Nell'appalto privato è possibile esercitare il recesso unilaterale

Il recesso unilaterale legittima la richiesta di indennizzo dell'appaltatore.

Nella disciplina privatistica dell'appalto è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell'appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, di contro, l'esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore alla realizzazione dell'opera o allo svolgimento del servizio la cui prosecuzione risponde unicamente all'interesse del committente Il caso . Un ente fierisitico, mediante regolare contratto d'appalto, affidava la gestione del servizio di biglietteria ad una società in nome collettivo. Successivamente, l'appaltante rescindeva il contratto, pertanto, l'appaltatore conveniva in giudizio l'ente fieristico affinché fosse condannato al risarcimento dei danni scaturenti dalla illecita interruzione dell'appalto. Il committente si costituiva in giudizio chiedendo che fosse dichiarata la legittimità del recesso e la nullità del contratto d'appalto. Il tribunale riconosceva la legittimità del recesso e, contestualmente, ex art. 1671 c.c., condannava l'ente fieristico a versare una somma a titolo di indennizzo in favore della società attrice. La corte d'appello confermava la decisione del giudice di primo grado ma annullava la condanna a versare l'indennizzo, affermando che il recesso era avvenuto per giusta causa, dunque, il committente nulla doveva all'appaltatore. Sul punto, occorre precisare che la corte territoriale individuava la giusta causa del recesso nell'infiltrazione mafiosa della compagine sociale della società in nome collettivo, così come accertata in separato procedimento penale. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Rescissione disciplinata nel contratto d'appalto. La S.C. ha osservato che la corte territoriale aveva ricondotto la fattispecie all'istituto della risoluzione per giusta causa rimandando ad una apposita clausola che - contenuta all'interno del contratto d'appalto - disciplinava, a suo dire, la risoluzione del contratto in ipotesi espressamente indicate, tra cui, gravi inosservanze degli obblighi e grave e reiterate infrazioni delle norme riguardanti il servizio. I giudici di legittimità hanno osservato che la norma pattizia sembrava richiamare la disciplina dettata in materia di appalti pubblici che consente alla P.A. di liberarsi dai vincoli negoziali ove l'appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza. Tuttavia, occorre non confondere la disciplina pubblicistica degli appalti da quella privatistica, così come non deve confondersi il diritto potestativo di risoluzione dei contratti attribuito alla P.A. dalla legge con la disciplina privatistica della risoluzione dei contratti. Recesso nel contratto d'appalto. La cassazione ha chiarito che nella disciplina privatistica dell'appalto è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell'appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, di contro, l'esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore alla realizzazione dell'opera o allo svolgimento del servizio la cui prosecuzione risponde unicamente all'interesse del committente Cass. Civ. n. 9645/2011 . Dunque, il committente può recedere dal contratto anche se l'opera è iniziata purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese sopportate e del mancato guadagno art. 1671 c.c. . Tale ragionamento logico giuridico chiarisce che la giusta causa della risoluzione - quand'anche esistente - non esclude il dritto del committente ad ottenere un indennizzo. Con queste argomentazioni i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza della corte d'appello rinviando la causa ad altra corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 7 maggio - 13 ottobre 2014, n. 21595 Presidente Salvago – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - La Tiano Viaggi e Turismo S.n.c. convenne in giudizio l'Ente Autonomo Fiera di Messina, lamentando l'ingiustificata rescissione del contratto di affidamento del servizio di biglietteria stipulato con lo stesso il 22 luglio 1998, e chiedendo pertanto che fosse accertato l'inadempimento del convenuto, con la condanna al risarcimento dei danni da essa subiti. Si costituì in giudizio l'Ente, chiedendo in via riconvenzionale la dichiarazione di nullità del contratto, in quanto stipulato con modalità contra legem , ed in subordine il riconoscimento della legittimità del recesso, consentito dal contratto con riferimento a fattispecie elencate in maniera meramente esemplificativa. 1.1. - Con sentenza del 29 settembre 2004, il Tribunale di Messina dichiarò la legittimità del recesso dell'Ente e lo condannò al pagamento della somma di Euro 61.974,82, oltre interessi e rivalutazione, a titolo d'indennizzo dovuto ai sensi dell'art. 1671 cod. civ., rigettando la domanda di risarcimento dal danno all'immagine proposta dall'attrice e la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto. 2. - L'impugnazione proposta dall'Ente Autonomo è stata accolta con sentenza del 3 luglio 2007, con cui la Corte d'Appello di Messina ha dichiarato che il recesso era avvenuto per giusta causa ed ha escluso l'obbligo di corrispondere qualsiasi somma per l'esercizio della relativa facoltà, rigettando il gravame incidentale proposto dall'attrice. A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il recesso dell'Ente fosse giustificato dal coinvolgimento nell'affare di elementi di spicco della mafia locale, risultante da indagini svolte in sede penale, che avevano riguardato anche la società appaltatrice, affermando che doveva conseguentemente essere esclusa ogni pretesa di carattere patrimoniale, avuto riguardo alla derogabilità dell'art. 1671 cod. civ Ha aggiunto che la dichiarazione di legittimità del recesso rendeva superfluo l'esame della domanda di risoluzione per inadempimento, proposta in via subordinata ed avente carattere alternativo rispetto al recesso, mentre ha ritenuto infondata la domanda di accertamento della nullità del contratto, non risultando dagli atti che il coinvolgimento della malavita locale nella gestione del servizio avesse inciso sulla formazione della volontà contrattuale. Ha rigettato infine sia la domanda di risarcimento dei danni proposta dall'Ente, in quanto collegata a quella di risoluzione e comunque sfornita di prova, sia quella di risarcimento del danno all'immagine proposta dall'appellata, in considerazione delle decisioni adottate. 3. - Avverso la predetta sentenza la Tiano Viaggi e Turismo propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. L'Ente Autonomo non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1362 cod. civ., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato nella rescissione un recesso ad nutum senza corresponsione d'indennizzo, previsto dall'art. 13 del contratto in deroga all'art. 1671 cod. civ. Sostiene infatti che nell'interpretazione della clausola contrattuale la Corte di merito ha conferito prevalente rilievo al criterio logico, trascurando la lettera del contratto, che, nel disciplinare la rescissione, indicava tassativamente le ipotesi in cui era consentito l'esercizio di tale facoltà, senza fare alcun cenno ai motivi di opportunità addotti dall'Ente. Tali motivi sono stati erroneamente ricondotti all'ipotesi prevista dalla lettera e dell'art. 13 cit., che faceva invece riferimento a gravi e reiterate infrazioni alle norme relative allo svolgimento del servizio, e sono stati ritenuti sussistenti sulla base di provvedimenti penali che, oltre a risultare inidonei al giudicato, in quanto aventi carattere provvisorio, erano stati pronunciati nei confronti di terzi estranei alla società. 2. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1671 cod. civ., ribadendo che, nel dichiarare legittimo il recesso, con l'esclusione di qualsiasi indennizzo, la Corte d'Appello non ha tenuto conto dell'impossibilità di ricondurre i motivi di opportunità addotti dall'Ente all'art. 13 del contratto, e della conseguente riconducibilità della fattispecie all'art. 1671 cit., che, nel consentire al committente di recedere unilateralmente dal contratto senza fornire alcuna spiegazione, riconosce all'appaltatore il diritto all'indennizzo. 3. - I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono fondati. Nell'escludere il diritto della ricorrente all'indennizzo previsto dall'art. 1671 cod. civ., la Corte di merito ha ricondotto la fattispecie all'art. 13 del contratto di appalto stipulato tra le parti, il quale riconosceva all'Ente Autonomo la facoltà di rescindere il contratto senza preavviso in una serie di casi specificamente indicati, facendo salva la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni in tale clausola la sentenza impugnata ha ravvisato la previsione di un diritto di recesso, accompagnata dall'esclusione dell'obbligo di corrispondere un indennizzo all'ap-paltatrice, riconoscendo la legittimità di tale esonero, avuto riguardo alla derogabilità della disciplina dettata dall'art. 1671 cit., e ritenendo d'altronde giustificato l'esercizio del predetto diritto, in virtù del coinvolgimento della malavita locale nella gestione del servizio, accertato in sede penale. Tali conclusioni si pongono peraltro in contrasto con il tenore letterale della clausola interpretata e della comunicazione trasmessa dall'Ente Autonomo alla società ricorrente, il cui testo è stato puntualmente riportato nel ricorso, nonché con le disposizioni che disciplinano la rescissione dei contratti conclusi con la Pubblica Amministrazione ed il recesso dal contratto d'appalto. Nell'attribuire all'Ente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto, l'art. 13 cit. ne consentiva infatti l'esercizio, oltre che in caso di scioglimento o fallimento dell'appaltatrice, in presenza di gravi inosservanze degli obblighi posti a carico della stessa o di gravi e reiterate infrazioni alle norme riguardanti lo svolgimento del servizio, postulando pertanto un inadempimento della predetta società. La rubrica ed il testo della clausola non menzionavano d'altronde in alcun modo un diritto di recesso, ma prevedevano esclusivamente la facoltà di rescindere il contratto, in tal modo evocando il disposto dell'art. 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, che, in tema di appalti pubblici, consente all'Amministrazione di procedere alla rescissione del contratto, facendo anch'esso salvo il diritto al risarcimento, ogni qualvolta l'appaltatore si renda colpevole di frode o grave negligenza, o contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate. Tale provvedimento, com'è noto, si configura come una risoluzione per inadempimento disposta in via autoritativa dall'Amministrazione nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, e si differenzia pertanto dal recesso, contemplato dall'art. 345 della legge n. 2248 cit., che, pur comportando anch'esso lo scioglimento del rapporto per volontà unilaterale dell'Amministrazione, costituisce espressione di un diritto potestativo il cui esercizio non postula la sussistenza di particolari condizioni, ma può aver luogo in qualsiasi momento, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, richiedendosi soltanto, a tal fine, la corresponsione di un indennizzo in favore dell'appaltatore cfr. Cass., Sez. I, 7 agosto 1993, n. 8565 Cass., Sez. Un., 9 maggio 1972, n. 1402 . Non diversamente, peraltro, nell'ambito della disciplina privatistica dell'appalto, mentre è preclusa al committente la facoltà di risolvere unilateralmente il contratto per inadempimento dell'appaltatore, non essendo egli titolare di poteri di autotutela, l'esercizio del diritto di recesso non è subordinato a particolari presupposti, ma può aver luogo per qualsiasi causa, il cui accertamento non è neppure richiesto ai fini della legittimità del recesso, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore alla realizzazione dell'opera o allo svolgimento del servizio, la cui prosecuzione risponde esclusivamente all'interesse del committente cfr. Cass., Sez. II, 2 maggio 2011, n. 9645 24 aprile 2008, n. 10742 29 luglio 2003, n. 11642 . Per poter ravvisare un diritto di recesso nella facoltà attribuita all'Ente Autonomo, in contrasto con la lettera dell'art. 13 cit., la Corte di merito avrebbe pertanto dovuto spiegare le ragioni per cui le parti avrebbero inteso circoscriverne l'esercizio ad ipotesi in cui, ricorrendo un inadempimento dell'appaltatrice, avrebbe potuto essere legittimamente disposta la rescissione del contratto, con la conseguente esclusione dell'obbligo di corrispondere l'indennizzo, anche in mancanza di un'espressa previsione contrattuale. È noto d'altronde che, nell'interpretazione del contratto, deve attribuirsi valore prioritario al criterio che impone di fare riferimento al significato letterale delle espressioni usate e d'interpretare le clausole nel loro reciproco collegamento, la cui sufficienza, ai fini della ricostruzione della comune intenzione delle parti, esclude l'utilizzazione degli altri criteri ermeneutici, i quali rivestono una portata meramente sussidiaria e complementare, per l'ipotesi in cui in cui una clausola si presti ad interpretazioni diverse e contrastanti cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Ili, 11 marzo 2014, n. 5595 Cass., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9786 Cass., Sez. II, 16 febbraio 2007, n. 3644 . In ogni caso, anche a voler ritenere che la clausola contrattuale prevedesse, in riferimento alle ipotesi espressamente indicate, un diritto di recesso svincolato dall'obbligo di corrispondere l'indennizzo, la sentenza impugnata avrebbe dovuto precisare a quale delle predette ipotesi era riconducibile la determinazione della Amministrazione e le relative ragioni come si evince dalla comunicazione inviata all'appaltatrice, la risoluzione del contratto fu infatti disposta per motivi di opportunità, collegati alle circostanze emerse nel corso di un'indagine penale, che non trovano apparentemente riscontro in alcuna delle fattispecie elencate dall'art. 13 del contratto. 4. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito il terzo motivo, con cui la ricorrente ha lamentato l'immotivato rigetto della domanda di risarcimento dei danni. 5. - La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d'Appello di Messina, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d'Appello di Messina, anche per la liquidazione delle spese processuali.