Quando il dolo è causa di annullamento del contratto: la valutazione al giudice di merito

Il dolo che è causa di annullamento del contratto nel caso di specie, di cessione delle quote di una società di capitali può consistere anche in dichiarazioni menzognere c.d. mendacio , in quanto tali potenzialmente idonee ad integrare raggiri, tanto più rilevanti quanto maggiore è l’affidabilità intrinseca degli atti utilizzati come quelli contabili destinati a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria di una società qualora rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare nell’altra parte il processo formativo della volontà negoziale.

La valutazione della idoneità di tale comportamento a coartare la volontà del deceptus è riservata al giudice di merito, il quale è tenuto a motivare specificatamente in ordine alle concrete circostanze – la cui prova è a carico del deceptor – dalle quali desumere che l’altra parte già conosceva o poteva rendersi conto ictu oculi dell’inganno perpetrato nei suoi confronti. Con la pronuncia n. 16004 dell’11 luglio 2014, la Corte di Cassazione affronta l’interessante questione del dolo contrattuale, fornendo all’interprete alcuni importanti elementi in ordine alla portata ed alla effettività di tale vizio del consenso. Il caso. La vicenda risolta dalla Cassazione con la pronuncia in commento prende le mosse da un contratto di cessione di quote sociali che, successivamente, viene impugnato dall’acquirente per dolo in quanto, a suo dire, l’alienante avrebbe volutamente omesso alcune importanti informazioni sullo stato finanziario della società e, quindi, avrebbe attribuito alle quote oggetto di compravendita un valore non corrispondente all’effettivo patrimonio societario. Accolta in primo grado, la Corte di appello riforma la decisione del giudice di prime cure, non ravvisando il dolo dell’alienante in merito allo stato finanziario della società. Il S.C. accoglie il ricorso dell’acquirente e rimette la decisione alla Corte in appello affinché accerti, nel merito, la condotta dell’alienante per quanto concerne il valore attribuito alle quote e, quindi, al valore della società. Cessione di partecipazioni sociali e vizio del consenso. Un caso simile a quello deciso dalla sentenza in esame è stato affrontato dal S.C. alcuni fa in quella circostanza, la Cassazione aveva sentenziato che la cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di qualità” della cosa venduta necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico , solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza. Come vedremo, si tratta, in sostanza, del medesimo applicato nel caso di specie. Il dolo come vizio del consenso come e perché. Secondo la prevalente giurisprudenza, il dolo, a norma dell’art. 1439 c.c., è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da una parte abbiano determinato la volontà a contrarre del deceptus , avendo ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realtà, che abbia provocato nel suo meccanismo volitivo un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c in particolare, ricorre il dolus malus solo se, in relazione alle circostanze di fatto e personali del contraente, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza e sussista, quindi, in chi se ne proclami vittima, assenza di negligenza o di incolpevole ignoranza. Dolus bonus o dolus malus le differenze. Molto importante è la differenza tra dolus bonus e dolus malus , del quale si è fatto cenno in precedenza. Sul punto, si osserva che le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l’altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono . Peraltro, valutare se, in concreto, ricorra un’ipotesi di dolus malus ovvero di dolus bonus è compito precipuo del giudice di merito come infatti sostiene il S.C. nel caso in esame, con il quale rimette la decisione al giudice di merito. Artifici e raggiri valutati in relazione alla controparte. Il S.C., peraltro, puntualizza che gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza. In un caso, in particolare, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l’inganno non poteva essere neutralizzato dall’ingannato con l’uso della normale diligenza, in quanto il carattere particolarmente subdolo dei raggiri utilizzati rendeva inutile la media diligenza, e l’errore poteva essere evitato solo con l’ausilio di competenze e tecniche straordinarie. Dolo commissivo non rileva la condotta del deceptus. Sempre in tema di dolo, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente - idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto - non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l’errore. Responsabilità per falsa rappresentazione della realtà societaria un’ipotesi di dolo. La Cassazione richiama, nell’affermare il principio espresso nella massima di cui sopra, la fattispecie di responsabilità extracontrattuale in capo alla società di revisione per aver indotto i terzi alla sottoscrizione di azioni di una società, erroneamente ritenuta florida economica. In particolare, il S.C. ha affermato che la responsabilità extracontrattuale di una società di revisione, per i danni derivati a terzi dall’attività di controllo e di certificazione del bilancio di una società quotata in borsa, sussiste anche nell’ipotesi di revisione volontaria, effettuata su incarico della società medesima nello specifico, è stata ritenuta sussistente la responsabilità extracontrattuale della società di revisione per l’erronea certificazione dello stato patrimoniale di una società, compiuta su incarico di quest’ultima, nei confronti degli acquirenti delle quote societarie relative, che non avrebbero stipulato il contratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito nel preliminare, ove avessero conosciuto il reale e inferiore valore della società.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 maggio – 11 luglio 2014, n. 16004 Presidente Vitrone – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Il 29 febbraio 2000 il sig. Z.R. cedette le quote corrispondenti al 12% del capitale sociale della società Icaro Servizi srl alla sig.ra G.P. al prezzo di L. 72 milioni, di cui una parte corrisposta subito e la restante da corrispondere entro il 31 dicembre 2001, con costituzione di pegno a garanzia del pagamento. Con contratto 18 ottobre 2000 la G. promise la vendita di quelle quote al sig. M. , il quale le rimborsò l'importo già corrisposto e si impegnò a corrispondere a Z. l'importo residuo ad estinzione del pegno. Tanto premesso, con citazione notificata il 12 settembre 2002, lo Z. convenne in giudizio la G. e ne chiese la condanna a pagare l'importo residuo a saldo delle quote da lei acquistate. La G. si costituì chiedendo l'annullamento del contratto di cessione e di essere tenuta indenne dal M. che chiamò in giudizio assumeva che il prezzo delle quote della società Icaro Servizi era stato determinato in base al valore della società, della quale lo Z. era socio e amministratore unico, pari a L. 600.000.000, risultante dai bilanci e dalle scritture contabili che erano risultati falsi, essendo la società oberata di debiti e poi fallita. Il M. si costituì chiedendo il rigetto dell'azione di rivalsa e la condanna della G. a restituire l'importo corrispostole quale anticipo del prezzo, sulla base del presupposto che il contratto fosse rimasto improduttivo di effetti per il mancato avveramento della condizione sospensiva della estinzione del pegno, essendo la società fallita. Il Tribunale di Milano rigettò la domanda dello Z. in accoglimento della domanda della G. , annullò il contratto di cessione delle quote societarie per dolo dello Z. di conseguenza annullò anche il contratto tra G. e M. e condannò la prima a restituire la somma versata dal secondo. Il gravame dello Z. è stato accolto dalla Corte di appello di Milano con sentenza 29 maggio 2008 che, rigettando la domanda di annullamento del contratto per dolo, ha condannato la G. a pagare il prezzo residuo delle quote e il M. alla rivalsa ha integralmente compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio. La corte ha ravvisato il mendacio del Z. perché a conoscenza, in quanto amministratore unico della società, del fatto che il prezzo delle quote era stato determinato sulla base di un valore e di una consistenza patrimoniale della società inesistenti, quest'ultima fallita appena un anno dopo la stipulazione del contratto di cessione dalla relazione del curatore fallimentare risultava uno stato passivo di Euro 580.000,00, mentre era stato preventivato un attivo di circa L. 240 milioni, ed era inoltre verosimile, anche se non certa, l'iscrizione in bilancio di crediti e beni immateriali inesistenti . Tuttavia non era dimostrata l'esistenza di artifici o raggiri che erano necessari ad integrare l'ipotesi del dolo ai fini dell'annullamento del contratto di cessione, tenuto conto che l'appellata G. non era persona sprovveduta e incapace di controllo dei dati fornitile dalla controparte. Inoltre, con riguardo al rapporto tra la G. e il M. , la corte ha ritenuto che quest'ultimo si era impegnato a pagare direttamente allo Z. l'importo residuo dovuto dalla G. e che non era fondata la tesi, sostenuta dal M. , dell'inefficacia del contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva dell'estinzione del pegno. Avverso questa sentenza il M. ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi, cui resiste la G. , la quale propone ricorso incidentale sulla base di tre motivi cui resiste lo Z. . Sono state prodotte memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Il primo motivo del ricorso principale e i primi due motivi del ricorso incidentale vanno esaminati prioritariamente e congiuntamente. Nel primo motivo del ricorso principale il M. deduce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del dolo contrattuale del cedente Z. , il quale, essendo esclusivo responsabile della gestione della società, sarebbe autore di numerosi comportamenti fraudolenti aveva scontato più volte le stesse fatture in banca, commettendo il reato di ricorso abusivo al credito, e aveva iscritto in bilancio beni immateriali e crediti inesistenti sicché non si era limitato a non dire il vero o ad essere reticente, ma aveva volutamente alterato la realtà, attribuendo alla società una consistenza patrimoniale inesistente, derivante anche da falsi ricavi, al solo fine di poter vendere le quote sociali ad un prezzo migliore. Nel ricorso incidentale la G. deduce, per ragioni analoghe, la violazione dell'art. 1439 c.c. primo motivo e vizio di motivazione secondo motivo , assumendo che la corte del merito avrebbe erroneamente valutato gli elementi costitutivi del dolo i raggiri, che erano stati essenziali nella determinazione del consenso dell'altra parte l' animus decipiendi e l' errore del deceptus . I suddetti motivi, contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente Z. , sono ammissibili, in quanto non sollecitano una revisione del giudizio di merito già compiuto, ma censurano la definizione della nozione giuridica di dolo contrattuale che è stata data dai giudici del merito e la sua applicazione nella fattispecie. Essi sono fondati nei termini in cui si dirà. La corte milanese - premesso che la cessione delle azioni di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale da quella rappresentata e che le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, indirettamente, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare l'annullamento del contratto per errore art. 1428 ss. c.c. e per dolo di un contraente art. 1439 c.c. o la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta art. 1497 c.c. qualora il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali al riguardo - ha richiamato il principio di diritto espresso da Cass. n. 16031/2007 e anche da Cass. n. 14628/2009 e n. 10718/1993 secondo cui il dolo - contrattuale può configurarsi solo quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza . Nella specie, la corte ha valutato il comportamento del venditore Z. come mendace, in quanto il prezzo delle quote è stato determinato unicamente in base ed in proporzione del valore globale della società . indicato dal venditore che, quale amministratore unico della s.r.l. Icaro Servizi, a differenza dell'acquirente, era a perfetta conoscenza della situazione patrimoniale e delle reali prospettive della società, la quale versava in condizioni pessime, tanto che circa un anno dopo fu dichiarata fallita anche se non era certa l'iscrizione in bilancio di crediti e beni immateriali inesistenti e anche se non assumeva rilevanza una sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. emessa nei confronti dello Z. in un procedimento penale avente ad oggetto una imputazione di abuso del credito non pertinente nella fattispecie . E tuttavia, ad avviso della corte, il suddetto mendacio non sarebbe stato accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza e, in sostanza, a carpire il consenso della G. inducendola in errore, con conseguente esclusione del dolo contrattuale. Il principio poc'anzi richiamato è condivisibile se con il termine mendacio si intendano le bugie non gravi o tali potenzialmente o il silenzio e la reticenza circa determinate circostanze di fatto rilevanti per la conclusione del contratto, ovvero quelle dichiarazioni precontrattuali finalizzate a ingenerare interesse e attrazione verso l'affare anche mediante vanterie circa la qualità del bene venduto v. Cass. n. 19559/2009, n. 9253/2006, n. 3001/1996 . È in tali situazioni che si ritiene necessaria l'esistenza ulteriore di malizie o astuzie che possano rivelare la machinatio o il raggiro dimostrativi della intenzionalità ingannatoria c.d. animus decipiendi del deceptor e, di conseguenza, della meritevolezza di tutela dell'affidamento del deceptus . Diversa è la conclusione ove si tratti di affermazioni menzognere intenzionalmente finalizzate a nascondere o travisare la verità. È questo il significato autentico della parola mendacio che indica la consapevole falsificazione della verità tramite un comportamento commissivo idoneo ad integrare di per sé un raggiro che, in quanto tale, ben può essere determinante del consenso e, quindi, rilevare come ipotesi di dolus malus nel caso in cui abbia provocato nel deceptus una falsa rappresentazione della realtà che ha indotto nel processo formativo della sua volontà un errore avente carattere essenziale v. Cass. n. 16663/2008, n. 3388/2007, n. 12424/2006 anche le semplici menzogne che abbiano avuto un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte possono essere causa di annullamento del contratto v. Cass. n. 20792/2004 sez. un., n. 1955/1996 . Questa impostazione, che da risalto al profilo dell'inganno e alla sua concreta rilevanza causale nella formazione del consenso, è coerente sia con la tradizione codicistica comune dell'Unione Europea di cui è espressione il c.d. Draft Common Frame of Reference , che considera fraudolent misrepresentation la dichiarazione negoziale intenzionalmente falsa e diretta ad indurre in errore il destinatario, sia con il principio fraus omnia corrumpit in base al quale il dolo decettivo conduce all'annullamento del contratto come pure del negozio unilaterale qualunque sia l'elemento sul quale il deceptus sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio Cass. n. 4065/2014 o sui motivi Cass. n. 975/1995 . Se è vero infatti che nel nostro ordinamento non esiste un obbligo di dire sempre la verità e, quindi, nemmeno un diritto incondizionato di fidarsi ciecamente delle dichiarazioni altrui, tuttavia non v'è nemmeno un diritto di pretendere la conservazione del contratto quando il consenso sia stato carpito dall'altrui comportamento fraudolento. Nella fattispecie in esame ha costituito oggetto di insindacabile accertamento di fatto il mendacio dello Z. , il quale non si è limitato a tacere la reale situazione patrimoniale e finanziaria della società, ovvero a omettere di rendere le informazioni che l'acquirente si attenderebbe di ricevere da un contraente in buona fede in un'analoga situazione negoziale, ma era consapevole che il prezzo delle partecipazioni cedute alla G. non corrispondeva a quello reale, poiché rispecchiava i valori alterati risultanti dai documenti contabili redatti dallo stesso Z. o di cui egli era a conoscenza, in quanto socio e amministratore unico della società. Questa corte ha avuto occasione di escludere che la falsità oggettiva del bilancio rilevi ex se come prova del dolo Cass. n. 23207/2012 ma, nella specie, detta falsità, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, era conosciuta dal o attribuibile al medesimo soggetto Z. che se ne è comunque avvalso come presupposto della determinazione alterata del prezzo delle quote sociali cedute. L'addebito mosso nei suoi confronti, in sostanza, è di avere contribuito a immutare la rappresentazione della realtà, non solo di non avere contrastato la percezione di essa alla quale l'altro contraente era pervenuto v. Cass. n. 7751/2012 sulla base di dati risultanti da documenti contabili della società sulla cui veridicità l'acquirente aveva diritto di riporre la massima fiducia c.d. uberrima fides . È significativa al riguardo la giurisprudenza che ha ammesso la responsabilità extracontrattuale della società di revisione per l'erronea certificazione dello stato patrimoniale di una società quotata in borsa nei confronti degli acquirenti delle relative quote societarie per la perdita del diritto di recesso che essi avrebbero potuto esercitare qualora avessero conosciuto il reale e inferiore valore della società v. Cass. n. 10403/2002 . Inoltre, per escludere il dolo dello Z. , la corte del merito ha ritenuto che l'appellata G. non fosse persona sprovveduta e incapace di controllo dei dati fornitile dalla controparte e, quindi, implicitamente, che il mendacio non fosse idoneo a sorprenderla. In effetti la giurisprudenza ha escluso la tutela giuridica dell'affidamento se fondato sulla negligenza della persona Cass. n. 14628/2009, n. 10718/1993 cit. , ma ha anche precisato che l'inganno non può essere neutralizzato con l'uso di competenze e tecniche straordinarie Cass. n. 20792/2004 cit. e che gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente - idonei in concreto a trarre in inganno la controparte - non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore Cass. n. 9227/1991 . Il giudice del merito, al quale spetta naturalmente la valutazione al riguardo, deve rendere conto delle circostanze da cui desumere direttamente e in concreto la prova della negligenza o della colpevole ignoranza del deceptus , ravvisabili solo nei casi in cui egli già conosceva o poteva rendersi conto ictu oculi dell'inganno e, quindi, avrebbe potuto agevolmente evitare l'errore. Nella specie, la sentenza impugnata si limita ad esprimere un giudizio sintetico circa il fatto che la G. non fosse persona sprovveduta che sembra basato su una ipotesi di cooptazione nell'amministrazione della società di un gruppo di operatori del quale essa farebbe parte, senza rendere conto dei fatti idonei a dimostrare il diretto coinvolgimento della G. che è contestata nel giudizio e, soprattutto, senza accertare se e in che misura costei abbia in concreto avuto conoscenza della falsità dei dati contabili della società che costituiva presupposto dell'alterazione del prezzo di cessione delle quote sociali. La motivazione espressa a tale riguardo è quindi inadeguata. Gli altri motivi del ricorso principale, che riguardano il rapporto contrattuale derivato tra la G. e il M. , sono assorbiti. Il terzo motivo del ricorso incidentale deducente omessa pronuncia sulla domanda subordinata di dolo incidente ex art. 1440 c.c. è inammissibile per mancata formulazione del quesito di diritto, a norma dell'art. 366 bis c.p.c., che è applicabile ratione temporis e anche quando sia dedotta la violazione dell'art. 112 c.p.c. v. Cass. n. 10758/2013, n. 4146/2011 . In conclusione, la sentenza impugnata è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Milano che dovrà decidere nuovamente la causa facendo applicazione del seguente principio il dolo che è causa di annullamento del contratto nella specie, di cessione delle quote di una società di capitali può consistere anche in dichiarazioni menzognere c.d. mendacio , in quanto tali potenzialmente idonee ad integrare raggiri, tanto più rilevanti quanto maggiore è l'affidabilità intrinseca degli atti utilizzati come quelli contabili destinati a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria di una società , qualora rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare nell'altra parte il processo formativo della volontà negoziale. La valutazione della idoneità di tale comportamento a coartare la volontà del deceptus è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del deceptor - dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto ictu oculi dell'inganno perpetrato nei suoi confronti. Il giudice del rinvio dovrà anche liquidare le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e i primi due motivi del ricorso incidentale dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui rimette la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.