Appaltatore interrompe i lavori e la committente non paga quelli già eseguiti: chi ha ragione?

In presenza di due domande, una di opposizione a decreto ingiuntivo e l’altra di richiesta di saldo di lavori già eseguiti, non può valere la regola secondo la quale l’opposto nel primo giudizio, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può richiedere il pagamento di una somma maggiore di quella fatta valere con il ricorso per ingiunzione.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28196 del 17 novembre 2013. Una vicenda complicata. Fra una ditta di lavori idraulici e una donna insistevano due cause la ditta otteneva un decreto ingiuntivo dalla donna per il pagamento della somma residua relativamente ai lavori appaltati per l’istallazione di un impianto idraulico e di climatizzazione. Ella lamentava che l’ingiungente aveva interrotto i lavori che, peraltro, erano difettosi l’opposto affermava il contrario e il mancato percezione dell’importo complessivo la ditta conveniva in giudizio la donna, chiedendo il pagamento dell’indennità prevista dall’art. 1671 c.c. in relazione al mancato guadagno, alle spese sostenute e ai lavori eseguiti in conseguenza dell’altrui recesso. I giudizi venivano riuniti e si dichiarava la compensazione delle rispettive voci e il rigetto di ogni altra domanda. Per la cassazione della sentenza, la ditta propone ricorso. Pagamento delle somme concordate la presenza del decreto ingiuntivo non rileva La Corte territoriale aveva ritenuto che l’opposto non può proporre una domanda avente ad oggetto il pagamento di una somma maggiore di quella fatta valere con l’ingiunzione la causa oggetto di esame non aveva ad oggetto soltanto l’opposizione a decreto ingiuntivo ma anche il saldo dei lavori eseguiti, oltre a quanto già fatturato. Il principio in esame non è, però, applicabile nel caso di specie in quanto la ditta aveva richiesto la condanna della donna al pagamento dell’indennità ex art. 1671 c.c. in relazione al mancato guadagno, alle spese sostenute e ai lavori già eseguiti a seguito del recesso della committente domande, queste, del tutto trascurate. Tale censura è, quindi, fondata. al contrario della diffida ad adempiere. La ditta lamenta, inoltre che, se è vero che la donna aveva inviato una diffida ad adempiere nel termine di quindici giorni termine che non era stato rispettato , è anche vero che, al momento dell’invio, la stessa donna non aveva, a sua volta, adempiuto quindi la diffida non era idonea a risolvere il contratto. La Corte territoriale, però, correttamente aveva messo in evidenza che, essendo il termine di quindici giorni decorso senza adempimento, il contratto doveva intendersi risolto di diritto ex art. 1454. L’accertamento effettuato non è, quindi, censurabile è chiaro che il ricorrente si limita inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione della vicenda a sé più favorevole. Ne consegue che la sentenza deve essere cassata in relazione al secondo motivo.

Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza 7 novembre – 17 dicembre 2013, n. 28196 Presidente Bursese – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Fra la ditta Mazzocchi Pierpaolo e T.L. insorgevano due cause nella prima la ditta Mazzocchi otteneva dal Presidente del Tribunale di Rimini un decreto ingiuntivo per il pagamento di lire 5.044.000 ed accessori quale residuo di prestazioni relative a lavori appaltati per l'installazione di un impianto idraulico e di climatizzazione nei confronti della T. , la quale proponeva opposizione deducendo che, pur avendo ella pagato le prime tre rate pattuite, l'ingiungente aveva interrotto i lavori senza neanche utilizzare tutto il materiale acquistato e si era rifiutato di proseguirli che inoltre i lavori eseguiti erano difettosi, e che il comportamento dell'appaltatore le aveva recato grave pregiudizio. Il M. , costituendosi in giudizio, contestava il fondamento dell'opposizione assumendo che i lavori erano stati eseguiti a regola d'arte, che i ritardi erano stati causati dall'opponente, e che la somma percepita era inferiore all'importo complessivo dei lavori svolti. Nella seconda controversia il M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini la T. chiedendo la condanna della convenuta al pagamento dell'indennità ex art. 1671 c.c. in relazione al mancato guadagno, alle spese sostenute ed ai lavori già eseguiti in conseguenza dell'altrui recesso si costituiva in giudizio la T. chiedendo il rigetto della domanda. Riuniti i giudizi il Tribunale adito con sentenza del 1-6-2002 dichiarava compensate tra le parti le rispettive voci di credito e rigettava ogni ulteriore domanda. Proposta impugnazione da parte del M. cui resisteva la T. la Corte di Appello di Bologna con sentenza del 9-11-2006 ha rigettato il gravame. Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto un ricorso articolato in due motivi la T. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112-183 e 184 c.p.c., assume che la Corte territoriale erroneamente ha rigettato la domanda dell'esponente avente ad oggetto la condanna della T. al pagamento della residua somma di lire 9.105.268 da cui andava detratto l'importo di cui al decreto ingiuntivo pari a lire 5.044.000, per un totale ancora da pagare di lire 4.061.268 per lavori eseguiti, nonché la domanda relativa al pagamento della somma di lire 8.500.000 come quantificata dal CTU richiesta ai sensi dell'art. 1671 c.c., avendo ritenuto che l'opposto non può proporre una domanda avente ad oggetto il pagamento di una somma maggiore di quella fatta valere con l'ingiunzione invero la presente causa non aveva ad oggetto soltanto l'opposizione a decreto ingiuntivo, ma riguardava anche la domanda formulata dall'esponente con separato atto di citazione notificato il 6-5-1993 con il quale il M. aveva chiesto il saldo dei lavori eseguiti, oltre a quanto già fatturato ed oggetto del provvedimento monitorio. La censura è fondata. La sentenza impugnata, con riferimento al credito residuo invocato dal M. di lire 8.755.066 per i lavori complessivamente eseguiti, riconosciuto dal primo giudice nei limiti dell'importo di cui al decreto ingiuntivo, ha confermato tale statuizione ritenendo che l'opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non possa richiedere il pagamento di una somma maggiore di quella fatta valere con il ricorso per ingiunzione tale principio di diritto, peraltro, non è rilevante nella fattispecie laddove, come evidenziato dalla stessa Corte territoriale, il M. con separato giudizio riunito al primo aveva chiesto la condanna della T. al pagamento dell'indennità ex art. 1671 c.c. in relazione al mancato guadagno, alle spese sostenute ed ai lavori già eseguiti a seguito del recesso della committente è quindi evidente che le affermazioni sopra richiamate del giudice di appello hanno del tutto trascurato tali domande che erano state regolarmente introdotte nella controversia e sulle quali occorreva pronunciarsi. Con il secondo motivo il M. , denunciando violazione degli artt. 1454 e 1460 c.c., censura la sentenza impugnata per aver affermato che il contratto intercorso tra le parti si era risolto di diritto in relazione ad una diffida ad adempiere inviata dalla T. all'esponente, considerato che quest'ultimo non aveva completato i lavori nel termine di giorni 15 dal ricevimento della diffida stessa in realtà al momento dell'invio della diffida era la stessa T. che non aveva adempiuto alla sua obbligazione, né aveva offerto di adempiere quindi la diffida inviata dalla parte inadempiente non era idonea a risolvere il contratto, dovendosi così fare riferimento al successivo recesso comunicato dalla parte appaltante ed inadempiente con missiva del 25-11-1993. La censura è infondata. La Corte territoriale ha affermato che la T. in data 26-10-1992 aveva inviato al M. una lettera raccomandata con la quale lo diffidava formalmente a completare i lavori idraulici nel termine di giorni 15 dal ricevimento della missiva, con la espressa precisazione che, trascorso tale termine senza che il contratto fosse stato adempiuto, lo stesso sarebbe stato ritenuto risolto ha quindi evidenziato che, essendo decorso tale termine senza che i lavori oggetto del contratto tra le parti fossero stati neppure ripresi, il contratto stesso si era risolto di diritto ai sensi dell'art. 1454 c.c., considerato il persistente grave inadempimento del M. , il fatto che le precedenti interruzioni dei lavori non potevano essere ascritte a colpa della committente ma ad intralci burocratici, ed atteso che la violazione degli obblighi contrattuali doveva essere ritenuta senz'altro grave, ed era stata adeguatamente motivata dalla committente con l'approssimarsi della stagione invernale, che rendeva urgente il completamento dei lavori idraulici e di riscaldamento dei locali, sede dell'attività lavorativa della T. essendosi pertanto il contratto già risolto di diritto, la successiva lettera inviata sempre dalla T. al M. in data 25-11-1992 non poteva certamente essere interpretata nel senso che la committente intendesse ripristinare il contratto stesso, ma che essa voleva rivolgersi al giudice al fine di far accertare l'intervenuta inadempienza dell'appaltatore si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove il ricorrente si limita inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione della vicenda che ha dato luogo alla presente controversia a sé più favorevole. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.