Le Sezioni Unite dichiarano marito e moglie risarcimento e risoluzione

La parte che, ai sensi dell’art. 1453, comma 2, c.c., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi , oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale.

Le Sezioni Unite scendono in campo. La Seconda Sezione Civile, nel luglio 2013, trasmetteva gli atti al Primo Presidente, per un’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione del contrasto sulla questione relativa alla possibilità se, convertita in corso di causa la domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto per inadempimento, ai sensi dell’art. 1453, comma 2, c.c., sia consentita anche la proposizione, contestuale alla conversione, della domanda di risarcimento dei danni. La norma stabilisce che la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento . Si fronteggiavano, infatti, due orientamenti, uno favorevole e l’altro contrario alla possibilità di affiancare la domanda di risarcimento del danno a quella, nascente dalla conversione dell’originaria domanda di adempimento, di risoluzione del contratto per inadempimento. Orientamento negativo. Il primo orientamento, di senso restrittivo, risaliva alla sentenza n. 810/2012 della Cassazione, secondo cui l’art. 1453, comma 2, c.c. deroga alle norme processuali che vietano il cambiamento della domanda nel corso del processo, nel senso di permettere la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento. Tuttavia tale deroga non si estenderebbe alla domanda ulteriore di risarcimento del danno consequenziale a quella di risoluzione, trattandosi di domanda del tutto diversa sia per petitum che per causa petendi rispetto a quella originaria. Alla base di questa interpretazione ci sarebbe la valutazione che la facoltà concessa dal comma 2 al contraente non inadempiente di mutare l’originaria domanda di adempimento in quella di risoluzione, comporta una vistosa eccezione e, in quanto tale, di stretta applicazione, alla regola del divieto assoluto di modifica della domanda, che scatta all’esito dell’udienza di trattazione della causa o della sua propaggine rappresentata dalla memoria, prevista dall’art. 183 c.p.c Dato che l’introduzione, nel corso del giudizio, anche se contemporaneamente all’esercizio dello ius variandi , ai sensi dell’art. 1453, comma 2, c.c., della domanda risarcitoria affiancata alla domanda di risoluzione, comporta l’introduzione di un ulteriore tema d’indagine e di un nuovo petitum , trovano applicazione le preclusioni previste dal codice di procedura civile. Di conseguenza, la deroga al divieto di cambiamento della domanda non opererebbe, quindi, per la domanda di risarcimento dei danni. Da questo orientamento discendeva, poi, che sarebbe ammessa la proponibilità della domanda di risoluzione solo se anteriormente fosse stato richiesto l’adempimento, mentre tale mutamento non potrebbe avvenire quando l’attore si fosse limitato a richiedere il risarcimento del danno. Allo stesso modo, se in un primo tempo fosse stato domandato l’adempimento, non sarebbe possibile chiedere, in corso di causa, il risarcimento, in quanto si applicherebbero le normali regole processuali che precludono la proposizione di domanda nuove. Orientamento favorevole. Al contrario, il secondo indirizzo, risalente alla sentenza n. 26325/2008, ammetteva la possibilità di modificare la domanda di adempimento in quella di risoluzione contrattuale si estenderebbe anche alla conseguente domanda di risarcimento danni, in quanto quest’ultima sarebbe sempre proponibile come domanda accessoria sia di quella di adempimento sia di quella di risoluzione. Infatti, l’art. 1453, comma 1, c.c. stabilisce che nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno . Alla base di questa interpretazione c’era il pensiero che, quando la legge ammette, in deroga alle generali norme processuali, la sostituzione della domanda di risoluzione a quella di adempimento, non potrebbe non ammettere anche l’introduzione della richiesta dei danni da risoluzione, anche se diversi da quelli che siano stati richiesti insieme con l’originaria domanda di adempimento. Le Sezioni Unite si schierano. Analizzando le due soluzioni, le Sezioni Unite sottolineavano che lo ius variandi si giustifica con il fatto che le due azioni, di adempimento o di risoluzione, pur avendo un diverso oggetto, mirano allo stesso scopo, che è quello di tutelare il diritto del contraente in regola, che vuole evitare il pregiudizio derivante dall’inadempimento della controparte. Per questo motivo, le Sezioni Unite ritenevano che l’interpretazione estensiva, offrendo alla parte in regola la possibilità di spingere la pretesa alle naturali conseguenze sul piano restitutorio e risarcitorio, consentirebbe di realizzare, nell’ambito dello stesso processo, il completamento sul piano giuridico ed economico degli effetti che si ricollegano allo scioglimento del contratto. Infatti, l’art. 1453, comma 1, c.c. nel fare salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno , configura come possibile il cumulo tra la domanda rivolta ad ottenere lo scioglimento del contratto e l’azione risarcitoria per la riparazione del pregiudizio economico del creditore insoddisfatto, delineando un modello di tutela unitario risultante dall’operare combinato dei due rimedi, con l’azione di danno che può accompagnarsi tanto all’azione di adempimento quanto alla domanda di risoluzione. Quindi, mentre l’azione di adempimento e quella di risoluzione danno luogo ad un concorso alternativo di rimedi, la domanda di risarcimento può, a scelta dell’interessato, essere proposta insieme con quella di adempimento o di risoluzione. Obiettivo concentrazione. Precludere a chi, in prima battuta, abbia chiesto, in giudizio, la condanna della controparte all’adempimento e si sia poi rivolto alla tutela risolutoria, di azionare, nell’ambito dello stesso giudizio in cui ha esercitato la facoltà di mutamento, la tutela complementare restitutoria e risarcitoria, obbligherebbe al creditore di intraprendere un nuovo e separato processo, con la conseguente frammentazione delle istanze giurisdizionali e l’allungamento dei tempi complessivi necessari ad ottenere l’integrale soddisfazione delle proprie ragioni. E questo andrebbe contro la finalità di concentrazione perseguita dal codice civile. Per questo motivo, le Sezioni Unite risolvevano il conflitto giurisprudenziale a favore dell’orientamento estensivo, affermando che la parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, c.c., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi , oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 25 marzo – 11 aprile 2014, n. 8510 Presidente Rovelli – Relatore Giusti