Controversa la proprietà del lastrico solare: valutazione dell’interpretazione del contratto …

Al fine di far valere una violazione sotto il profilo di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26992, depositata il 2 dicembre 2013. Il caso. I proprietari di un immobile posto al piano terra avevano convenuto in giudizio la proprietaria di quello confinante questi due immobili erano precedentemente appartenuti a un’unica proprietaria. In seguito, era sorto contrasto in ordine alla proprietà di un lastrico solare, dal momento che la convenuta sosteneva che lo stesso, in quanto sovrastante l’immobile da lei acquistato, era di sua proprietà esclusiva. Gli attori avevano chiesto venisse dichiarato che il lastrico solare, per la parte soprastante alla proprietà della convenuta, apparteneva pro indiviso ad essi attori, con la conseguente condanna della confinante alla rimozione della condotta d’acqua potabile ivi installata. La Corte di Appello aveva rigettato la domanda così come proposta in primo grado. A sostegno della decisione adottata, i giudici territoriali avevano rilevato che, sul presupposto che il contestato lastrico solare costituiva parte integrante della struttura dell’immobile della convenuta, nel contratto di compravendita a cui aveva fatto riferimento la parte attrice difettava l’individuazione dell’oggetto del trasferimento come comprensivo anche del controverso lastrico solare, non potendosi ricavare per implicito dal contesto dell’atto medesimo. Pertanto, per la Corte distrettuale, trattandosi di diritti immobiliari, la previsione contrattuale non consentiva di poter ritenere avvenuto, in assenza di un’esplicita attribuzione della titolarità della parte del bene controverso e stante l’estraneità della stessa alla struttura del bene venduto, il relativo trasferimento del diritto domenicale. Avverso tale sentenza, gli attori originari hanno proposto ricorso per cassazione, denunciando l’erronea interpretazione del contratto. Con un’ulteriore censura, i ricorrenti hanno dedotto insufficienza della motivazione circa il fatto decisivo e controverso del giudizio, consistito nell’aver ritenuto indispensabile il trasferimento della proprietà del lastrico solare, derivando il titolo dall’operata cessione del diritto di superficie. La Suprema Corte ha ritenuto le censure prive di fondamento. Il Collegio, innanzitutto, ha rilevato che, avendo i ricorrenti dedotto l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stato propriamente necessario, nel caso di specie, che gli stessi avessero svolto una sintesi del vizio motivazionale dedotto. Oltretutto, quale ulteriore profilo di inammissibilità, è stato evidenziato che i ricorrenti, nel censurare l’interpretazione dell’indicato atto di trasferimento, non hanno posto riferimento ad alcun criterio ermeneutico che sarebbe stato in concreto violato, riportando, necessariamente, a tal fine, anche i passaggi dell’atto ritenuti inesattamente interpretati. Infatti, gli Ermellini hanno richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità, in base alla quale, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. Il contratto non ha un significato univoco tale da poter ritenere avvenuto il trasferimento della proprietà controversa. Inoltre, Piazza Cavour ha avallato il percorso logico di secondo grado, il quale aveva considerato che nel contratto di vendita originario non era stata inserita alcuna idonea indicazione dell’oggetto del trasferimento che fosse tale da far ritenere ricompreso in esso anche il lastrico solare poi divenuto controverso, non potendo certamente dedursi ciò, per implicito, dalla prevista autorizzazione, nel medesimo atto di alienazione, in favore degli acquirenti della facoltà di sovraedificare . Dunque, per il S.C., la Corte territoriale ha esattamente rilevato che la disposizione contenuta nell’atto in discussione non aveva certamente un significato univoco ai fini di poter ritenere avvenuto il trasferimento della proprietà immobiliare nei termini indicati dai ricorrenti, potendo, al massimo, la suddetta previsione considerarsi funzionale alla costituzione di un diritto dal contenuto più limitato di quello di proprietà, ovvero del diritto di superficie . Del resto, secondo concorde giurisprudenza, è stato ribadito che per stabilire esattamente l’unità immobiliare contesa, come nel caso di specie, la base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita proprio dall’esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 novembre - 2 dicembre 2013, n. 26992 Presidente Triola – Relatore Carrato Svolgimento del processo Con atto di citazione, notificato il 19 dicembre 1992, i sigg. P.D. e P.R. esponevano - di essere proprietari di un immobile ubicato nel centro urbano di Ostuni, posto al piano terra e con accesso dal civico n. omissis , acquistato con contratto di compravendita del 7 agosto 1991 - che detto immobile confinava con un altro, di proprietà di C.F. - che entrambi gli immobili erano precedentemente appartenuti ad un'unica proprietaria T.O. , la quale, con rogito del 1966, aveva venduto a Pe.Pa. e M.C. l'immobile poi trasferito ad essi attori, con la pattuizione che, nel sopraedificare sul tetto della propria casa, essi acquirenti avrebbero potuto appoggiare l'erigenda costruzione sul muro di altro fabbricato di proprietà della venditrice T.O. destinato a mulino per sfarinare , prospiciente sul tetto dell'immobile oggetto dell'acquisto, chiudendo l'apertura, avente le caratteristiche di luce, esistente nel muro medesimo - che, con successivo atto di compravendita del 12 aprile 1969, la T.O. aveva venduto a C.F. il locale seminterrato con accesso da v. omissis , contiguo all'immobile poi divenuto di proprietà di essi attori - che, in virtù della sequenza degli atti come appena descritta, si evinceva che il lastrico solare ceduto ai coniugi Pe. - M. e, poi, pervenuto ad essi attori sovrastava anche il predetto locale seminterrato acquistato dalla C. . Tanto premesso e sul presupposto che era sorto contrasto in ordine alla proprietà del menzionato lastrico solare, dal momento che la C. sosteneva che lo stesso, in quanto sovrastante l'immobile da lei acquistato, era di sua proprietà esclusiva, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brindisi, la medesima C.F. chiedendo che venisse dichiarato che il lastrico solare, per la parte soprastante alla proprietà della convenuta, apparteneva pro indiviso ad essi attori, con la conseguente condanna della C. alla rimozione della condotta d'acqua potabile ivi installata, invocando, in subordine, di accertare che la conduttura stessa non si trovava a distanza legale, con relativa condanna della medesima convenuta a rimuoverla ristabilendo la distanza minima prescritta per legge. Nella costituzione della convenuta che, oltre ad instare per il rigetto della domanda principale, formulava, a sua volta, domanda riconvenzionale di intervenuto acquisto per usucapione della proprietà del lastrico solare dedotto in controversia e, subordinatamente, della servitù di conduttura di acqua potabile , la Sezione stralcio del Tribunale adito, con sentenza n. 143 del 2004 depositata il 4 febbraio 2004 , rigettava la domanda riconvenzionale avanzata dalla C. e, in accoglimento della domanda principale, dichiarava la sussistenza del diritto dominicale vantato dagli attori, con conseguente ordine, a carico della convenuta, della rimozione delle tubazioni di adduzione dell'acqua potabile presenti sul lastrico solare, regolando le spese giudiziali in base al principio della soccombenza. Interposto appello da parte della C. , nella resistenza degli appellati che, a loro volta, proponevano appello incidentale circa la limitazione dell'oggetto della domanda di accertamento petitorio , la Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 497 del 2007 depositata il 9 luglio 2007 , accoglieva il gravame principale ed, in riforma dell'impugnata sentenza, rigettava la domanda così come proposta in primo grado dagli appellati, i quali venivano anche condannati alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio. A sostegno dell'adottata decisione, la Corte territoriale rilevava che, sul presupposto che il contestato lastrico solare costituiva parte integrante della struttura dell'immobile della convenuta, nel contratto di compravendita del 29 agosto 1966 a cui avevano posto riferimento gli originari attori P. difettava l'individuazione dell'oggetto del trasferimento come comprensivo anche del controverso lastrico solare, non potendosi ricavare per implicito dal contesto dell'atto medesimo pertanto, trattandosi di diritti immobiliari, la previsione contrattuale non consentiva di poter ritenere avvenuto, in assenza di un'esplicita attribuzione della titolarità della parte del bene controverso e stante l'estraneità della stessa alla struttura del bene venduto, il relativo trasferimento del diritto dominicale. Avverso detta sentenza di appello notificata l'11 ottobre 2007 hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione i sigg. P.D. e P.R. , articolato in tre motivi. La sig.ra C.F. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato l'erronea interpretazione del contratto intercorso in data 29 agosto 1966 tra T.O. ed i coniugi Pe.Pa. e M.C. relativamente al lastrico solare sovrastante il vano terraneo del civico omissis , per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto contraria a logica e comunque incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo del percorso logico-giuridico seguito dal giudice di appello per giungere alla decisione impugnata. Ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile nella fattispecie, risultando l'impugnata sentenza pubblicata il 9 luglio 2007 i ricorrenti hanno precisato il fatto controverso in ordine al quale hanno dedotto l'inadeguatezza della motivazione con riferimento alla parte in cui la Corte leccese aveva ritenuto indispensabile allo scopo il trasferimento, dalla cedente T. agli acquirenti Pe. - M. , della proprietà del lastrico solare laddove, invece, tenuto conto che trattavasi non di autentico lastrico solare ma di semplice copertura o tetto del vano terraneo al civico 48, la costruzione in favore degli stessi acquirenti del diritto di sopraelevazione o di sopralzo avrebbe comportato la vanificazione dell'effetto preteso dalla cessione del lastrico solare, peraltro inesistente. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto un ulteriore vizio di illogicità e/o insufficienza della motivazione della sentenza impugnata circa il fatto decisivo e controverso del giudizio consistito nell'aver ritenuto indispensabile il trasferimento, dalla cedente T. agli acquirenti coniugi Pe. - M. , della proprietà del lastrico solare peraltro insussistente nella specie , derivando il titolo dall'operata cessione del diritto di superficie e ciò anche al fine di conseguire gli effetti della eliminazione o dell'arretramento della condotta di acqua potabile, illecitamente posta in essere dalla C. . 3. Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c., avuto riguardo alla supposta illegittimità posta in essere dalla Corte di secondo grado nel rendere una pronuncia in base alla ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata da essa istante. Ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. risulta indicato il seguente quesito di diritto è ben vero che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, come stabilito dall'art. 112 c.p.c., implica per il giudicante il divieto di attribuire alla parte istante un bene non richiesto o di emettere una statuizione che non trovi rispondenza nella domanda, ma può il giudice rendere la stessa pronuncia in base ad una ricostruzione dei fatti di causa, consentita dalle risultanze istruttorie già acquisite, autonoma rispetto a quella prospettata ed in base ad una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante? . 4. Le prime due censure - esaminabili congiuntamente siccome strettamente connesse - sono prive di fondamento devono, pertanto, essere respinte. Rileva, innanzitutto, il collegio che, avendo i ricorrenti dedotto l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stato propriamente necessario, nel caso di specie, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile, risultando la sentenza della Corte di appello pubblicata il 9 luglio 2007 , che gli stessi avessero svolto una sintesi del vizio motivazionale dedotto ovvero esposto, in forma autonoma e congrua, un quadro riassuntivo delle ragioni per le quali la dedotta carenza della motivazione l'avrebbe resa inidonea a giustificare la decisione , non risultando bastevole, in proposito, la mera esplicitazione del fatto controverso, invece indispensabile solo in caso di proposizione del vizio di omessa o contraddittoria motivazione. Oltretutto, quale ulteriore profilo di inammissibilità, si evidenzia che i ricorrenti, nel censurare l'interpretazione dell'indicato atto di trasferimento, non pongono riferimento ad alcun criterio ermeneutico che sarebbe stato in concreto violato, riportando, necessariamente, a tal fine, anche i passaggi dell'atto ritenuti inesattamente interpretati. In merito, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve porsi in risalto che, in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. Al di là degli evidenziati profili, occorre, in ogni caso, rilevare l'adeguatezza del percorso logico seguito dalla Corte territoriale nel giustificare la decisione adottata con la sentenza qui impugnata. Innanzitutto, occorre mettere in risalto che - per quanto evincibile dall'univoco contenuto dello svolgimento del processo riportato nella sentenza impugnata e richiamato in narrativa nonché alla stregua delle incontestate conclusioni precisate sia all'esito del giudizio di primo grado che di quello di appello v. pag. 2 della sentenza della Corte leccese - la domanda originariamente proposta dai sigg. P. riguardava l'ottenimento della riconoscimento del loro diritto di proprietà relativamente al lastrico solare sovrastante il vano sito in Ostuni, di proprietà della C. , senza che, perciò, il petitum della domanda investisse propriamente l'accertamento del loro diritto a sopraedificare. Ciò posto e circoscritto il thema decidendum nei suddetti termini, bisogna evidenziare che la Corte salentina, una volta precisato che il lastrico solare oggetto della controversia costituiva parte integrante della struttura dell'immobile trasferito alla C. ed era, quindi, estraneo a quello acquistato dai P. , procedendo alla valutazione degli atti di trasferimento ha, con motivazione adeguata, rilevato che nel contratto di vendita del 29 agosto 1966 al quale hanno posto riferimento i ricorrenti , con il quale l'originaria proprietaria comune ebbe a vendere ai coniugi Pe. - M. l'immobile poi alienato agli stessi P. , non era stata inserita alcuna idonea indicazione dell'oggetto del trasferimento che fosse tale da far ritenere ricompreso in esso anche il lastrico solare poi divenuto controverso, non potendo certamente dedursi ciò, per implicito, dalla prevista autorizzazione, nel medesimo atto di alienazione, in favore degli acquirenti della facoltà di sovraedificare. A quest'ultimo riguardo, la Corte di secondo grado ha esattamente rilevato che tale disposizione contenuta nell'atto di provenienza non aveva certamente un significato univoco ai fini di poter ritenere avvenuto il trasferimento della proprietà immobiliare nei termini indicati dai P. , potendo, tutta più, la suddetta previsione considerarsi funzionale alla costituzione di un diritto dal contenuto più limitato di quello di proprietà, ovvero del diritto di superficie. Del resto, è risaputo che - secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte - per l'individuazione del bene rivendicato, del quale si chiede il rilascio ovvero per stabilire esattamente l'unità immobiliare contesa, come nel caso di specie , la base primaria dell'indagine del giudice di merito è costituita proprio dall'esame e dalla vantazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà a tal proposito, si osserva, altresì, che il giudizio sulla corrispondenza o meno del bene domandato con quello descritto nel titolo costituisce un accertamento di fatto che il giudice di legittimità non può sindacare, qualora abbia verificato la correttezza dei criteri ermeneutici adottati dal giudice del merito e l'adeguatezza logico-giuridica della motivazione che ne giustifica i risultati cfr. Cass. n. 4068 del 1975 e Cass. n. 6066 del 2001 . 5. Il terzo motivo è, invece, inammissibile perché sorretto da un quesito di diritto del tutto generico siccome sganciato dalla concreta fattispecie dalla quale evincere la possibile esclusione della violazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c., in base all'autonoma ricostruzione della vicenda giudiziaria da parte del giudice del merito e, in ogni caso, è da qualificarsi privo di fondamento perché - alla stregua dell'effettivo petitum dedotto in giudizio in correlazione con il titolo della domanda fatto valere - il giudice adito non avrebbe potuto che pronunciarsi sulla fondatezza dell'azione di rivendicazione della proprietà sul lastrico solare così come proposta e ribadita anche in sede di precisazione delle conclusioni e non su una diversa domanda ponente riferimento al diverso oggetto riconducibile al riconoscimento di un supposto diritto di superficie in favore degli attuali ricorrenti. Di conseguenza, anche il giudice di appello non avrebbe che potuto mantenersi nell'ambito delle questioni riproposte con il gravame principale e con quello incidentale, con l'obbligo di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi ed osservando il divieto di introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto e, quindi, pronunciarsi su un oggetto estraneo all'effettivo thema decidendum dedotto in controversia. 6. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti con vincolo solidale al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 applicabile nel caso di specie in virtù dell'art. 41 dello stesso D.M. cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.