la data di esecuzione dell'intervento chirurgico in occasione del quale è insorta l'infezione e, dunque, con il 9 novembre 2004 , per poi procedere all'applicazione degli interessi compensativi sulle somme via via rivalutate. Infatti, il superiore importo, espresso in valuta attuale, non comprende l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità del denaro, derivante dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. A tal proposito va osservato che in caso di risarcimento del danno, se la liquidazione viene effettuata per equivalente - e cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione - è dovuto anche il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della somma. Infatti, la rivalutazione della somma liquidata e gli interessi sulla somma rivalutata assolvono due funzioni diverse, mirando la prima alla reintegrazione del danneggiato nella situazione patrimoniale anteriore all'illecito, mentre gli interessi hanno natura compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione. In merito agli interessi da ritardato pagamento si noti, altresì, che tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore prossimo all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione ciò in quanto nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno infatti corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto . Tale interesse va poi applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle sezioni unite della Suprema Corte con sentenza n. 1712/1995 poi ribadito, tra le altre, da Cass. civ. n. 2796/2000, n. 7692/2001, n. 5234/2006, n. 16726/2009 e n. 18028/2010 , sulla somma capitale originaria rivalutata di anno in anno. Affermata, pertanto, la cumulabilità di rivalutazione ed interessi, ormai pacifica in giurisprudenza, occorre tenere presente che, al fine di evitare la ed, overcompensation del danno, è necessario effettuare una devalutazione nominale delle voci liquidate in valuta attuale, rapportandole all'equivalente della data di insorgenza del danno, per procedere quindi alla rivalutazione, applicando gli interessi alle somme che man mano si incrementano per effetto della rivalutazione con cadenza mensile alla stregua della mensile variazione degli indici ISTAT , interessi che, di tempo in tempo applicati sulla variabile base secondo il tasso vigente all'epoca di riferimento, si accantonano e si cumulano senza rivalutazione. Procedendo alla stregua dei criteri appena enunciati, a partire dal danno complessivamente subito sopra indicato in valori attuali, si determina il danno iniziale , inteso come danno finale devalutato alla data del fatto questo dunque viene successivamente rivalutato fino alla data della sentenza, al contempo calcolando gli interessi ponderati via via maturati. Si arriva, in tal modo,a determinare l'importo esatto degli interessi da corrispondere per la mancata completa disponibilità del risarcimento dovuto. Alla stregua dei criteri sopra esposti, spetta dunque agli omissis , nella qualità di eredi del defunto omissis e, nei rapporti interni, in proporzione delle rispettive quote ereditarie , la somma di euro 42.186,37 di cui euro 35,103,75 per capitale rivalutato e euro 7.082,62 . Sulla somma anzidetta devono poi riconoscersi interessi, al tasso legale, dalla data della presente sentenza momento in cui il debito di valore diventa debito di valuta e fino al soddisfo. Al pagamento degli anzidetti importi in favore degli attori omissis riguardati nella qualità di eredi del defunto omissis a condannata la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore. In accordo al canone della soccombenza espresso dall'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico della convenuta Casa di Cure omissis le spese processuali sostenute da parte attrice nonché dal terzo chiamato evocato in giudizio proprio dalla citata convenuta, la cui azione di rivalsa nei suoi confronti è stata però rigettata omissis spese per la cui liquidazione si rimanda al dispositivo. Avuto riguardo al profilo argomentativo ed alla complessità della decisione in ordine all'efficacia della polizza assicurativa sottesa alla domanda di garanzia spiegata dalla convenuta Casa di Cure omissis nei riguardi della terza chiamata Reale Mutua Assicurazioni, si ravvisano gravi ragioni idonee a giustificare una parziale compensazione in ragione del 50% delle spese processuali nei rapporti tra dette parti le spese residue seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Avuto riguardo al contegno processuale osservato dalla omissis Assicurazioni terza chiamata in garanzia dal terzo chiamato omissis che non ha contestato l'operatività della garanzia assicurativa ed al sostanziale assorbimento delle questioni correlate alla chiamata in garanzia per effetto del rigetto dell'azione di rivalsa spiegata dalla Casa di Cure omissis nei riguardi di omissis va disposta la compensazione delle spese di lite nei rapporti tra omissis e omissis Assicurazioni s.p.a. Infine, vanno poste a carico della convenuta Casa di Cure omissis le spese di C.T.U., liquidate come da separato decreto in atti. In ordine alla liquidazione delle spese processuali va, poi, in generale ricordato che, per giurisprudenza costante, nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari difensivi, deve essere determinato avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vittoriosa e non a quella domandata cfr., tra le tante, Cass. civ., 5840/2004 n. 738/2002 . Nel caso di specie detta liquidazione va operata alla luce dei parametri introdotti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 attuativo dell'art. 13, comma 6 della legge n. 247/2012 , avendo la complessiva attività espletata dal difensore della parte attrice trovato compimento, con il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, in un momento temporale successivo all'entrata in vigore delle disposizioni recate dal citato decreto ministeriale 3 aprile 2014 . P.Q.M. Definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede 1 condanna la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di omissis nella qualità di eredi di omissis nato a Palermo il omissis e deceduto a Palermo il omissis , della somma di euro 42.186,37, oltre interessi al saggio legale dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo 2 rigetta la domanda spiegata dalla convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nei confronti della terza chiamata Società Reale Mutua di Assicurazioni, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con atto di citazione per chiamata di terzo in causa 3 rigetta le domande spiegate dalla convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nei confronti dei terzi chiamati omissis con atto di citazione per chiamata di terzo in causa 4 condanna la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte attrice, che liquida in complessivi euro 6.000,00 per compensi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese forfetarie al 15% come per legge 5 condanna la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato omissis che liquida in complessivi euro 3.800,00 per compensi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese forfetarie al 15% come per legge 6 compensa parzialmente in ragione del 50% le spese processuali nei rapporti tra la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore e la terza chiamata Società Reale Mutua di Assicurazioni, in persona del suo legale rappresentante pro tempore 7 condanna la convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle residue spese processuali sostenute dalla terza chiamata Società Reale Mutua di Assicurazioni, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi euro 1.800,00 per compensi, oltre I.V.A., C.P.A. e spese forfetarie al 15% come per legge 8 compensa integralmente le spese processuali nei rapporti tra il terzo chiamato omissis e la terza chiamata omissis Assicurazione, in persona del suo legale rappresentante pro tempore 9 pone definitivamente a carico della convenuta Casa di Cure omissis in persona del suo legale rappresentante pro tempore, le spese di C.T.U., liquidate come da separato decreto in atti.