Il suocero chiede indietro il denaro prestato al genero? Deve provare il suo diritto alla restituzione

Ove in giudizio si chieda la restituzione di una somma di denaro conferita a titolo di mutuo, e la vicenda si inserisca nell’ambito dei rapporti familiari, l’attore deve fornire la prova rigorosa della pattuizione del diritto alla restituzione dell’importo.

La questione affrontata dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 17050, depositata il 28 luglio 2014, si concentra sulla prova da fornire in ipotesi di domanda tesa alla restituzione di una somma di denaro consegnata a titolo di mutuo. Il particolare contesto familiare in cui si sviluppa la vicenda giustifica, a parere della Cassazione, il rigore dell’onere della prova richiesto all’attore. Il fatto. Il suocero citava in giudizio il genero onde sentirlo condannare alla restituzione dell’importo di 75 milioni di lire complessivamente erogatigli, in due distinte occasioni, a titolo di mutuo. Il convenuto, resistendo alla domanda sostenendo che le somme erano state conferite solo in favore della figlia dell’attore, quale donazione a causa di matrimonio, chiamava in causa quest’ultima, dalla quale si era frattanto separato, chiedendo di essere manlevato. Il Tribunale condannava il genero alla restituzione di una parte dell’importo, considerando la somma residua quale donazione nuziale. La decisione era riformata in secondo grado la Corte di Appello rilevava come in primo grado risultasse indimostrato il titolo legittimante l’obbligo di restituzione delle somme. Il suocero soccombente proponeva quindi ricorso per cassazione. La dazione e la causa posta a fondamento dell’obbligo di restituzione vanno provate. Delle censure proposte i Giudici di legittimità si soffermavano su quella sollevata in relazione alla violazione degli artt. 1813, 1815 e 769 c.c Sostenevano gli Ermellini come la Corte di Appello avesse seguito l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, colui che aziona un giudizio per richiedere la restituzione di una somma di denaro prestata, a suo dire, a titolo di mutuo, deve provare non solo l’effettiva dazione ma anche la causa che legittima l’obbligo restitutorio. Nell’analizzare la questione gli Ermellini evidenziavano come in materia operi nell’ordinamento giuridico il principio secondo cui risulta inammissibile il trasferimento di ricchezza senza una causa legittima che giustifichi il passaggio di denaro da un patrimonio ad un altro. Quindi, se da un lato chi pretende la restituzione di una somma di denaro che assume di aver conferito come mutuo, deve dare la prova anche del titolo che fonda il suo diritto, è parimenti vero che chi riceve denaro altrui non può trattenerlo se non provi l’esistenza di una causa che ne giustifichi l’acquisizione. La prova del titolo del conferimento è necessaria se l’attore non formula subordinate. In questa direzione gli Ermellini rilevavano tuttavia come la prova rigorosa del titolo secondo cui è stato eseguito il conferimento debba essere fornita solo ove l’attore abbia individuato uno specifico contratto, senza quindi aver formulato una domanda subordinata tesa ad accertare il carattere ingiustificato o indebito del pagamento ovvero l’arricchimento senza causa. In questa direzione veniva in effetti interpretato il principio consolidato in giurisprudenza Cass. Civ., n. 12119/2003 Cass. Civ., n. 9541/2010 , secondo cui, l'attore il quale chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 c.c., gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l'obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova. Constatava inoltre la Cassazione come ove il convenuto contesti la richiesta di restituzione debba allegare il titolo in forza del quale si reputa legittimato a trattenere il denaro. Concludendo. Orbene ferme queste premesse, nel caso di specie, i Giudici di nomofilachia ritenevano di non modificare la decisione della Corte di appello che aveva preteso la prova rigorosa della pattuizione relativa al diritto alla restituzione. A giudizio dell’organo di ultima istanza tale richiesta trovava la propria giustificazione, rimasta tuttavia inespressa nella pronuncia impugnata, nell’inserimento della vicenda nell’ambito dei rapporti familiari ove non sono infrequenti le elargizioni in denaro, prive di obblighi restitutori, e soprattutto nella circostanza che la richiesta era stata formulata dal suocero solo dopo il giudizio di separazione del genero dalla figlia, ove era presumibilmente presente una situazione di conflittualità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 maggio – 28 luglio 2014, n. 17050 Presidente Russo – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 25-26 marzo 1997 C.V. ha convenuto davanti al Tribunale di Modena il genero, T.C. , chiedendone la condanna alla restituzione di L. 75 milioni, oltre interessi e maggior danno, somma che gli aveva erogato a titolo di mutuo, quanto a L. 25 milioni il 7 giugno 1991, e quanto al L. 100 milioni il 2 marzo 1994, dovendosi quest'ultima somma attribuire al T. solo per la metà, essendo stata dall'attore versata congiuntamente al convenuto ed alla moglie di lui e figlia propria, C.D. . Il convenuto ha resistito alla domanda, assumendo che le somme sono state pagate esclusivamente a C.D. , quale dono di nozze. Ha chiesto ed ottenuto di chiamare in causa la C. - dalla quale si era nel frattempo separato - per esserne manlevato. La C. si è costituita, confermando le deduzioni e le difese dell'attore. Esperita l'istruttoria, con sentenza n. 1663/2005 il Tribunale ha parzialmente accolto le domande attrici, condannando il T. a restituire la somma di Euro 25.822,84, oltre interessi e rivalutazione monetaria, corrispondente al 50% del secondo mutuo, considerando il primo importo di L. 25 milioni un regalo di nozze, ed ha respinto la domanda di manleva proposta dal T. . Proposto appello da quest'ultimo, a cui hanno resistito gli appellati, con sentenza 10 - 15 luglio 2008 n. 1151 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto il T. da ogni domanda sul rilievo che l'attore in primo grado - pur avendo dimostrato la dazione del denaro - non ha dimostrato che le somme siano state versate in base ad un titolo che manifestasse la pattuizione dell'obbligo di restituzione richiamando il principio enunciato da Cass. 19 agosto 2003 n. 12119 . Ha respinto conseguentemente le domande proposte dal T. contro la C. ed ha compensato fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio. Con atto notificato il 6 novembre 2008 il C. propone tre motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Resiste il T. con controricorso, notificato il 16 dicembre 2008. Motivi della decisione 1.- Con i tre motivi - che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi - il ricorrente denuncia violazione degli art. 1813, 1815, 769 ss. cod. civ., primo motivo ancora violazione dell'art. 1813 e dell'art. 1362 cod., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione secondo motivo violazione dell'art. 2697 e vizi di motivazione terzo motivo, per avere la Corte di appello ritenuto non dimostrati i fatti posti a fondamento della sua domanda. Deduce di avere dimostrato di avere effettivamente versato la somma chiesta in restituzione, tramite bonifici bancari oggettivamente dimostrabili che il perfezionamento del mutuo può desumersi dalla mera dazione della cosa mutuata mediante accredito in conto corrente Cass. 2483/2001 e che la prova dell'obbligo di restituzione del denaro ben avrebbe potuto desumersi per presunzioni, ai sensi dell'art. 2727 cod. civ., dal fatto che egli ha documentato di avere versato alla figlia maggiore la stessa somma erogata al T. e alla figlia D. , in entrambi i casi per consentire loro l'acquisto della casa familiare che la figlia maggiore ha restituito il prestito e così pure la figlia D. , moglie del T. , la quale ha restituito le L. 50.000.000 a lei destinate del prestito di L. 100.000.000, erogato dal ricorrente ai due coniugi nel 1994. Denuncia erronea ed insufficiente valutazione delle prove orali, esaminate solo parzialmente, nel corso delle quali i testi hanno inequivocabilmente parlato di prestito , a proposito del denaro erogato al T. . 2.- I motivi sono inammissibili sotto più di un aspetto. 2.1.- Le censure rivolte alla valutazione delle testimonianze investono questioni rimesse alla discrezionalità del giudice di merito, non censurabili in sede di legittimità se non sotto il profilo dell'insufficienza od illogicità intrinseca alle argomentazioni con cui la sentenza impugnata ha motivato la sua decisione vizi che il ricorrente ha formalmente dedotto, ma non dimostrato, limitandosi a criticare il merito della decisione, ma non il procedimento logico ed argomentativo con cui la Corte di appello vi è pervenuta. Tanto è vero che neppure ha formulato specifici quesiti sui vizi di motivazione, sintetizzando in apposita proposizione analoga al quesito di diritto il fatto controverso in relazione al quale la motivazione è da ritenere viziata, ovvero l'indicazione delle ragioni per cui essa è inidonea a giustificare la decisione, come prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 366Jbis cod. proc. civ. Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258 Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652 Cass. Civ. Sez. III, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, 14 marzo 2013 n. 6549 ed altre sintesi delle censure che va tenuta separata dalla formulazione dei quesiti attinenti alle violazioni di legge Cass. Civ. Sez. 5, 29 febbraio 2008 n. 5471 Idem, 18 novembre 2011 n. 24253, fra le tante . 2.2.- Quanto ai documenti, la relativa valutazione è inammissibile anche ai sensi dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in quanto il ricorrente non indica se e dove i documenti richiamati a supporto delle sue argomentazioni siano stati prodotti, come siano contrassegnati e reperibili fra gli altri atti e documenti di causa Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019 Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025 Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966 Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova . 2.3.- Il secondo motivo è inammissibile per l'inidonea formulazione del quesito di diritto oltre che per la mancanza del quesito in relazione ai denunciati vizi di motivazione, di cui si è detto . Il quesito Se la sentenza [impugnata] ha violato il disposto dell'art. 1362 cod. civ., in riferimento all’art. 1813 c.c. e se la stessa ha attribuito adeguata e diligente considerazione alla copiosa documentazione documentale depositata in prime cure ed alla prova per testi raccolta se ha dato ai risultati dell'istruttoria dibattimentale raccolta la giusta collocazione giuridica nel rispetto dell'art. 2121 c.c. non enuncia la fattispecie, né il problema giuridico sottoposto all'esame della Corte di cassazione non richiama il principio di diritto enunciato dalla sentenza impugnata, né quello diverso che si vorrebbe venisse affermato in sua vece, sì da consentire alla Corte di cassazione di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello in esame, come prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. cfr. Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 200'8 n. 6420 Cass. Civ. Sez. III, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535 Cass. Civ. Sez. 3, 14 marzo 2013 n. 6549 . Esso si limita a demandare alla Corte di cassazione la valutazione delle sue censure, come esposte nell'illustrazione del motivo - così tradendo lo scopo per cui la legge ha richiesto la formulazione dei quesiti - e per di più sollecita valutazioni di merito inammissibili in questa sede. 3.- Resta da esaminare il primo motivo, che investe il tema centrale della controversia e la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, cioè il principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, a cui la sentenza impugnata si è uniformata, per cui chi agisca in giudizio chiedendo il pagamento di una somma di denaro che asserisce di avere dato a mutuo è tenuto a dimostrare non solo l'effettiva dazione, ma anche la sussistenza della causa dell'erogazione contratto di mutuo , quindi dell'obbligo di restituzione. Il principio tocca un tema sensibile, che comprensibilmente il ricorrente discute e rifiuta di accettare sulla base dell'astratta e sintetica motivazione della Corte di appello, poiché se è pur vero che chi agisca per l'adempimento di un obbligo di restituzione di somme che assume di avere pagato è tenuto a fornire la prova del titolo su cui fonda il suo diritto, è anche innegabile che chi riceva il denaro altrui non è in linea di principio autorizzato a trattenerlo senza causa , e che la mancata prova da parte dell'attore della sussistenza di un contratto di mutuo, a giustificazione del diritto alla restituzione di somme che concretamente dimostri di avere versato, non elimina il problema di accertare se sia consentito all' accipiens di trattenere le somme ricevute, senza essere tenuto quanto meno ad allegare la causa che ne giustifichi l'acquisizione. Il nostro ordinamento annovera fra i suoi principi basilari e tralatizi quello dell'inammissibilità di trasferimenti di ricchezza ingiustificati, cioè privi di una causa legittima che giustifichi il passaggio di denaro o di beni da un patrimonio ad un altro. Allorché si rigetta la domanda di restituzione dell'asserito mutuante, per mancanza di prova della pattuizione del relativo obbligo, si pone in modo evidente e ineludibile il problema della sussistenza di una causa che giustifichi il diritto del denegato mutuatario di trattenere le somme ricevute, qualora questi non deduca alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto, di trattenere la somma ricevuta. Non a caso, e correttamente, il Tribunale aveva giustificato il parziale rigetto della domanda del C. di restituzione del primo pagamento di L. 25.000.000, qualificando il trasferimento di denaro come donazione di modico valore, in relazione alle condizioni economiche della famiglia, quindi valida per effetto della mera traditio del denaro art. 783 cod. civ. . I principi enunciati da questa Corte e richiamati dalla sentenza impugnata, per cui L'attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 cod. civ., gli elementi costitutivi della domanda quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l'obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto - il quale, riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa - si tramuti in accezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova Cass. civ. Sez. 3, 19 agosto 2003 n. 12119 Idem, 22 aprile 2010 n. 9541 Idem, 13 marzo 2013 n. 6295, fra le tante , vanno specificati nel senso che in primo luogo la prova rigorosa del titolo è richiesta solo quando l'attore ponga a fondamento della domanda di restituzione esclusivamente uno specifico e particolare contratto nella specie, il mutuo senza formulare neppure in subordine domanda di accertamento del carattere ingiustificato del pagamento, o di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa, sì da porre contemporaneamente in questione il diritto della controparte di trattenere la somma ricevuta. In secondo luogo, qualora la parte deduca in giudizio e dimostri l'avvenuto pagamento di una somma di denaro - ancorché sulla base di un titolo specifico, che è suo onere dimostrare - il convenuto è tenuto quanto meno ad allegare il titolo in forza del quale si ritiene a sua volta legittimato a trattenere la somma ricevuta. In mancanza di ogni allegazione in tal senso, il rigetto per mancanza di prova della domanda di restituzione proposta dal solvens va argomentato con una certa cautela e. tenendo conto di tutte le circostanze del caso, al fine di accertare se e fino a che punto la natura del rapporto e le circostanze del caso giustifichino che l'una delle parti trattenga senza causa il denaro indiscutibilmente ricevuto da altri. Nella specie, la vera ragione, pur se non espressa, del rigore con cui la Corte di appello ha preteso la prova della pattuizione del diritto alla restituzione sta nel fatto che la vicenda si inserisce nell'ambito di rapporti familiari, ove è frequente che intercorrano aiuti in denaro soprattutto fra genitori e figli , non subordinati a specifici doveri di restituzione tanto più quando, come nel caso in esame, la domanda di rimborso venga formulata dopo la separazione fra figlia e genero, quindi in situazione presumibilmente conflittuale, e solo nei confronti di lui. 4.- Il ricorso deve essere rigettato. 5.- Considerata la natura della controversia e dei rapporti fra le parti, le spese del presente giudizio si compensano. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.