La parte contrattuale che subisce l’eccezione di inadempimento ha diritto agli interessi compensativi

Nel giudizio instaurato per ottenere l’adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, la parte contrattuale che subisce l’avversa eccezione di inadempimento, benché non abbia diritto agli interessi moratori, ha di certo diritto agli interessi compensativi.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 27437 del 9 dicembre 2013. Il caso. Il giudizio nasce dall’opposizione proposta da una donna avverso il decreto con cui le era stato ingiunto il pagamento di una somma di denaro a titolo di saldo del corrispettivo pattuito per la realizzazione ed installazione di talune porte. Sostiene l’opponente che la somma residuante all’esito della corresponsione dell’acconto non era stata versata giacché le opere fornite erano risultate affette da gravi vizi, sicché sollevava eccezione di inadempimento richiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno sofferto. A seguito di una pronuncia di rigetto in primo grado, il Giudice d’appello successivamente adito reputava fondata l’opposizione e, revocando l’originario decreto ingiuntivo, dichiarava integralmente compensate le ragioni di credito azionate da entrambe le parti. In particolare, il Giudice del gravame rilevava che i lavori effettivamente non erano stati eseguiti a regola d’arte e che la somma liquidata dal CTU a titolo di danni corrispondeva, secondo un giudizio di equità, a quella dovuta dall’attrice a titolo di saldo del prezzo. La donna propone, quindi, ricorso per cassazione. Il giudice può disattendere le valutazioni del CTU. In primo luogo, la ricorrente si duole del fatto che il Giudice d’appello abbia erroneamente ritenuto di liquidare il risarcimento alla stessa spettante in via equitativa, e ciò benché il consulente d’ufficio avesse espressamente indicato quale fosse la somma all’uopo necessaria sia all’attualità sia al momento dei fatti. Con riguardo a tale profilo, la Suprema Corte, esaminando il passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza nel cui ambito si colloca l’espressione risponda ad equità”, ritiene che il giudice del gravame non abbia inteso riferirsi con tale espressione al parametro equitativo di cui all’art. 1226 c.c. ai fini della liquidazione del danno, quanto piuttosto, nel solco delle risultanze delle consulenze d’ufficio disposte, fornire rappresentazione semantica del buon governo che delle medesime risultanze ha reputato di operare. Ad ogni modo, a prescindere da tali considerazioni, i Giudici di legittimità ribadiscono il principio per cui le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno alcuna efficacia vincolante per il giudice, il quale può legittimamente disattenderle ancorché sulla scorta di una valutazione critica ancorata alle risultanze processuali, congruamente e logicamente motivata. Corretta valutazione della consulenza da parte del giudice. Ancora con riguardo alla CTU, la ricorrente ritiene che il giudice del gravame non abbia dato adeguata contezza di quali fossero gli elementi sulla scorta dei quali ha ritenuto di fissare il risarcimento del danno esattamente nella somma corrispondente al saldo ancora dovuto. Al riguardo, la Cassazione osserva che il Giudice d’appello ha fatto propri gli esiti degli accertamenti condotti in primo grado dal consulente in quella sede officiato, il quale era stato nuovamente sollecitato in grado di appello a prestare il suo ausilio. Quest’ultimo aveva evidenziato che i difetti riscontrati scaturivano da un’imperfetta esecuzione delle opere. In primo grado aveva concluso il suo mandato nel senso che per la sistemazione delle stesse fosse necessaria una somma, all’attualità, di circa mille euro, mentre in secondo grado non aveva provveduto all’analitica quantificazione dei costi necessari per eliminare i vizi. Ciò posto, gli Ermellini escludono che il Giudice del gravame abbia contraddittoriamente governato il complesso delle risultanze istruttorie in sede di quantificazione e di parificazione delle contrapposte ragioni di credito. Ed invero, il ridetto Giudice ha preso atto che il consulente aveva quantificato in cifra approssimativamente pari ad euro mille il pregiudizio sofferto dall’opponente ed ha liquidato sulla scorta di tale misura il nocumento sofferto dalla ricorrente principale. Del pari concisamente, pur tuttavia univocamente, ha determinato in eguale importo – significativa è l’espressione corrisponda a” – il residuo credito del creditore opposto. Dovuti gli interessi compensativi in caso di eccezione di inadempimento. Con altro motivo di gravame, la ricorrente censura la parte della sentenza con cui il Giudice d’appello ha ritenuto di compensare il credito vantato da essa ricorrente a titolo di risarcimento del danno con quello vantato dal creditore opposto a titolo di prezzo residuo, valorizzando il primo all’epoca della conclusione del contratto, laddove invece, prima di operare la compensazione impropria, avrebbe dovuto attualizzare il risarcimento del danno al momento della decisione, calcolare sullo stesso gli interessi compensativi e sottrarre dalla somma così ottenuta il residuo del prezzo senza interesse alcuno per effetto della svolta eccezione di inadempimento . Nel respingere la censura mossa dalla ricorrente, la Suprema Corte ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale a mente del quale la parte contrattuale che subisce l’avversa eccezione di inadempimento, benché non abbia diritto agli interessi moratori, ha di certo diritto agli interessi compensativi.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 novembre - 9 dicembre 2013, n. 27437 Presidente Bursese – Relatore Abete Svolgimento del processo Con decreto in data 26.5.1990 il pretore di Agropoli, su ricorso di L R. , ingiungeva a G A. il pagamento della somma di lire 2.480.000, oltre interessi e spese, quale residuo - all'esito del versamento dell'acconto di lire 2.500.000 - dell'importo - complessivamente pari a lire 4.980.000 - dalla ingiunta dovuto al ricorrente a titolo di corrispettivo per la realizzazione ed installazione di talune porte, giusta accordo dalle medesime parti siglato in data 11.11.1989. Si opponeva l'A. , deducendo che il corrispettivo era stato pattuito in lire 3.000.000 e che il saldo di lire 500.000, residuante all'esito della corresponsione dell'acconto, era stato da ella trattenuto e non versato, giacché le opere fornite era risultate affette da gravi vizi, sicché controparte non aveva correttamente adempiuto la sua obbligazione. Chiedeva, pertanto, in via riconvenzionale il risarcimento del danno sofferto. Ammessa ed assunta la prova testimoniale all'uopo invocata, disposta ed espletata consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di pace, con sentenza depositata il 23.5.2000, rigettava l'opposizione, confermava il decreto e condannava l'ingiunta al pagamento delle spese di lite. Interponeva appello G A. , instando per la riforma della gravata sentenza. Si costituiva e resisteva l'appellato. Disposta ed espletata ulteriore consulenza d'ufficio all'esclusivo fine di quantificare all'attualità l'importo dei danni, con sentenza del 16.10.2006 il tribunale di Vallo della Lucania dichiarava la nullità della sentenza appellata, revocava l'originario decreto ingiuntivo, dichiarava integralmente compensate le ragioni di credito dall'una e dall'altra parte azionate, così rigettando le domande rispettivamente spiegate, compensava integralmente le spese del doppio grado e poneva a carico di ciascuna parte la giusta metà delle complessive spese della duplice consulenza tecnica. A fondamento della statuizione il giudice del gravame evidenziava, tra l'altro, che le parti, conformemente all'esperienza comune, quando pattuirono il prezzo complessivo di lire 3.000.000 per la commissione, intesero riferirsi al prezzo iva inclusa che non trova pertanto riscontro la fatturazione effettuata dal R. per un importo maggiore lire 3.600.000 oltre iva , non essendo stata data prova dei riferiti ulteriori lavori svolti dal R. , sia sotto il profilo dell'incarico suppletivo che sarebbe stato dato dall'A. , sia sotto il profilo della loro natura e consistenza che le fatture in atti non aiutano in tal senso . analogamente a dirsi per le bolle di accompagnamento che, quanto ai lavori, questi effettivamente furono incompleti . e non eseguiti a regola d'arte che, in ordine ai danni subiti dall'A. . il CTU . ha liquidato, all'attualità, la somma di circa” Euro 1.000,00 che risponda ad equità ritenere che quanto dovuto dal R. all'A. a titolo di danni, corrisponda a quanto dovuto dall'A. al R. a titolo di saldo del prezzo . Avverso tale sentenza ha proposto ricorso A.G. , chiedendo la cassazione dell'impugnata sentenza, con vittoria di spese, da distrarsi in favore del difensore anticipatario. L R. ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale, del pari chiedendo la cassazione della sentenza d'appello, con il favore delle spese, da distrarsi a vantaggio del difensore anticipatario. La ricorrente, a sua volta, ha depositato controricorso, onde resistere al ricorso incidentale. La ricorrente, altresì, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c All'udienza pubblica del 7 novembre 2013, nonostante la ritualità delle comunicazioni ex art. 377, 2 co., c.p.c., le parti non sono comparse. Motivi della decisione Va preliminarmente disposta, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi separatamente proposti avverso la medesima sentenza. Con il primo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c. in relazione all'art. 360, 1 co., n. 3 , c.p.c All'uopo adduce che il giudice dell'appello ha erroneamente ritenuto di liquidare il risarcimento ad ella spettante in via equitativa, e ciò benché il consulente d'ufficio avesse espressamente indicato quale fosse la somma all'uopo necessaria sia all'attualità sia al momento dei fatti così ricorso, pag. 38 . Il motivo è inammissibile e, comunque, è infondato. È fuor di dubbio che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l'esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione censurata cfr. , tra le altre, Cass. 17.7.2007, n. 15952 . Ebbene, siccome meglio si espliciterà in sede di vaglio degli ulteriori motivi fondanti il ricorso principale, la disamina del passaggio motivazionale dell'impugnata sentenza nel cui ambito si colloca l'espressione risponda ad equità , induce a reputare, univocamente, che il giudice del gravame non ha inteso affatto, allorché ha adoperato la riferita espressione, far ricorso al parametro equitativo di cui all'art. 1226 c.c. ai fini della liquidazione del danno sofferto dall'A. . Ha inteso, piuttosto, nel solco delle risultanze delle consulenze d'ufficio all'uopo disposte, fornire rappresentazione semantica del buon governo che delle medesime risultanze ha reputato di operare. In tal guisa il motivo de quo agitur non risulta correlato alla ratio decidendi . È indubitabile, in ogni caso, che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno alcuna efficacia vincolante per il giudice, sicché l'organo giudicante può legittimamente disattenderle ancorché sulla scorta di una valutazione critica ancorata alle risultanze processuali, congruamente e logicamente motivata cfr . Cass. 3.3.2011, n. 5148 . In questi termini, seppur si ammettesse - il che è da escludere, siccome si enuncerà in sede di esame dei successivi motivi di impugnazione - che il tribunale di Vallo della Lucania abbia disatteso le conclusioni cui, ai fini della quantificazione dell'importo del nocumento sofferto dall'A. , era pervenuto l'ausiliario, in nessun modo siffatta circostanza varrebbe ad integrare, di per sé, violazione di legge e, segnatamente, violazione dell'art. 1226 c.c Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce, nel segno dell'art. 360, 1 co., n. 5 , c.p.c., il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. All'uopo adduce che il giudice di secondo grado, sebbene avesse espressamente condiviso la consulenza tecnica espletata in secondo grado, ha poi ritenuto di disattenderne le risultanze, approdando ad una determinazione equitativa del danno così ricorso, pag. 40 che la contraddittorietà della motivazione sarebbe del tutto evidente, giacché non è dato comprendere come le risultanze della CTU espletata in appello siano state dapprima condivise perché immuni da vizi logici e tecnici , e poi disattese . così ricorso, pag. 41 che, al contempo, pur nella ipotesi in cui il ricorso all'equità fosse da ritenersi legittimo, va evidenziata l'omessa e comunque insufficiente motivazione afferente il fatto, decisivo e controverso, della quantificazione del risarcimento del danno operata dal tribunale così ricorso, pag. 45 che il giudice non ha dato adeguata contezza di quali fossero gli elementi sulla scorta dei quali egli ha ritenuto di fissare il risarcimento del danno espressamente parametrato alla spesa necessaria per eliminare i vizi riscontrati nella indicata somma di lire 500.000 così ricorso, pag. 46 . Con il terzo motivo, in relazione all'art. 360, 1 co., n. 3 , c.p.c., l'A. deduce la violazione dell'art. 2226, 3 co., c.c. e dell'art. 1668 c.c All'uopo adduce che il tribunale di Vallo della Lucania ha compensato il credito vantato da essa ricorrente a titolo di risarcimento del danno con quello vantato dal R. a titolo di prezzo residuo, valorizzando il primo all'epoca della conclusione del contratto così ricorso, pag. 48 ed ha soggiunto che il tribunale, prima di operare la compensazione impropria avrebbe dovuto attualizzare il risarcimento del danno al momento della decisione, calcolare sullo stesso gli interessi compensativi e sottrarre dalla somma così ottenuta il residuo del prezzo senza interesse alcuno per effetto della svolta eccezione di inadempimento così ricorso, pag. 48 . Gli enunciati motivi appaiono intimamente connessi, sicché se ne giustifica la contestuale disamina. Al riguardo va in linea preliminare rimarcato che la ragione di inammissibilità - difetto di correlazione alla ratio decidendi - involgente il primo motivo di ricorso e già palesata, induce, di conseguenza, a reputar analogamente inammissibili i profili del secondo motivo con cui si prospetta il contraddittorio - rispetto ai postulati della consulenza pur in tesi integralmente condivisi - asserito ricorso al parametro di liquidazione ex art. 1226 c.c. nonché l'insufficiente esplicitazione delle ragioni atte a fondare il dictum asseritamente affermato alla stregua di tal medesimo paradigma codicistico. Su tale scorta va evidenziato che il giudice del gravame ha fatto propri gli esiti degli accertamenti condotti in primo grado dal consulente in quella sede officiato costui, in particolare, a seguito dell'accesso avvenuto in data 14.3.1994, aveva acclarato che, eccezion fatta per la laccatura, che pur all'atto del sopralluogo si era presentata in pessime condizioni, gli ulteriori difetti riscontrati scaturivano senz'altro da un'imperfetta esecuzione delle opere. Va evidenziato altresì che il giudice del gravame ha fatto propri gli esiti degli accertamenti condotti in secondo grado dal consulente già nominato in prime cure e nuovamente sollecitato in grado d'appello a prestare il suo ausilio costui, in particolare, aveva concluso il suo mandato nel senso che per sistemare gli infissi e renderli idonei all'uso ed accettabili sotto l'aspetto estetico era necessaria una somma non superiore a lire 1.500.000, all'attualità occorrerebbe una somma di circa 1.000 Euro . Va evidenziato inoltre che il giudice del gravame ha dato atto, in aderenza allo stato dei luoghi riscontrato dal consulente in seconde cure, che le porte eseguite da L R. erano state rimosse e sostituite con altre. Va evidenziato ancora che il giudice del gravame ha dato atto che in seconde cure l'ausiliario non aveva provveduto all'analitica quantificazione dei costi necessari onde eliminare i vizi riscontrati in prime cure. In tal guisa non solo è da escludere che il giudice d'appello abbia contraddittoriamente disatteso gli esiti della disposta consulenza, non solo è da escludere che non abbia dato contezza ovvero che abbia dato contezza insufficiente delle ragioni fondanti la propria statuizione, ma è da disconoscere, in pari tempo, che abbia contraddittoriamente governato il complesso delle risultanze istruttorie in sede di quantificazione e di parificazione delle contrapposte ragioni di credito. Più esattamente il tribunale di Vallo della Lucania, concisamente nondimeno univocamente, ha preso atto che il consulente in seconde cure aveva quantificato in cifra approssimativamente pari ad Euro 1.000,00 il pregiudizio sofferto dall'A. , ossia in cifra tendente e non superiore ad Euro 1.000,00 del resto il consulente aveva stimato i danni all'epoca dei fatti in una somma non superiore a lire 1.500.000 ed ha liquidato sulla scorta di tale misura il nocumento sofferto dalla ricorrente principale al riguardo va imprescindibilmente rimarcato che l'espressione quanto dovuto dal R. all'A. a titolo di danni , ancorché sintetica, è certo omnicomprensiva, sicché si qualifica come inglobante pur gli interessi cui la ricorrente principale aveva diritto. Al contempo, il giudice di secondo grado, del pari concisamente pur tuttavia univocamente, ha determinato in eguale importo - significativa è l'espressione corrisponda a - il residuo credito del ricorrente incidentale l'espressione quanto dovuto dall'A. al R. a titolo di saldo del prezzo , sintetica ma parimenti omnicomprensiva, si qualifica similmente come inglobante anche gli interessi cui il ricorrente incidentale aveva diritto. In questi termini la prospettazione della ricorrente principale, secondo cui il giudice di secondo grado non avrebbe dato conto degli elementi alla cui stregua avrebbe fissato in lire 500.000 il quantum del risarcimento spettante all'A. , è doppiamente destituita di fondamento ed, ancor prima, priva di correlazione con il reale impianto della motivazione dell'assunta decisione. Nei medesimi termini, inoltre, la duplice prospettazione - di cui al terzo motivo - della ricorrente principale, secondo cui il tribunale di Vallo della Lucania avrebbe determinato il quantum del proprio credito risarcitorio all'epoca della conclusione del contratto e non avrebbe calcolato sul medesimo credito gli interessi compensativi, è egualmente destituita di fondamento ed, ancor prima, priva di correlazione con il reale impianto della motivazione. Negli esposti termini, infine, la prospettazione - di cui al terzo motivo - della ricorrente principale, secondo cui il giudice di seconde cure avrebbe dovuto sottrarre dalla somma così ottenuta il residuo del prezzo senza interesse alcuno per effetto della svolta eccezione di inadempimento , è errata in diritto. Difatti, in questa sede non può che esser reiterato l'insegnamento di questa Corte a tenor del quale la parte contrattuale che subisce l'avversa eccezione di inadempimento, benché non abbia diritto agli interessi moratori, ha di certo diritto agli interessi compensativi cfr. Cass. 23.3.1991, n. 3184 Cass. 9.1.1990, n. 1 Cass. 20.8.1986, 5105 . La decisione del giudice di secondo grado, in rapporto ai motivi tutti fondanti il ricorso principale, risulta, quindi, congruamente motivata ed immune da vizi e logici e giuridici. Con il primo motivo il ricorrente incidentale censura la statuizione del giudice del gravame ai sensi dell'art. 360, 1 co., n. 5 , c.p.c. per omessa ed insufficiente motivazione. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale censura la statuizione di secondo grado, in relazione all'art. 360, 1 co., n. 3 , c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 d.p.r. 627/1978 e 2697 c.c Ambedue i motivi appaiono strettamente connessi il che ne suggerisce la contestuale disamina. Entrambi i motivi, in ogni caso, risultano inammissibili. Per un verso, in ordine al primo, va in questa sede ribadito che il requisito prescritto all'art. 366 bis -, seconda parte, c.p.c. applicabile ratione temporis al caso di specie per il motivo di cui al n. 5 del 1 co. dell'art. 360 c.p.c. - cioè la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione - deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all'esito di un'attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all'osservanza del requisito dell'art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione cfr. Cass. ord. 18.7.2007 n. 16002 . In tal guisa si evidenzia che unicamente la disamina della complessiva rappresentazione del primo motivo fondante il ricorso incidentale induce a reputare che L R. assume - sostanzialmente - che il tribunale, in spregio alle risultanze istruttorie, avrebbe immotivatamente disconosciuto l'acquisito riscontro probatorio degli aggiuntivi lavori all'uopo commissionatigli e da lui eseguiti. Per altro verso, in ordine e al primo motivo e al secondo motivo del ricorso incidentale, va rimarcato che né l'uno né l'altro si risolvono in una specifica contestazione direttamente attinente alla motivazione dell'impugnata statuizione. Difatti, il giudice del gravame ha opinato nel senso che non fosse stata acquisita prova idonea a dimostrare - prima ancora che la natura e consistenza degli asseriti ulteriori lavori - che siffatte opere aggiuntive fossero state oggetto di una distinta e suppletiva pattuizione anzi il giudice di secondo grado non ha escluso che tali supposti aggiuntivi lavori fossero quel resi necessari per eliminare i vizi dei manufatti , nel qual caso - ha soggiunto - non spetterebbe al R. alcun maggior compenso . Segnatamente il giudice del merito ha ritenuto inidonee ai fini dell'anzidetta dimostrazione - non già della consegna - e le fatture e le bolle di accompagnamento. Viceversa, il ricorrente incidentale si è limitato, da un canto, alla mera riproposizione del materiale probatorio già vagliato dal giudice del merito cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione e, dall'altro, ha spiegato censure specifiche la bolla di accompagnamento sottoscritta dalla parte accipiente dimostra che questa ha accettato la consegna dei beni e quindi ha voluto conseguirli . Quindi, in presenza di un documento del genere, l'indagine sulla sussistenza della consegna dei manufatti ivi contemplati non può certo essere condotta rilevando che sulla bolla non ne è stato indicato il prezzo così ricorso incidentale, pag. 21 per nulla attinenti al passaggio della motivazione ove, appunto, si è affermata la mancata acquisizione di idoneo riscontro probatorio della stipulazione di una distinta e suppletiva pattuizione avente ad oggetto gli asseriti aggiuntivi lavori. La reciproca soccombenza giustifica l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi compensa integralmente tra le parti in lite le spese del presente grado.