Inammissibile in appello la riproposizione di una domanda per la restituzione degli interessi anatocistici

E’ inammissibile in appello una nuova domanda restitutoria fondata sulla nullità della clausola anatocistica quando già la Corte territoriale abbia operato d’ufficio il ridimensionamento dell’ammontare del credito vantato dall’istituto bancario.

Con la sentenza n. 14887/2014 depositata il 1° luglio scorso, la Corte di Cassazione affronta il tema dell’anatocismo bancario sotto il profilo della inammissibilità di una nuova domanda in appello tesa alla restituzione degli interessi che si assumono versati in eccesso. Il fatto. Un correntista proponeva, nel 1996, opposizione avverso un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale in favore di un istituto bancario per il recupero di una somma di denaro a seguito di uno scoperto presente nel conto corrente. Chiedeva così la revoca del provvedimento monitorio opposto per difetto dei presupposti legittimanti la sua emissione, con rigetto nel merito della pretese creditoria di controparte. Si costituiva la banca che deduceva la fondatezza del decreto ingiuntivo sulla base del saldo-conto prodotto, anche perché parte debitrice non aveva mai contestato gli estratti conti inviatigli nel corso del rapporto negoziale. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, ridimensionando l’ammontare del credito avendo dichiarato la nullità delle clausole anatocistiche trimestrali contenute nelle condizioni generali di contratto perché contrarie al dettato dell’art. 1283 c.c Interposto appello da parte del correntista questi deduceva nuovamente la illegittimità del provvedimento in sede monitoria, oltre che del credito riconosciuto, anche se nella minore somma rideterminata dal giudice di prime cure. La corte territoriale rigettava l’appello, riportandosi alle motivazioni del Tribunale. Ricorreva per cassazione il correntista. Il ricorrente deduceva, per quel che qui interessa, la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova in giudizio e dell’art. 1224 c.c. sulla capitalizzazione degli interessi anatocistici bancari. La banca avrebbe dovuto fornire, prima del giudizio, la documentazione al cliente. La Corte di Cassazione ritiene di dover rigettare il ricorso. Con relazione ex art. 380- bis c.p.c., condivisa dal Consesso, viene illustrato come il primo motivo potrebbe risultare apparentemente fondato. La banca, infatti, nella fase monitoria ha prodotto l’estratto saldo-conto per ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo. Tuttavia, in sede di opposizione, venivano valutati dal giudice anche il conto corrente e tutti gli estratti conto emessi durante il rapporto bancario, così da valutare appieno le poste passive. Questa documentazione la banca l’avrebbe dovuta fornire al cliente preventivamente al giudizio, così da consentirgli di effettuare delle contestazioni, e non già nel corso del processo. Contestazioni, poi, ritenute tardive dalla Corte d’Appello che così ha avuto modo di esprimersi in accoglimento della domanda senza disporre di tutti gli elementi costitutivi del credito. Concludendo. Tuttavia, a rendere infondato il ricorso, è la circostanza che al tempo dei fatti in giudizio, risalenti come detto al 1996, la questione della legittimità della capitalizzazione di interessi anatocistici bancari non era stata ancora oggetto di riflessione. Da ciò la mancata eccezione del correntista volta a far dichiarare la nullità della clausola anatocistica dinanzi al Tribunale. Solo con la giurisprudenza del 1999 in poi Cass., sent. n. 2374/1999 la Corte di Cassazione avrebbe inaugurato l’orientamento giurisprudenziale finalizzato a considerare nulle tali clausole. Nel caso di specie, in ogni caso, la nullità delle clausole anatocistiche è stata rilevata d’ufficio dal giudice di primo grado che ha, conseguentemente ridimensionato l’ammontare del credito. Da qui la carenza d’interesse in concreto da parte del ricorrente a dover riproporre una nuova domanda restitutoria fondata sulla nullità della clausola anatocistica. Domanda inammissibile, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, perché nuova.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 23 aprile – 1° luglio 2014, n. 14887 Presidente Di Palma – Relatore Bernabai Ritenuto in fatto - che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell'art. 380-bis cod. proc. civile Con atto di citazione notificato il 5/06/96, il sig. B.G. proponeva opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Trani in favore della Banca Popolare Andriese S.C.A.R.L per il recupero di L 52.367.965 pari a Euro 27.045,80 , quale scoperto rinvenuto nel conto corrente intestato all'attore, instando per la revoca del decreto ingiuntivo opposto per difetto di condizioni di una legittima emissione e per il rigetto della domanda creditoria della banca. Si costituiva la Banca Popolare Andriese deducendo la fondatezza del provvedimento monitorio sulla base dell'estratto saldaconto, e asserendo che controparte non aveva mai contestato gli estratti conti trasmessigli in costanza di rapporto. Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente l'opposizione con sentenza del 2/10/2003 rideterminando l'ammontare dovuto dall'opponente in un importo residuo pari a Euro 16.481,86, in conseguenza della dichiarazione di nullità delle clausole anatocistiche trimestrali rinvenute come applicate nel rapporto bancario, in violazione dell'art. 1283 c.c Avverso la sentenza di primo grado che lo vedeva parzialmente soccombente proponeva appello il sig. B. , tornando a censurare diversi profili della decisione - la legittimità formale del provvedimento emesso in sede monitoria - l'addebito, tra le poste passive del conto, di somme da lui già pagate alla banca quale fideiussore della fallita LENZA D'ORO s.r.l, - il diritto di credito riconosciuto alla banca, anche se nella minor somma rideterminata dal giudice di prime cure - l'omessa pronuncia del giudice di prime cure sull'eccezione di mancanza di procura alle liti del difensore della Banca Popolare Andriese, per incorporazione avvenuta dal Credito Emiliano s.p.a La Corte d'appello di Bari con sentenza del 16/06/2010 rigettava il gravame riportandosi alle motivazioni del primo giudice e confermando per l'intero la decisione. L'appellante, odierno ricorrente per cassazione, notificava ricorso in data 29/07/2011 deducendo cinque motivi. Così riassunti i fatti di causa, il ricorso sembra, prima facie, infondato. Occorre rilevare preliminarmente che controparte non si difende sulle censure mosse dal ricorrente. Con il primo motivo di ricorso il B. deduce la violazione degli artt. 2697 c.c. e 116, 117, 167, 633 e ss. c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c Il motivo sembra essere fondato solo per quel che concerne la violazione dell'art. 2697 c.c., disciplinante il principio dell'onere della prova, secondo cui spetti a chi vuole far valere un diritto in giudizio l'onere di provarne i fatti costitutivi. Ebbene tale principio opera anche nel giudizio di cognizione ordinario eventualmente introdotto a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, comportando, per la parte opposta, l'onere di individuare in giudizio i fatti costitutivi della propria pretesa. Nel caso in oggetto si osserva in atti che nella fase monitoria la banca Andriese avesse prodotto l'estratto saldaconto, documentazione avente una valenza probatoria sufficiente, in quella sede, per l'ottenimento del decreto ingiuntivo. Nel giudizio di opposizione successivo, invece, il giudice valutava la produzione del contratto di conto corrente e di tutti gli estratti conto emessi durante il rapporto, documenti contabili, questi ultimi, che costituiscono un elemento più analitico per verificare l'esistenza del credito vantato, poiché certificano in dettaglio le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo contabile con le condizioni attive e passive praticate dalla banca al cliente. La valenza probatoria degli estratti conto è indubbiamente più forte rispetto a quella del saldaconto che esprime, invece, il saldo riassuntivo dei rapporti di conto intercorsi tra la banca e il correntista. Ebbene, ai fini della prova costitutiva del diritto di credito, oltre alla produzione dei singoli estratti conto analitici la banca avrebbe dovuto fornire prova anche dell'avvenuta comunicazione, preventivamente al giudizio, dei medesimi all'odierno ricorrente, per porlo nelle condizioni di effettuare, se del caso, le contestazioni. Al contrario, sembra evincersi dagli atti che il ricorrente abbia potuto contestare le voci della documentazione contabile solo in sede di giudizio la Corte d'appello di Bari ha ritenuto si trattasse di attività tardiva pag. 5 della sentenza d'appello e, pertanto, nel respingere la relativa eccezione di parte, ha dichiarato fondata nel merito la domanda creditoria. L'errore in cui è incorsa la corte territoriale, tradottosi nella violazione dell'art. 2697 c.c., è stato quello di pronunciarsi in accoglimento della domanda senza disporre di tutti gli elementi costitutivi del credito, che avrebbero dovuto ricomprendere anche la prova della comunicazione degli estratti conto che spettava alla banca fornire. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 1224 c.c. e 61, 112 e 345 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3,4,5 c.p.c Il motivo è infondato. Al tempo dei fatti in giudizio 1996 il tema della legittimità della capitalizzazione di interessi anatocistici bancari non era ancora oggetto di discussione, e pertanto pare plausibile la mancanta eccezione di parte volta a far dichiarare la nullità della clausola anatocistica dinanzi al giudice di primo grado. Con la pronuncia del 16/03/'99 Cass. sent. n. 2374/1999 questa Corte esprimeva un orientamento giurisprudenziale, che avrebbe trovato consolidamento in seguito, teso a ritenere nulle tali clausole Cass. N. 24418/10 e Cass. N. 798/13 . Si evince dagli atti che la nullità delle clausole anatocistiche veniva tuttavia rilevata d'ufficio dal giudice di prime cure che, conseguentemente, rideterminava in concreto la somma spettante alla banca depurata dall'ammontare di quanto dovuto a titolo di interessi anatocistici trimestrali. Alla luce di tale operazione di rideterminazione non si comprende la ratio giustificativa che abbia indotto l'odierno ricorrente alla proposizione di una nuova domanda restitutoria fondata sulla nullità della clausola anatocistica, domanda in ogni caso inammissibile in appello, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, in quanto nuova. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 196 c.p.c. in relazione sia all'art. 116 che all'art. 360 n. 3, 4, 5 c.p.c Il motivo è manifestamente infondato poiché tende ad una richiesta di rideterminazione degli interessi nei rapporti dare-avere tra la banca e il ricorrente. Il quarto motivo censura la violazione o falsa applicazione dell'art. 183 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c Il motivo è infondato. Correttamente la corte territoriale ha omesso di esaminare, ai fini della decisione, le eccezioni di parte ricorrente. Dagli atti di causa pagg. 8-9 sent. appello ne risulta, infatti, la formulazione per la prima volta solo nell'udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado, cioè in una fase processuale in cui ciò è precluso. Con l'ultima motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 83 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c Anche quest'ultimo motivo è infondato. L'art. 300 c.p.c. stabilisce l'interruzione del processo a seguito di fatto estintivo di una parte costituita. Tuttavia l'interruzione non avrebbe potuto operare poiché trattavasi di fatto estintivo incorporazione della Banca popolare Andriese nel Credito emiliano s.p.a. che, se anche non ritualmente notificato dal difensore della parte, si verificava quando il giudizio era già riservato a decisione. Per quanto concerne il profilo della procura alle liti, ritenendo la corte territoriale che in quel caso operasse il fenomeno dell'ultrattività della procura in base al quale il difensore di controparte può legittimamente presentare le proprie conclusioni ancora a nome della parte estinta senza doversi munire di nuova procura, non si ritiene integrata una violazione dell'art. 83 c.p.c - che la relazione è stata notificata ai difensori delle parti, che non hanno depositato memorie Considerato in diritto - che il collegio, discussi gli atti delle parti, ha condiviso la soluzione prospettata nella relazione e gli argomenti che l'accompagnano - che il ricorso dev'essere dunque rigettato con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte. P.Q.M. - Rigetta il ricorso, nulle le spese.