Valore di mercato: indicativo, ma non risolutivo

Se, dopo che sia stato risolto il contratto di locazione, il conduttore rimanga nella detenzione del bene con il consenso del locatore, sulla base di un accordo volto a differire la data del rilascio e che preveda anche il corrispettivo dovuto, l’indennità di occupazione è ragguagliata all’importo convenuto. Questo corrispettivo costituirà anche l’indennità dovuta per il periodo successivo in relazione al quale non sia stato raggiunto un accordo, ma in tal caso il locatore potrà provare il maggior danno, dimostrando che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15899, depositata l’11 luglio 2014. Il caso. Il proprietario di un immobile, locato al Comune di Palermo, conveniva in giudizio lo stesso Comune. Dopo la convalida dello sfratto di morosità nel novembre 1988, il Comune aveva continuato ad occupare l’immobile col consenso del locatore, versando per il 1988 tutti i corrispettivi consensualmente determinati. Per il periodo successivo e fino al rilascio dell’immobile, non era stato raggiunto alcun ulteriore accordo sul corrispettivo ed il Comune aveva versato delle somme inferiori a quelle richieste. Perciò, l’uomo chiedeva la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle differenze tra quanto corrisposto ed il valore dell’immobile determinato anche da una commissione comunale , più il risarcimento danni per le spese necessarie a riportare l’immobile in normali condizioni di manutenzione. La Corte d’appello di Palermo condannava il Comune al pagamento di una somma sia a titolo di differenza tra il valore locativo e le somme corrisposte, sia a titolo di risarcimento danni. Il Comune ricorreva in Cassazione, chiedendo alla Corte di stabilire se il maggior danno, ai sensi dell’art. 1591 c.c. danni per ritardata restituzione , non può essere provato in base all’astratto valore locativo del bene, determinato mediante una ctu, ma deve essere rigorosamente provato dal locatore nella sua esistenza e nel suo ammontare. Nessuna rinnovazione tacita. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione rilevava che giustamente i giudici d’appello avevano escluso che tra le parti fosse intervenuta una rinnovazione tacita del rapporto di obbligazione. Infatti, la volontà di obbligarsi di una P.A. deve manifestarsi attraverso atti tipici e non per factia concludentia . Natura risarcitoria. Tuttavia, l’errore della Corte d’appello era stato di non considerare l’indennità versata dal Comune come avente natura risarcitoria. Difatti, sottolineano i giudici di legittimità, la circostanza che tale occupazione fosse consentita dal locatore non esclude che il conduttore fosse comunque in mora nell’adempimento dell’obbligo contrattuale di restituire il bene locatogli, impedendo, quindi, l’operatività dell’art. 1591 c.c Ha un rilevante valore, invece, per la quantificazione dell’indennità di occupazione. Tale indennità ha natura risarcitoria con l’art. 1591 c.c. l’intenzione è di effettuare una liquidazione forfettaria minima del danno per ritardata restituzione, ragguagliandola al corrispettivo convenuto, fatta salva l’eventualità, per il locatore, di dimostrare un eventuale maggior danno. Perciò, anche se il corrispettivo convenuto coincide di norma col canone di locazione, è possibile comunque che l’importo risulti superiore per effetto di un accordo successivo tra le parti. Nel caso di specie, l’ultimo valore concordato era quello relativo al 1988 e, per la Cassazione, era a tale valore che doveva essere ragguagliato il risarcimento minimo per gli anni dal 1989 al 1993, con la possibilità per il locatore di provare un maggior danno. Onere della prova. Tale maggior danno, però, non poteva essere provato solo sulla base della mera differenza tra il corrispettivo convenuto dalle parti ed il maggior valore del canone di mercato, in quanto la prova del danno deve essere fornita in relazione ad effettive e perdute possibilità del locatore di ricavare un maggior reddito dall’immobile attraverso la nuova locazione dello stesso ad un canone superiore. I giudici d’appello, al contrario, si erano limitati ad affermare che non vi fossero dubbi sul diritto dell’attore ad ottenere un’indennità conforme al valore locativo del bene e, quindi, a conseguirne il reddito percepibile qualora lo stesso fosse stato locato a terzi in condizioni di libero mercato. In questo modo, non era stato richiesta la prova dell’esistenza di concrete occasioni di locazione ad un canone corrispondente al teorico valore locativo e della mancata concretizzazione a causa del ritardato rilascio dell’immobile. Di conseguenza, se, dopo che sia stato risolto il contratto di locazione, il conduttore rimanga nella detenzione del bene con il consenso del locatore, sulla base di un accordo volto a differire la data del rilascio e che preveda anche il corrispettivo dovuto, l’indennità di occupazione è ragguagliata all’importo convenuto. Questo corrispettivo costituirà anche l’indennità dovuta per il periodo successivo in relazione al quale non sia stato raggiunto un accordo, ma in tal caso il locatore potrà provare il maggior danno, dimostrando che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente. Non è, quindi, sufficiente la mera prova del diverso e maggior valore locativo di mercato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 maggio – 11 luglio 2014, n. 15899 Presidente Russo – Relatore Sestini Svolgimento del processo Con atto di citazione del 7.10.95, C.M. -proprietario di un immobile locato al Comune di Palermo e adibito a scuola media deduceva che, nel novembre 1985, il Pretore di Palermo aveva convalidato lo sfratto per morosità, ma il Comune aveva continuato ad occupare l'immobile col consenso del locatore che, sino a tutto il 1988, l'Amministrazione aveva regolarmente versato i corrispettivi consensualmente determinati dalle parti che, per il periodo successivo e fino al rilascio dell'immobile avvenuto il 23.11.93 , non era stato raggiunto alcun ulteriore accordo sul corrispettivo e il Comune aveva versato in ritardo somme inferiori rispetto a quelle richieste e rispetto alle stesse valutazioni fatte da un'apposita commissione comunale in vista della stipulazione di un nuovo contratto di locazione chiedeva, pertanto, la condanna del Comune al pagamento delle differenze fra quanto dallo stesso corrisposto e il valore locativo dell'immobile, nonché la condanna al risarcimento dei danni in misura corrispondente alla spesa necessaria per riportare l'immobile in normali condizioni di manutenzione e al rimborso delle spese sostenute per adeguare l'immobile alla normativa antincendio. L'Amministrazione convenuta contestava la domanda assumendo, fra l'altro, che fra le parti si era instaurato un nuovo rapporto locatizio e che non ricorrevano le condizioni per l'applicazione dell'art. 1591 c.c. in quanto il locatore aveva ottenuto, di volta in volta, il corrispettivo determinato ex novo e per il risarcimento dei danni atteso che il deterioramento del bene era dipeso dall'uso protrattosi nel tempo e dall'assenza di interventi di manutenzione da parte del locatore . Il Tribunale di Palermo condannava il Comune al risarcimento dei danni cagionati alla struttura quantificati in L. 525.000.000 , rigettando – invece la domanda volta a conseguire il pagamento della differenza fra somme corrisposte e valore locativo dell'immobile. La Corte di Appello di Palermo, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto dal C. , condannava il Comune al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 449.217,70, a titolo di differenza fra valore locativo e somme corrisposte dall'Amministrazione, e rideterminava in Euro 222.7 98,31 la somma dovuta a titolo di risarcimento danni condannava, infine, il Comune al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Ricorre per Cassazione il Comune di Palermo, affidandosi a due motivi illustrati da memoria resistono con controricorso gli eredi di C.M. G.A. , C.V. e A. , già costituitisi nel corso del giudizio di appello. Motivi della decisione 1. Deve preliminarmente rilevarsi che, in difetto di impugnazione sugli altri capi della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo, l'attuale oggetto del giudizio è circoscritto alle questioni della spettanza o meno delle ulteriori somme richieste dagli eredi C. per l'utilizzo dei locali nel periodo dall'1.1.1989 fino alla data del rilascio novembre 1993 e della quantificazione del risarcimento per i danni cagionati all'immobile. 2. Col primo motivo di ricorso, il Comune deduce violazione ed erronea applicazione dell'art. 1591 c.c. insufficiente e contraddittoria motivazione , formulando il seguente quesito di diritto 1.a Il maggior danno ex art. 1591 c.c. non può essere provato in base all'astratto valore locativo del bene, determinato con consulenza tecnica d'ufficio, ma deve essere rigorosamente provato dal locatore nella sua esistenza e nel suo ammontare, con riferimento ad una effettiva lesione del suo patrimonio 1.b Il consenso espressamente manifestato dal locatore alla continuazione del rapporto con il conduttore impedisce il configurarsi dell'inadempienza del conduttore all'obbligo di restituire il bene locato e di ogni pertinente responsabilità ex art. 1591, 2 parte, c.c. . 2.1. Il motivo è fondato, per quanto di ragione ossia in relazione al profilo riassunto dal quesito 1.a , alla luce di una ricostruzione del caso che ne comporta a differenza di quanto sostenuto dal Comune la sussunzione nel paradigma dell'art. 1591 c.c 2.2. La peculiarità della vicenda è costituita dal fatto che, risolto il contratto di locazione a seguito di convalida di sfratto pronunciata nel novembre 1985, il Comune conservò la disponibilità dell'immobile per gli anni successivi, e ciò col consenso del locatore e sulla base di accordi che riguardarono fino a tutto l'anno 1988 anche le condizioni economiche della persistente occupazione. Tale situazione ha fatto ritenere al primo giudice che tra le parti fosse intervenuta una rinnovazione tacita del contratto, che è stata, invece, esclusa dal giudice dell'appello pur con la precisazione che la perdurante occupazione trovava titolo nell'espresso consenso del proprietario e che l'indennità di occupazione corrisposta dall'Ente non aveva natura risarcitoria, ma di semplice corrispettivo per il protrarsi dell'occupazione . 2.3. Al riguardo, risultano corrette le affermazioni con cui la sentenza impugnata ha escluso che fra le parti fosse intervenuta una rinnovazione tacita del rapporto di locazione, in quanto la volontà di obbligarsi di una pubblica amministrazione deve manifestarsi attraverso atti tipici e non per facta concludentia cfr., ex plurimis, Cass. n. 11649/2002 , mentre appare erronea e contraddittoria la conclusione che l'indennità versata dal Comune non avesse natura risarcitoria, atteso che, negata la prosecuzione o la ricostituzione del rapporto contrattuale risolto dalla convalida di sfratto , non appare ipotizzabile tertium non datur che il Comune abbia versato somme a titolo diverso dal risarcimento del danno per la perdurante occupazione ex art. 1591 c.c. . 2.4. La circostanza che tale occupazione fosse consentita dal locatore che, in sostanza, concesse ripetute dilazioni del termine di rilascio non vale ad escludere che il conduttore fosse comunque in mora nell'adempimento dell'obbligo contrattuale di restituire il bene locatogli giacché la mora si era determinata fin dal momento della notifica dell'intimazione di sfratto e, quindi, ad impedire l'operatività della previsione dell'art. 1591 c.c., ma riveste un'indubbia rilevanza ai fini della quantificazione della c.d. indennità di occupazione. 2.5. È noto che tale indennità ha natura risarcitoria lo indica la stessa rubrica dell'art. 1591 c.c. e lo si desume chiaramente dalla circostanza che la salvezza dell'obbligo di risarcire il maggior danno non può che presupporre un'identica natura risarcitoria nell'obbligo di dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna e che con la disposizione in esame il legislatore ha inteso effettuare una liquidazione forfetaria minima del danno per ritardata restituzione, ragguagliandola al corrispettivo convenuto cfr. Cass. n. 9488/2007 , con salvezza della possibilità, per il locatore, di dimostrare un eventuale maggior danno. 2.6. Sebbene il corrispettivo convenuto coincida, di norma, col canone di locazione, nulla osta alla possibilità che l'importo risulti superiore per effetto di un accordo successivo fra le parti, giacché l'indicazione del legislatore è volta ad individuare un dato economico che, in quanto concordato fra gli interessati, possa ragionevolmente essere assunto a parametro di riferimento per la quantificazione del danno. Ciò vale anche per gli importi determinati dal C. e dal Comune di Palermo dopo la convalida dello sfratto e in costanza di occupazione dell'immobile, senza che al riconoscimento dell'efficacia di tali pattuizioni osti un difetto di forma scritta, giacché è pacifico che gli accordi sull'indennità di occupazione vennero formalizzati in deliberazioni della Giunta Municipale si trattò, in buona sostanza, di accordi sulla liquidazione del danno conseguente alla perdurante occupazione. 2.7. Nel caso di specie, l'ultimo valore economico concordato è pacificamente quello relativo all'anno 1988 il ricorrente lo indica in £ 195.375.000 oltre oneri accessori per il periodo luglio 1988/luglio 1989 ed è pertanto a tale valore che doveva essere ragguagliato il risarcimento minimo per gli anni dal 1989 al 1993, salva restando per il locatore la possibilità di provare un maggior danno. 2.8. Ciò detto, va escluso che tale maggior danno possa risultare provato sulla base della mera differenza fra il corrispettivo convenuto dalle parti e il maggior valore del canone di mercato giacché, secondo il consolidato orientamento di questa Corte ex plurimis, Cass. n. 2552/2011 , la prova del danno deve essere fornita in modo rigoroso, in relazione a effettive e perdute possibilità del locatore di ricavare un maggior reddito dall'immobile attraverso la nuova locazione dello stesso ad un canone superiore, richiedendosi pertanto una prova che, quand'anche si giovi di elementi presuntivi cfr. Cass. n. 14624/2004 , non può prescindere dal rigoroso accertamento della concreta compromissione della nuova e più remunerativa occasione locatizia. 2.9. La sentenza impugnata erra, dunque, laddove afferma che non vi sono dubbi allora sul diritto del C. ad ottenere una indennità conforme al valore locativo del bene e quindi a conseguirne il reddito percepibile qualora lo stesso fosse stato locato a terzi in condizioni di libero mercato , senza richiedere all'attore la prova dell'esistenza di concrete occasioni di locazione ad un canone corrispondente al teorico valore locativo e del fatto che le stesse non si siano concretizzate a causa del ritardato rilascio del bene da parte del conduttore. 3. La sentenza va pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto ove, dopo che sia stato risolto il contratto di locazione, il conduttore permanga nella detenzione del bene col consenso del locatore, sulla base di un accordo che sia volto a differire la data del rilascio e che preveda anche il corrispettivo dovuto, l'indennità di occupazione deve intendersi ragguagliata all'importo convenuto tale corrispettivo costituirà anche l'indennità dovuta per il periodo successivo in relazione al quale le parti non abbiano raggiunto alcun accordo, fatta salva -in questo caso la possibilità, per il locatore, di fornire la prova dell'eventuale maggior danno, con rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell'immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all'ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente, senza che possa ritenersi a tal fine sufficiente la mera prova del diverso e maggiore valore locativo di mercato . 4. Col secondo motivo, il Comune deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 1223, 1590, 1609 e 1576 c.c. vizio di motivazione , formulando i seguenti quesiti di diritto 2.a Ai sensi degli artt. 1576 e 1609 c.c., grava sul conduttore l'obbligo di eseguire gli interventi di piccola manutenzione dell'immobile locato, mentre grava sul locatore l'obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria 2.b. In base ai principi generali sull’onere della prova, il locatore che chiede il rimborso delle spese di ripristino dell'immobile ha l'onere di provare che i danni dallo stesso lamentati siano riferibili ad omessa piccola manutenzione posta a carico del conduttore, nonché di avere subito una effettiva lesione del suo patrimonio . 4.1. Il motivo, per quanto articolato come unico, cumula due distinte censure, riconducibili al n. 3 violazione ed erronea applicazione degli artt. 1223, 1590, 1609 e 1576 c.c. e al n. 5 dell'art. 360, co. 1, c.c. vizio di motivazione per ciascuna di esse, deve procedersi a una distinta verifica circa il rispetto della previsione dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis atteso che la sentenza è stata pubblicata in data 12.2.2008 4.2. Il motivo formulato ai sensi del n. 3 risulta inammissibile in quanto entrambi i quesiti di diritto non rispettano il modello individuato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte. È noto, infatti, che il quesito di diritto deve compendiare a la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito b la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice c la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie Cass. n. 22604/13 e che, dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale , non può essere meramente generico e teorico , ma dev'essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l'errore asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile Cass. n. 3530/12 . Nel caso in esame, i due quesiti formulati non rispondono neppure se letti congiuntamente agli anzidetti criteri, in quanto non contengono alcuno specifico riferimento al caso concreto e si limitano ad enunciazioni di carattere generale che non consentono di cogliere il senso della censura mossa alla sentenza impugnata. 4.3. La censura relativa al vizio di motivazione risulta anch'essa evidentemente inammissibile per mancata formulazione della sintesi descrittiva del fatto c.d. quesito di fatto richiesta dall'art. 366 bis, 2 periodo. 4.4. In relazione a detta censura, il ricorso risulta inammissibile anche a norma dell'art. 366, 1 co. n. 6 c.p.c. in quanto non contiene la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda nella specie, le lettere del preside dell'istituto, il verbale di consegna e le relazioni di C.T.U. richiamate nell'illustrazione del motivo , requisito che comporta la necessità di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale sia stato prodotto e in quale fascicolo si trovi il documento e, altresì, di trascriverne o riassumerne in misura adeguata il contenuto cfr. Cass. n. 21104/2013 . 5. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione, cassa in relazione e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione.