Nessuna comunicazione ai clienti: la banca “anarchica” tira fuori i soldi di tasca propria

Se manca la prova della ricezione della comunicazione dalla banca ai suoi clienti delle operazioni effettuate, è inapplicabile l’art. 1712, comma 2 c.c., che implica l’approvazione del mandante, in caso di un suo eccessivo ritardo nella risposta al mandatario dopo aver ricevuto la comunicazione del mandato, anche nel caso di discostamento dalle istruzioni o di violazione dei limiti.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18873, depositata l’8 settembre 2014. Il caso. Una banca veniva convenuta in giudizio per i danni causati a due clienti dalla perdita del capitale investito e dall’esposizione debitoria sul conto corrente, a seguito di investimento in strumenti finanziari curati dalla stessa convenuta. Mentre ilo tribunale di Cuneo rigettava la domanda, la Corte d’appello di Torino condannava la banca al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni. La convenuta ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 1712 c.c., in quanto la banca poteva agire, per conto del cliente, anche in nome proprio, e degli artt. 1223, 1224 e 1226 c.c. in ordine al cumulo di rivalutazione ed interessi compensativi. Compiti del mandatario. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione concorda con i giudici di merito, che avevano affermato la mancata applicazione alla fattispecie dell’art. 1712, comma 2, c.c., secondo cui il ritardo del mandante a rispondere, dopo aver ricevuto la comunicazione dell’esecuzione del mandato, per un tempo superiore a quello richiesto dalla natura dell’affare e dagli usi, importa approvazione, anche se il mandatario si sia discostato dalle istruzioni o abbia ecceduto dai limiti del mandato. Nel caso di specie, l’inapplicabilità dell’art. 1712 c.c. era collegata alla mancata prova della ricezione, da parte dei clienti, della comunicazione delle operazioni effettuate. I clienti avevano stipulato un contratto con la banca, conferendole l’incarico di negoziare, sottoscrivere, collocare e trasmettere ordini su strumenti finanziari. In esso veniva precisato che la banca aveva la possibilità di operare sia in nome proprio che in nome dei clienti, ma sempre sulla base di ordini impartiti da questi ultimi. La banca non aveva provato, ai sensi dell’art. 23, comma 6, TUF, la presenza di ordini scritti, né di ordini verbali non documentati, ex art. 21 TUF. Infine, mancava la prova della ricezione, da parte dei clienti, delle comunicazioni delle operazioni effettuate. Perciò, anche la circostanza che la banca agisse talvolta in nome proprio e altre in nome dei clienti, non escludeva la necessità di singoli ordini scritti o orali e richiedeva in ogni caso la ricezione, da parte degli investitori, della comunicazione delle operazioni effettuate. Cumulo possibile. Infine, la Cassazione ricorda che il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale si configura come debito di valore e, in quanto tale, ad esso è applicabile il cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi compensativi, assolvendo a funzioni diverse. La prima, infatti, mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato, mentre i secondi lo ricompensano del mancato godimento del bene. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 giugno – 8 settembre 2014, n. 18873 Presidente Forte – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 10/07/2002, R.R. e R.F. convenivano in giudizio BANCA SELLA S.p.A., chiedendo l'accertamento del comportamento illegittimo della convenuta, e la condanna della stessa al risarcimento del danno, consistente nella perdita del capitale investito e nell'esposizione debitoria su conto corrente, a seguito di investimento in strumenti finanziari, curati dalla banca stessa. Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto della domanda, affermando di aver adempiuto correttamente all'attività di intermediazione finanziaria, nel rispetto di ogni obbligo di legge, e chiedendo in via riconvenzionale la condanna degli attori al pagamento del saldo passivo del conto corrente. Con sentenza in data 31/07/2004, il Tribunale di Cuneo rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale. Proponevano appello gli attori. Costituitosi il contraddittorio, la Sella Holding Banca spa, successore, ne chiedeva il rigetto. La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 27/04/2007, in riforma, accoglieva l'appello e condannava l'appellata al pagamento della somma di €. 41.833,00. Ricorre per cassazione l'appellata. Resistono , con controricorso, gli appellanti, che pure propongono ricorso incidentale condizionato . Resiste, con controricorso, l'appellata, che deposita memoria per l'udienza. Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta violazione del principio della domanda ex art. 122 cpc e dei giudicato ex art. 2909 c.c. , là dove la sentenza impugnata ha deciso la controversia, ritenendo inapplicabile in via generale alla fattispecie l'art. 1712 c.c., profilo non oggetto di impugnazione. Con il secondo, violazione dell'art. 1712 c.c., considerando che la banca poteva agire, per conto del cliente e anche in nome proprio. Con il terzo, violazione degli artt. 1218, 1711 e 1712 c.c. , sostenendo che la mancanza degli ordini di investimento rendeva le relative operazioni non nulle, ma inefficaci, e dunque possibile oggetto di ratifica. Con il quarto, in subordine, vizio di motivazione, in ordine all'asserita mancata ricezione, da parte dei clienti, della notizia delle operazioni effettuate. Con il quinto, in ulteriore subordine, violazione degli artt. 1223, 1224, 1226, in ordine al cumulo di rivalutazione e interessi compensativi. Con il primo motivo, i ricorrenti incidentali lamentano vizio di motivazione, là dove la Corte di merito non ha configurato il rapporto tra le parti, come contratto di gestione patrimoniale. Con il secondo, vizio di motivazione e violazione degli artt. 21, 23, 24 TUF, 1327, 1703 c.c., con riferimento alla scheda di informazioni, e in particolare ai profili della propensione al rischio, obiettivi di investimento, esperienza dell'investitore. Con il terzo, vizio di motivazione e violazione dell'art. 21 TUF, 28 Regolamento Consob, circa l'obbligo di informazione da parte dell'intermediario. Con il quarto, vizio di motivazione relativamente alla responsabilità contrattuale dell'intermediario per mancata informazione. Con il quinto, vizio di motivazione circa il divieto per l'investitore di contrarre obbligazioni che impegnino il cliente oltre il patrimonio depositato. Con il sesto, vizio di motivazione in ordine alla necessità di una CTU contabile. Con il settimo, vizio di motivazione, circa l’ammissibilità di querela di falso. Con l'ottavo, vizio di motivazione e violazione dell'art. 1418 c.c. circa la nullità degli ordini e dei contratti, in caso di inadeguatezza dell'informazione da parte dell'intermediario. Con il nono, vizio di motivazione e violazione dell'art. 1399 c.c. e 23 TUF, affermando che la ratifica degli ordini di investimento deve avvenire in forma scritta. Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi, recanti numeri d'ordine differenti, ai sensi dell'art. 335 c.c. Il ricorso principale appare ammissibile i motivi sono specificamente indicati e così le parti della sentenza censurata le violazioni di legge, anche se talora non sono specificamente indicate in rubrica, sono tuttavia precisate e argomentate nella trattazione dei motivi ed emergono agevolmente da questa. Il primo motivo dei ricorso principale è infondato. Non sussiste violazione alcuna dei principio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il ragionamento dei giudice a quo è ampio ed articolato , ma questi, tra l'altro, afferma la mancata applicazione alla fattispecie dell'art. 1712 2° comma c.c., per cui il ritardo dei mandante a rispondere, dopo aver ricevuto la comunicazione dell'esecuzione dei mandato, per un tempo superiore a quello richiesto dalla natura dell'affare e dagli usilimporta approvazione, anche se il mandatario si sia discostato dalle istruzioni o abbia ecceduto dai limiti dei mandato stesso. Afferma il giudice a quo, con valutazione di fatto, sorretta da motivazione adeguata e non illogica e dunque insuscettibile di controllo in questa sede, che l'inapplicabilità dell'art. 1712 è collegata alla mancata prova della ricezione, da parte dei clienti, della comunicazione delle operazioni effettuate ma tale profilo è proprio quello che la ricorrente riconosce essere stato fatto valere dagli odierni resistenti, con uno dei motivi di appello . Chiarisce, in particolare, la sentenza impugnata che R. e R. stipularono un contratto con la Banca Sella, conferendo ad essa l'incarico di negoziare, sottoscrivere, collocare e trasmettere ordini su strumenti finanziari, precisandosi che la Banca poteva operare sia in nome proprio che in nome dei clienti, ma sempre sulla base di ordini impartiti dagli stessi. Si aggiunge che la banca non ha provato, come era suo onere ai sensi dell'art. 23, comma 6° TUF, la presenza di ordini scritti, ma neppure di ordini verbali non documentati, a norma dell'art. 21 lett. A TUF. Nè vi è prova agli atti - continua la sentenza impugnata - della ricezione, da parte dei clenti, delle comunicazioni delle operazioni effettuate. Anche il secondo motivo appare infondato. La circostanza dei resto riconosciuta, come si è detto, dalla stessa sentenza impugnata che la ricorrente agisse talora in nome proprio e talora in nome dei clienti, non escludeva certo, di per sé, la necessità di singoli ordini scritti od orali, e comunque richiedeva la ricezione, da parte degli investitori, della comunicazione delle operazioni effettuate. Neppure ha pregio il terzo motivo. L'argomentazione circa l'inefficacia, e non la nullità di una eventuale mancanza degli ordini di investimento, ciò che dunque non escluderebbe una sanatoria mediante ratifica, contrasta con l'affermazione della sentenza impugnata, relativa alla mancanza della comunicazione delle operazioni effettuate e la conseguente impossibilità di una ratifica. Il quarto motivo appare inammissibile, per assenza del quesito relativo a violazioni di legge, nonché della sintesi, omologa ai quesiti di diritto, in relazione a vizio di motivazione al riguardo, Cass. N. 2694 del 2008 di cui all'art. 366 bis c.p.c. abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi. Il quinto motivo appare infondato. Il giudice a quo ritiene che il risarcimento dei danno, come nella specie, da inadempimento contrattuale si configuri come debito di valore. Diversamente da quanto afferma la ricorrente, è applicabile, secondo giurisprudenza consolidata tra le altre, Cass. N. 8165 del 1998 n. 13104/1995 n. 1889 dei 2013 al debito di valore il cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi compensativi che assolvono a funzioni diverse, essendo la prima diretta a ripristinare la situazione patrimoniale dei danneggiato, ed essendo volti i secondi a ricompensare lo stesso del mancato godimento dei bene in questione nella specie, il denaro corrispondente al capitale investito e all'esposizione debitoria su conto corrente . Va pertanto rigettato il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in €. 7.000,00 per compensi , €. 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 10% ed accessori di legge.