Pagamento del compenso al professionista subordinato all’erogazione del finanziamento pubblico: un contrasto ancora irrisolto

Vanno rimessi gli atti al primo presidente affinché eventualmente disponga che la Cassazione pronunci a Sezioni Unite sulla questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, relativa alla validità dei contratti di prestazione d’opera professionale stipulati dagli enti pubblici territoriali nei quali, in assenza della previsione dell’impegno di spesa, il pagamento del compenso dovuto al professionista sia condizionato al finanziamento dell’opera la cui progettazione costituisce oggetto dell’incarico conferito.

Ad affermarlo è la Prima Sezione della Corte di Cassazione nell’ordinanza interlocutoria n. 6123 del 17 marzo 2014. Il caso. Il giudizio nasce dall’impugnazione del lodo arbitrale con cui era stata dichiarata la risoluzione di un contratto di prestazione d’opera professionale per inadempimento di un’Amministrazione comunale, con conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni in favore di 2 ingegneri. La Corte d’Appello adita evidenzia che, sebbene in tema di contratti degli enti pubblici valga la regola per cui gli eventuali vizi della deliberazione di autorizzazione a contrarre rilevano esclusivamente nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ente, il legislatore può dettare norme imperative la cui applicazione condizioni la stessa validità del contratto. Tra queste disposizioni va annoverato l’art. 23 d.l. n. 66/1989, conv. in l. n. 144/1989, che, nel vietare l’effettuazione di spese in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio, non si riferisce soltanto alle forniture di beni e servizi, ma anche ad altre tipologie di rapporti, quali gli incarichi professionali. Ciò posto, la Corte territoriale esclude tuttavia l’applicabilità della predetta disposizione al caso di specie, atteso che il contratto stipulato tra le parti subordinava il pagamento del compenso dovuto ai professionisti al finanziamento dell’opera progettata da parte delle competenti amministrazioni pubbliche. Avverso la sentenza il Comune e uno dei due ingegneri coinvolti propongono ricorso per cassazione. L’oggetto del contrasto. La questione principale sollevata da entrambe le parti ha ad oggetto la validità dei contratti di prestazione d’opera professionale stipulati dagli enti pubblici territoriali nei quali il pagamento del compenso dovuto al professionista sia condizionato al finanziamento dell’opera la cui progettazione costituisce oggetto dell’incarico conferito. Si discute, in particolare, se tale condizione valga a sottrarre il contratto al disposto dell’art. 23, commi 3 e 4, d.l. n. 66/1989 applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame , che subordina l’effettuazione di qualsiasi spesa alla sussistenza di una delibera autorizzativa ed alla registrazione del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati, prevedendo che, in mancanza, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura. Prima tesi il contratto è valido anche senza impegno di spesa. Secondo una prima tesi, sostenuta dalla Cassazione con sentenza n. 14198/2004, l’apposizione della clausola con cui il pagamento del compenso dovuto al professionista sia subordinato all’erogazione del finanziamento da parte delle competenti amministrazioni rende valido il contratto di prestazione d’opera professionale stipulato dall’ente territoriale, anche in assenza della previsione dell’impegno di spesa, sottraendolo all’applicazione della norma in esame, in quanto si tratta, per sua definizione, di un contratto la cui efficacia è condizionata all’erogazione del finanziamento. Seconda tesi il contratto è valido ma è richiesto l’impegno di spesa. Ad esiti opposti è giunta, invece, la Suprema Corte, nella sentenza n. 1985/2005, la quale, pur confermando sul piano strettamente civilistico la validità della clausola convenzionale che subordini al finanziamento dell’opera il pagamento del compenso dovuto al professionista, ha osservato che essa, rendendo ab origine indeterminato il contenuto dell’obbligazione assunta dall’ente ed impedendo che l’acquisizione del servizio avvenga sulla base di un impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione, produce effetti non conformi alla ratio ispiratrice delle disposizioni dettate dall’art. 23, che, in quanto volte a garantire la correttezza della gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l’equilibrio economico-finanziario degli enti locali, non possono subire deroghe per effetto dell’apposizione della predetta condizione. La riemersione del precedente orientamento. L’indirizzo da ultimo citato è stato nuovamente posto in discussione con la pronuncia n. 9642/2010, la quale ha dato seguito al precedente orientamento, affermando anzi che, lungi dal porsi in contrasto con l’art. 23, la clausola contrattuale con cui il sorgere del diritto del professionista al pagamento del compenso dovuto per la progettazione di un’opera pubblica viene condizionato all’ottenimento del finanziamento per l’opera progettata deve ritenersi imposta dal comma 2 di tale disposizione, il quale commina la nullità di qualsiasi deliberazione e conseguente convenzione diretta ad acquisire servizi in favore di comuni, province e comunità montane in difetto di previo impegno di spesa, disponendo che, in tal caso, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore del servizio ed il funzionario che abbia stipulato l’accordo. Il contrasto così determinatosi ha quindi imposto la rimessione degli atti al primo presidente, perché valuti l’opportunità dell’assegnazione della causa alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza interlocutoria 7 novembre 2013 – 17 marzo 2014, n. 6123 Presidente Salmé – Relatore Mercolino Fatto e diritto 1. - Con sentenza del 12 settembre 2007, la Corte d'Appello di Palermo ha rigettato le impugnazioni proposte dal Comune di Santo Stefano di Quisquina e dagli ingg. G.D. e C.F. avverso il lodo emesso il 18 luglio 2003, con cui il collegio arbitrale costituito per la risoluzione della controversia insorta in ordine all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale stipulato tra le parti il 17 gennaio 1990 aveva pronunciato la risoluzione del contratto per inadempimento dell'Amministrazione e l'aveva condannata al risarcimento dei danni. 1.1. - Premesso che, in tema di contratti degli enti pubblici, la regola secondo cui gli eventuali vizi della deliberazione di autorizzazione a contrarre rilevano esclusivamente nell'ambito dell'organizzazione interna dell'ente non impedisce al legislatore di dettare norme imperative la cui applicazione condiziona la stessa validità del contratto, la Corte ha ritenuto che tra queste disposizioni dovesse essere annoverato anche l'art. 23 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144, che, nel vietare l'effettuazione di spese in assenza di impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio, non si riferisce soltanto alle forniture di beni e servizi, come affermato dagli arbitri, ma anche ad altre tipologie di rapporti, quali gl'incarichi professionali. Ciò posto, ha tuttavia escluso l'applicabilità della predetta disposizione, rilevando che il contratto stipulato tra le parti subordinava il pagamento del compenso dovuto ai professionisti al finanziamento dell'opera progettata da parte delle competenti amministrazioni pubbliche, ed aggiungendo che il lodo non era stato esplicitamente impugnato nella parte in cui aveva accertato che la condizione non si era avverata per grave inadempimento del Comune, il quale non si era adeguatamente adoperato per ottenere il finanziamento. La Corte ha dichiarato poi inammissibili le censure proposte dai professionisti in ordine all'interpretazione del contratto, in considerazione dell'avvenuto riconoscimento in loro favore di un risarcimento pari al compenso richiesto per la progettazione dell'opera, nonché quelle relative all'omessa liquidazione del compenso per la direzione dei lavori, non riflettenti la violazione di norme giuridiche. Ha ritenuto altresì inammissibili, in quanto riflettenti vizi di motivazione o questioni di fatto, le censure riguardanti la decorrenza degl'interessi ed il mancato riconoscimento del maggior danno per l'inadempimento, affermando infine che la compensazione delle spese processuali è consentita anche per giusti motivi, indipendentemente dall'esito della lite. 2. - Avverso la predetta sentenza il Comune propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il G. resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in nove motivi. Il C. non ha invece svolto attività difensiva. 3. - Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989, anche in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'applicabilità dell'art. 23 cit. fosse esclusa dalla clausola che subordinava il pagamento del compenso al finanziamento dell'opera. Premesso che tale disposizione ha sostituito il pregresso regime di nullità del contratto con quello della sua validità ed efficacia tra il privato ed il funzionario o l'amministratore, in tal modo prevedendo una novazione soggettiva del rapporto originariamente intercorrente con l'ente pubblico, sostiene che essa non può subire deroghe per effetto della predetta condizione, in quanto risponde a finalità di ordine pubblico, tra le quali assumono rilievo preminente quelle dirette a garantire la correttezza nella gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l'equilibrio economico-finanziario degli enti locali. Nella specie, la necessità della registrazione dell'impegno contabile non poteva essere esclusa in virtù della considerazione che la copertura finanziaria del progetto era assicurata dal finanziamento pubblico, trattandosi di una circostanza irrilevante, avuto riguardo all'estraneità dell'ente finanziatore al rapporto dedotto in giudizio, all'autonomia finanziaria del Comune ed al necessario rispetto delle compatibilità e dei vincoli di bilancio stabiliti dalla legge. 3.1. - Con il secondo ed il terzo motivo, il Comune ribadisce la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989, anche in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sostenendo che la corretta applicazione dell'art. 23 cit. imponeva la dichiarazione di nullità della delibera di autorizzazione del conferimento dell'incarico e del contratto di prestazione d'opera professionale, escludendo pertanto la configurabilità dell'inadempimento di obblighi contrattuali, con la conseguente inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale proposta dal G. e dal C. . 4. - Con il primo motivo del ricorso incidentale, il G. deduce la violazione degli artt. 829 e 112 cod. proc. civ., assumendo che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare sull'eccezione da lui sollevata, secondo cui l'impugnazione del lodo per inosservanza delle regole di diritto è ammissibile solo in caso di decisione secondo equità non previamente autorizzata. 4.1. - Con il secondo motivo, il controricorrente lamenta la violazione dell'art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989 e dell'art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato l'applicabilità dell'art. 23 cit., senza considerare che nell'ambito della Regione siciliana l'efficacia di tale disposizione, rientrante nella disciplina del funzionamento degli enti locali, era subordinata ad un apposito atto normativo di recepimento, rimesso alla potestà legislativa della medesima Regione. 4.2. - Con il terzo motivo, il controricorrente denuncia la violazione dell'art. 189 della legge regionale della Sicilia 29 ottobre 1955, n. 6, sostenendo che nell'ambito della Regione siciliana i contratti conclusi dagli enti locali sono disciplinati esclusivamente da tale disposizione, in virtù della quale l'inosservanza delle norme di contabilità pubblica non assume rilievo nei confronti dei terzi contraenti. 4.3. - Con il quarto motivo, il G. deduce la violazione dell'art. 829 cod. proc. civ., osservando che, nel dichiarare inammissibili i motivi d'impugnazione incidentale con cui egli aveva fatto valere il diritto al riconoscimento dei corrispettivi contrattualmente previsti o di un danno commisurato all'intero oggetto del contratto, la Corte di merito non ha considerato che, pur senza fare esplicito riferimento alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, egli aveva inteso censurare l'interpretazione del contratto fornita dagli arbitri. 4.4. - Con il quinto motivo, il G. ribadisce la violazione dell'art. 829 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il motivo d'impugnazione riguardante la decorrenza degl'interessi, senza considerare che la liquidità ed esigibilità del credito per compensi professionali escludeva la necessità della costituzione in mora, ravvisabile comunque nella parcella determinativa delle competenze o in successive richieste di pagamento. 4.5. - Con il sesto motivo, il controricorrente insiste sulla violazione dell'art. 829 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il motivo d'impugnazione concernente il mancato riconoscimento del maggior danno per l'inadempimento, senza tener conto della natura del credito e degli oneri derivanti dall'indisponibilità della somma dovuta per l'esercizio dell'attività professionale. 4.6. - Con il settimo motivo, il G. lamenta nuovamente la violazione degli artt. 829 e 112 cod. proc. civ., assumendo che gli arbitri avevano omesso di pronunciare in ordine al risarcimento del danno derivante dalla mancata corresponsione del compenso che, ove il contratto fosse stato correttamente eseguito, sarebbe stato dovuto per la direzione dei lavori. 4.7. - Con l'ottavo motivo, il controricorrente denuncia la violazione degli artt. 829 ed 823 n. 3 cod. proc. civ., sostenendo che, nel dichiarare inammissibile il motivo d'impugnazione riguardante la compensazione delle spese processuali, la Corte di merito non ha considerato che gli arbitri non avevano addotto alcuna motivazione a sostegno di tale decisione, nonostante l'avvenuto accoglimento della domanda. 4.8. - Con il nono motivo, il controricorrente deduce ancora la violazione degli artt. 829 e 112 cod. proc. civ., affermando che la sentenza impugnata ha o-messo di pronunciare in ordine al motivo d'impugnazione con cui era stata fatta valere la nullità del lodo per difetto di motivazione. 5. - Le questioni sollevate con il ricorso principale e con il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale hanno ad oggetto la validità dei contratti di prestazione d'opera professionale stipulati dagli enti pubblici territoriali nei quali il pagamento del compenso dovuto al professionista sia condizionato al finanziamento dell'opera la cui progettazione costituisce oggetto dell'incarico conferito. Si discute in particolare se tale condizione valga a sottrarre il contratto al disposto dell'art. 23, commi terzo e quarto, del decreto-legge n. 66 del 1989 abrogato dall'art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, e sostituito dall'art. 35 del medesimo decreto, a sua volta abrogato dall'art. 274, lett. hh, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e sostituito dall'art. 191 del medesimo decreto , applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, che subordina l'effettuazione di qualsiasi spesa alla sussistenza di una delibera autorizzativa ed alla registrazione del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati, prevedendo che, in mancanza, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura. È altresì controverso se la predetta disposizione, alla quale la Regione siciliana si è uniformata con l'art. 22 della legge regionale 12 gennaio 1993, n. 10, che ha modificato l'art. 5 della legge regionale n. 21 del 1985, si applichi anche a contratti stipulati in epoca anteriore all'entrata in vigore di tale modifica, avuto riguardo alla competenza legislativa esclusiva di cui la Regione è dotata in materia di ordinamento e controllo degli enti locali, ai sensi dell'art. 15, terzo comma, del regio decreto legislativo n. 455 del 1946. 5.1. - La problematica in esame fu affrontata per la prima volta, in una prospettiva parzialmente diversa, dalla sentenza 23 maggio 2003, n. 8189, con cui questa Corte si limitò a prendere in considerazione il caso in cui, indipendentemente dall'apposizione di una condizione al contratto, la spesa dell'ente territoriale sia interamente finanziata da un altro ente pubblico, affermando che anche in tal caso deve trovare applicazione l'art. 23 cit., dal momento che il finanziamento e-saurisce i suoi effetti nei rapporti tra l'ente beneficiario e quello finanziatore, il quale rimane estraneo al rapporto con il professionista, con la conseguenza che, avuto riguardo anche all'autonomia finanziaria degli enti locali, ciascuno di essi, e specificamente quello che assume l'obbligazione contrattuale, è tenuto a verificare le compatibilità finanziarie ed a rispettare i vincoli di bilancio stabiliti dalla legge. L'incidenza della clausola con cui il pagamento del compenso dovuto al professionista sia stato subordinato all'erogazione del finanziamento da parte delle competenti amministrazioni costituì invece oggetto di specifica valutazione da parte della sentenza 28 luglio 2004, n. 14198, con cui la Corte enunciò il principio secondo cui l'apposizione della predetta condizione rende valido il contratto di prestazione d'opera professionale stipulato dall'ente territoriale, anche in assenza della previsione dell'impegno di spesa, sottraendolo all'applicazione della norma in esame, in quanto si tratta, per sua definizione, di un contratto la cui efficacia è condizionata all'erogazione del finanziamento. Tale orientamento fu oggetto di rimeditazione da parte della Corte nella successiva sentenza 1 febbraio 2005, n. 1985, la quale, pur confermando sul piano strettamente civilistico la validità della clausola convenzionale che subordini al finanziamento dell'opera il pagamento del compenso dovuto al professionista, osservò che essa, rendendo ad origine indeterminato il contenuto dell'obbligazione assunta dall'ente ed impedendo che l'acquisizione del servizio avvenga sulla base di un impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione, produce effetti non conformi alla ratio ispiratrice delle disposizioni dettate dall'art. 23, che, in quanto volte a garantire la correttezza della gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l'equilibrio economico-finanziario degli enti locali, non possono subire deroghe per effetto dell'apposizione della predetta condizione. La specificità dei rilievi sollevati dalla predetta sentenza nei confronti del precedente orientamento non ha peraltro impedito la riemersione dello stesso, avvenuta con la sentenza 22 aprile 2010, n. 9642, la quale vi ha dato seguito, affermando anzi che, lungi dal porsi in contrasto con l'art. 23, la clausola contrattuale con cui il sorgere del diritto del professionista al pagamento del compenso dovuto per la progettazione di un'opera pubblica viene condizionato all'ottenimento del finanziamento per l'opera progettata deve ritenersi imposta dal comma secondo di tale disposizione, il quale commina la nullità di qualsiasi deliberazione e conseguente convenzione diretta ad acquisire servizi in favore di comuni, province e comunità montane in difetto di previo impegno di spesa, disponendo che, in tal caso, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore del servizio ed il funzionario che abbia stipulato l'accordo. 5.2. - Il contrasto in tal modo determinatosi nella giurisprudenza di legittimità impone la rimessione degli atti al Primo Presidente, perché valuti, ai sensi dell'art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., l'opportunità dell'assegnazione della causa alle Sezioni Unite, in considerazione anche delle censure sollevate dal controricorrente in ordine all'applicabilità dell'art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989 nell'ambito della Regione siciliana, mai posta in discussione nelle pronunce citate. P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite Civili.