Il recesso del prestatore d’opera arreca pregiudizio al cliente? Scatta l’obbligo di risarcimento

Nell’ambito di un contratto di prestazione d’opera intellettuale, il prestatore d’opera ha lo specifico obbligo – ai sensi del comma 3 dell’art. 2237 c.c. – di esercitare il diritto di recesso in modo tale da non arrecare pregiudizio al cliente, pena il risarcimento dei danni a quest’ultimo arrecati.

Il caso. La Cassazione, con la sentenza 9220, depositata il 23 aprile, affronta il tema degli specifici contorni del diritto di recesso del prestatore d’opera intellettuale. La vicenda da cui trae origine la pronuncia in commento riguardava, appunto, la stipulazione di un contratto di prestazione d’opera intellettuale, tra cliente e professionista, in forza del quale quest’ultimo si obbligava a prestare la propria opera a favore di una società terza. Pertanto, accanto al contratto concluso tra committente e professionista – che vede il primo obbligato verso il secondo al pagamento del compenso e il secondo verso il primo al compimento della prestazione in favore del terzo – vi era un ulteriore rapporto contrattuale. In particolare, nell’ambito di quest’ultimo, il committente e la società terza – destinataria della prestazione d’opera – pattuivano una clausola penale per i casi di interruzione del rapporto. Nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale, a fronte di un comportamento del cliente – qualificabile come giusta causa – il prestatore d’opera recedeva con preavviso di tre giorni. La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ritenne che il recesso del professionista, pur risultando sorretto da giusta causa, fosse stato esercitato con modalità tali da arrecare pregiudizio al cliente – non essendogli stato concesso il tempo necessario per sostituire il prestatore d’opera con altra persona che potesse svolgere il medesimo incarico presso la società terza – con la conseguenza di accogliere la pretesa del cliente di essere tenuto indenne dai danni patiti, nella specie, il pagamento dell’importo specificato nella penale contrattuale. Prestazione d’opera intellettuale e recesso del cliente. La disciplina sul recesso delle parti nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale rivela la natura di questo contratto, caratterizzato dal rapporto fiduciario tra cliente e professionista e dal carattere dell’opera prestata dal professionista, che risulta essere infungibile e strettamente personale. Infatti, il primo comma dell’art. 2237 c.c., nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione d’opera intellettuale a prescindere dalla presenza o meno di giusti motivi e di danni eventualmente cagionati all’altra parte, trova la sua ragion d’essere nel preponderante rilievo attribuito dal legislatore al carattere fiduciario del rapporto, pur trovando la sua contropartita nell’obbligo a carico del recedente di rimborsare al prestatore d’opera le spese sostenute e di pagare il compenso per l’opera svolta. Diritto di recesso del prestatore d’opera. I successivi commi 2 e 3 dell’art. 2237 c.c. ancorano, invece, il diritto di recesso del prestatore d’opera intellettuale alla presenza di una giusta causa e al rispetto di modalità di esercizio volte ad evitare che si arrechi pregiudizio al cliente. Come è stato osservato anche dalla Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della differenza di disciplina in tema di recesso tra cliente e prestatore d’opera intellettuale, sembra che il legislatore, giusta la considerazione della natura infungibile e personale dell’opera prestata dal professionista e del conseguente carattere spiccatamente fiduciario del contratto, abbia ritenuto che, una volta che il prestatore d’opera intellettuale si sia impegnato a compiere l’attività dedotta nel contratto, lo stesso non possa sottrarsi a tale obbligo se non per giusta causa, potendo recedere solo se ciò non arrechi pregiudizio agli interessi del cliente. Violazione dell’obbligo di esercitare il recesso con modalità tali da non arrecare pregiudizio al cliente. La Suprema corte, con la pronuncia in commento, sembra condividere pienamente l’impostazione volta a privilegiare gli interessi sottesi al contratto di prestazione d’opera intellettuale. Anzi, sembra addirittura spingersi oltre, dal momento che si riconosce alla regola secondo cui il recesso del prestatore d’opera intellettuale deve essere esercitato con modalità tali da evitare pregiudizio al cliente la natura di principio generale. Infatti, la Cassazione, rifiutando le prospettazioni del ricorrente dirette, di fatto, ad appiattire il significato di tale regola ad un mero obbligo di preavviso, riconosce che la norma in esame sia specificamente diretta ad evitare al cliente l’eccessivo danno che deriverebbe dall’improvvisa rottura del rapporto, mirando ad assicurare allo stesso il tempo necessario per provvedere diversamente ai propri interessi, per i quali era stato stipulato il contratto. La Corte interpreta l’istituto in esame con peculiare applicazione del principio di buona fede e correttezza previsto dagli artt. 1175 e 1375 c.c., il cui tratto caratteristico sarebbe quello di trovare applicazione ogni qual volta il comportamento tenuto dal prestatore d’opera recedente sia censurabile sotto il profilo delle modalità concrete, tali da arrecare pregiudizio al cliente. Infatti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione e anche alla sua fase terminale, costituita in questo caso dall’esercizio del recesso da parte del prestatore d’opera. Pertanto, anche in presenza di un recesso esercitato per giusta causa ma con modalità censurabili rispetto al criterio di valutazione espressamente tipizzato nella norma che impone di evitare pregiudizio al cliente, il prestatore d’opera intellettuale potrà essere condannato al risarcimento dei danni arrecati al cliente. Consapevolezza di arrecare pregiudizio nell’esercizio del recesso. Nella pronuncia in esame non si tratta in modo specifico dell’elemento soggettivo del prestatore d’opera intellettuale che, nell’ambito dell’esercizio del recesso, tenga un comportamento dannoso per il proprio cliente, anche se nel caso di specie la Corte d’appello aveva ritenuto provata – attraverso l’assunzione di testimonianze – la conoscenza da parte del professionista della pattuizione tra cliente e società terza di una clausola penale per i casi di interruzione del rapporto, a conferma della consapevolezza del prestatore d’opera di arrecare pregiudizio al cliente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 23 gennaio – 23 aprile 2014, n. 9220 Presidente Goldoni – Relatore Proto Svolgimento del processo Con decreto del 18/1/2000 il Tribunale di Roma ingiungeva alla società Software & amp Services s.r.l. il pagamento, in favore di N.R. , di un compenso per attività di consulenza informatica che egli aveva svolto, su suo incarico, presso la società Sirti S.p.A L’ingiunta proponeva domanda riconvenzionale per la condanna del N. al pagamento di quanto essa aveva dovuto pagare a titolo di penale alla Sirti S.p.A. per l'improvvisa interruzione delle prestazioni di consulenza informatica che si era impegnata a fornire e per le quali aveva incaricato il N. . Con sentenza del 4/2/2005 il Tribunale di Roma riteneva che il recesso, pur giustificato perché la cliente si era rifiutata di sottoscrivere il contratto, era stato esercitato con modalità tali da arrecare pregiudizio alla cliente perché non le era stato concesso il tempo necessario per sostituirlo con altra persona presso la società Sirti alla quale, in conseguenza della condotta del recedente, aveva dovuto corrispondere la penale contrattuale prevista per il caso di interruzione del rapporto di consulenza informatica. Il N. proponeva appello e, secondo quanto si apprende dalla sentenza impugnata - con i primi due motivi l'appellante deduceva l'inammissibilità delle prove testimoniali espletate in primo grado e dirette a dimostrare che era consapevole dell'esistenza della clausola penale pattuita tra la cliente e la società Sirti e che aveva l'obbligo di preavvertire la società in caso di recesso - con il terzo motivo deduceva che il recesso era legittimo e che quindi non si poteva sostenere che lo avesse esercitato improvvisamente - con il quarto motivo deduceva che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto raggiunta la prova del pagamento della penale. La società Software & amp Services s.r.l. proponeva appello incidentale dolendosi che il danno fosse stato liquidato in via equitativa e in misura inferiore a quanto era invece provato, ossia nell'importo costituito dalla differenza tra il credito spettante al prestatore d'opera e l'importo della penale che la cliente aveva dovuto pagare alla Sirti S.p.A La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13/3/2007 rigettava l'appello principale e accoglieva l'appello incidentale. La Corte di Appello rilevava - che i primi due motivi, con i quali si contestava l'ammissibilità della prova testimoniale in merito alla conoscenza della clausola penale prevista a carico della cliente e della necessità del preavviso, erano infondati perché i testi avevano riferito su fatti i colloqui e le pattuizioni verbali e non su giudizi o apprezzamenti - che il terzo motivo era infondato perché non era rilevante che il prestatore d'opera avesse receduto per giusta causa, ma il fatto che il pur legittimo recesso con preavviso di tre giorni era stato esercitato con modalità tali da arrecare pregiudizio alla società perché non le era stato concesso il tempo necessario per provvedere alla sua sostituzione - che la mancata sottoscrizione del contratto scritto, che aveva giustificato il recesso, non era un fatto di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto neppure per il tempo minimo necessaria per consentire al cliente di evitare il danno derivante dall'interruzione del rapporto. N.R. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La società Software & amp Services s.r.l. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2237 comma 3 c.c. e il vizio di motivazione sulla ritenuta, dalla Corte di Appello, consapevolezza di arrecare pregiudizio alla cliente. Il ricorrente sostiene di avere ignorato quale potesse essere un preavviso congruo, avendo ritenuto congruo il preavviso di tre giorni, mentre la Corte di Appello avrebbe apoditticamente affermato che il preavviso non era congruo senza indicare quale sarebbe stato, invece, il preavviso congruo, specie in assenza di una disciplina contrattuale che prevedesse un termine preciso per il preavviso. Il ricorrente, formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis , chiede se, in mancanza di qualsiasi accordo tra le parti di un contratto d'opera circa il termine di esercizio del recesso del prestatore, questi debba rispondere in ogni caso e oggettivamente del pregiudizio che sia derivato al cliente dal suo recesso per giusta causa a prescindere dalla sua ignoranza del fatto che il suo recesso possa arrecargli pregiudizio. 1.1. Il motivo è infondato. La violazione dell'art. 2237 comma 3 c.c. non sussiste in quanto la Corte di Appello ha ritenuto il prestatore d'opera responsabile del danno arrecato alla cliente l'obbligo di pagare una penale per l'interruzione del rapporto di consulenza informatica con la società Sirti sul presupposto, in fatto, che il recesso non era stato esercitato in modo tale da non arrecare pregiudizio al cliente. La norma richiamata è, appunto, diretta ad evitare al cliente l'eccessivo danno che deriverebbe dall'improvvisa rottura del rapporto, ossia a lasciargli il tempo per provvedere diversamente agli interessi per i quali è stato stipulato il contratto e, in sostanza, costituisce una particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva ex artt. 1175 e 1375 c.c. in quanto il diritto, pur esistente, è stato esercitato con modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione che, nella specie, doveva essere riferito ad un comportamento che trovava la sua tipizzazione nella norma che impone specificamente di evitare pregiudizio al cliente. Sotto questo profilo, pertanto, la norma è stata correttamente applicata, salvo verificare, sotto il profilo del vizio di motivazione, pure dedotto, se le modalità fossero con le quali è stato esercitato il recesso fossero effettivamente tali da arrecare pregiudizio. Ma il vizio di motivazione non sussiste in quanto la Corte di Appello ha ritenuto provato, sulla base delle prove testimoniali che il prestatore d'opera era a conoscenza della clausola penale pattuita da Software & amp Service con Sirti S.p.A. per il caso di interruzioni delle prestazioni di consulenza informatica e della necessità che Software & amp Service fosse preavvertita in caso di suo recesso la Corte di Appello ha infatti osservato, così adempiendo l'obbligo motivazionale, che i testi avevano riferito di colloqui tra il N. e i responsabili di Software & amp Service dai quali era desumibile, secondo la Corte di appello, la conoscenza da parte del N. , della clausola penale e della necessità di rispettare l'obbligo di preavviso in caso di recesso neppure è contestato il danno prodotto, ossia l'interruzione della consulenza informatica e il conseguente pagamento della penale. Nel motivo si aggiunge che il preavviso di tre giorni sarebbe stato congruo, ma la censura viene esaminata insieme al secondo motivo in quanto ad esso attinente. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l'omesso esame di un punto decisivo della controversia, consistente nell'avere ritenuto provato che la cliente, sulla base del preavviso di tre giorni, non abbia potuto procedere alla sua sostituzione. 2.1 Il motivo è inammissibile perché introduce una questione di mero fatto che implica valutazioni sulla natura e sul contenuto delle prestazioni e sulle possibilità di reperimento di tecnici informatici idonei che inoltre non risulta specificamente dedotta nel giudizio di merito nel quale, secondo quanto emerge dalla sentenza, si controverteva sulla consapevolezza dell'esistenza della clausola penale, dell'obbligo di preavviso, del fatto colposo della cliente che poteva evitare il pregiudizio pagando il prestatore d'opera e sottoscrivendo il contratto su tali deduzioni la Corte di Appello ha motivato rilevando che non risultava il rifiuto di corrispondere il corrispettivo e che la mancata sottoscrizione non era fatto di gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto per il tempo minimo necessario ad evitare l'interruzione della consulenza informatica con Sirti, così escludendo che potesse ravvisarsi un'ipotesi di recesso ad nutum . 3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato le spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza di N.R. . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna N.R. a pagare alla società Software & amp Services s.r.l. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi.