Contraddittorietà della pronuncia? Solo se le argomentazioni sono contrastanti

Il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistono incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22589, depositata il 3 ottobre 2013. Il caso. Una società conveniva in giudizio un cittadino statunitense esponendo di aver stipulato con quest’ultimo un contratto che prevedeva il pagamento di alcune somme a suo favore e che era sorta tra loro una controversia in relazione alla necessità di effettuare su tali importi la ritenuta fiscale del 30%. Chiedeva pertanto, che fosse accertata la legittimità di tale ritenuta. Si costituiva il convenuto eccependo di essere cittadino statunitense e di non aver mai soggiornato in Italia per un periodo superiore a 183 giorni, per tale ragione sosteneva che i predetti redditi non erano assoggettabili ad imposizione in questo Stato. Con separato atto di citazione un nuovo giudizio veniva promosso dal lavoratore che citava la società ritenendo che la stessa si era resa inadempiente nei suoi riguardi, perché aveva omesso di versargli l’intero corrispettivo pattuito per l’attività da lui svolta. Anche in questo caso la società si costituiva in giudizio eccependo l’inesigibilità del corrispettivo a causa della mancata iscrizione del lavoratore nell’albo dei mediatori. I due giudizi venivano riuniti. Il Tribunale rigettava l’eccezione relativa alla mancata iscrizione all’albo dei mediatori escludendo che l’attività prestata fosse qualificata come mediazione. Inoltre, riteneva che le somme spettanti non fossero assoggettabili a ritenuta fiscale. Anche in appello il giudizio aveva lo stesso esito, pertanto la società proponeva ricorso per cassazione. Giudicato interno? No, se la questione viene affrontata anche implicitamente. La soccombente censurava l’omessa pronuncia della Corte di merito in relazione all’eccezione di giudicato interno da essa sollevata nella comparsa conclusionale di secondo grado, in cui aveva evidenziato che si sarebbe verificato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nella parte in cui avrebbe affermato non operante la ritenuta alla fonte, trattandosi di provvigioni inerenti al rapporto di mediazione. La Suprema Corte invero, ritiene che alcuna omessa pronuncia è da imputare alla Corte territoriale in quanto emerge chiaramente che quest’ultima ha implicitamente affrontato la questione, disattendendo l’eccezione di giudicato interno sollevata dall’attuale ricorrente. Difatti, la sentenza impugnata si sofferma particolarmente sulla qualificazione giuridica del rapporto intercorso la Corte d’appello ha evidenziato che non ha alcun rilievo la circostanza che il Tribunale abbia affermato la non applicazione della ritenuta fiscale del compenso al lavoratore. A riprova di ciò la Corte capitolina ha ritenuto che la non assoggettabilità a ritenuta fiscale non trova il suo necessario presupposto nella riconducibilità del rapporto intercorso tra le parti alla fattispecie di cui all’art. 1754 c.c. Qualificazione giuridica del rapporto? Accertamenti non valutabili in sede di legittimità. Ancora un ulteriore profilo sul quale si incentrano le argomentazioni della società ricorrente concerne la configurabilità nella fattispecie di un contratto di mediazione, sostenendo che tale valutazione sarebbe illegittima vista l’evidenza emergente dal tenore letterale delle pattuizioni. In particolare la ricorrente lamenta che il giudice di merito abbia erroneamente interpretato e applicato gli artt. 1754 e ss. c.c., disciplinanti la mediazione. Anche questa doglianza viene disattesa dalla Suprema Corte la quale ritiene che la qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti è stata operata dal giudice di merito sulla scorta di accertamenti di fatto allo stesso riservati e non rivalutabili in sede di legittimità. Inoltre, la ricostruzione operata dal giudice è incensurabile in tale sede allorquando le censure si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione dell’attività negoziale oppure nella contrapposizione di un’interpretazione della medesima a quella, diversa, operata dal giudice del merito. La Corte di cassazione dunque rigetta il ricorso proposto e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 aprile - 3 ottobre 2013, numero 22589 Presidente Finocchiaro – Relatore Scrima Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 7 luglio 2001, la Cogianco S.r.l. esponeva che in data 2 novembre 2000 aveva stipulato con B.D.L. un contratto che prevedeva, fra l'altro, il pagamento di alcune somme in favore del B. e che era sorta controversia tra le parti in relazione alla necessità di effettuare su tali importi la ritenuta fiscale del 30% infatti, il consulente fiscale della società attrice aveva espresso il parere che la prestazione del B. dovesse essere assoggettata alla ritenuta alla fonte ai sensi dell'art. 20 D.P.R. numero 917 del 1986, poiché la stessa esulava da quelle indicate nella Convenzione Italia-USA e che il B. aveva, invece, espresso parere contrario. Precisato che aveva provveduto al pagamento della somma di lire 500 milioni, sulla quale aveva operato la trattenuta di legge di lire 150 milioni , la Cogianco S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il B. e chiedeva che fosse accertata la legittimità della indicata ritenuta fiscale, con ogni consequenziale pronuncia. Si costituiva il convenuto che rappresentava di essere cittadino statunitense e di non aver mai soggiornato in Italia per un periodo superiore a 183 giorni sosteneva, pertanto, che i redditi prodotti in Italia non erano assoggettabili ad imposizione in questo Stato, ai sensi della Convenzione Italia-USA del 17 aprile 1984. Con altro atto di citazione, notificato il 26 luglio 2002, il B. conveniva in giudizio, dinanzi allo stesso Tribunale, la Cogianco S.r.l. e, premesso che detta società si era resa inadempiente al contratto del 2 novembre 2000, omettendo di versargli l'intero corrispettivo pattuito per l'attività di consulenza e mediazione da lui svolta, ne chiedeva la condanna al pagamento di quanto ancora dovuto, pari a lire 1.280.000.000. La Cogianco S.r.l., costituendosi, eccepiva, per quanto ancora rileva in questa sede, l'inesigibilità del corrispettivo, attesa la mancata iscrizione del B. nell'albo dei mediatori e concludeva chiedendo il rigetto della domanda. Riuniti i giudizi, il Tribunale, con sentenza del 29 agosto 2006, per quanto ancora rileva in questa sede, rigettava l'eccezione relativa alla mancata iscrizione del B. all'albo dei mediatori, escludendo che l'attività prestata dallo stesso fosse qualificabile di mediazione concludeva, quindi, per la spettanza dell'intero corrispettivo pattuito e per la fondatezza della domanda del B. di pagamento dell'importo residuo ancora dovuto, pari a Euro 661.064,83 e, infine, in base alla nota dell'Agenzia delle Entrate del 24.9.2004, con cui quest'ultima aveva fornito le informazioni richieste dal Tribunale con ordinanza del 6 aprile 2004, e della documentazione prodotta, dichiarava che le somme spettanti al B. non erano assoggettabili a ritenuta fiscale. Avverso tale decisione la Cogianco S.r.l. proponeva appello, cui resisteva il B. . La Corte di appello di Roma, con sentenza del 18 febbraio 2010, rigettava il gravame. Avverso la sentenza della Corte di merito la IMFINE S.r.l. nuova denominazione assunta dalla Cogianco S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre articolati motivi. Ha resistito con controricorso il B. . La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Al ricorso in esame non si applica il disposto di cui all'art. 366 bis c.p.c. - inserito nel codice di rito dall'art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40 ed abrogato dall'art. 47, comma 1, lett. d della legge 18 giugno 2009, numero 69 - in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata 18 febbraio 2010 , pur se la parte ricorrente ha, comunque, formulato per mera completezza espositiva - come espressamente specificato - i quesiti relativi ad ogni motivo di ricorso. 2. Con il terzo motivo pur se indicato, per evidente lapsus calami con il numero 1, v. p. 83 del ricorso - che va esaminato preliminarmente, seguendo l'ordine logico — la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 161, secondo comma, c.p.c. nonché dell'art. 119 disp. att. c.p.c art. 360, primo comma, numero 4, c.p.c. , assume che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità per essere diverso il relatore dall'estensore della stessa, senza che vi sia stata motivata sostituzione. 2.1. Il motivo é infondato alla luce del principio più volte affermato da questa Corte e secondo cui l'estensore della motivazione della sentenza non è necessariamente identificabile nel relatore della causa, in quanto il presidente del collegio può affidare la stesura della motivazione a giudice diverso dal relatore e tale disposizione non deve neppure risultare da uno specifico provvedimento ma unicamente e indirettamente a posteriori tramite l'indicazione della particolare veste in cui il giudice non relatore sottoscrive la decisione v. Cass. 21 gennaio 2008, numero 1163 Cass. 5 agosto 2003, numero 11831 Cass. 17 febbraio 1994, numero 1521 . Nel caso di specie dalla stessa sentenza emerge chiaramente che della stessa è stato relatore il dott. Bruno Bianchini ed estensore la dott.ssa Emilia Biotta. 3. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 112 c.p.c, nullità della sentenza, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su punti decisivi della controversia. In particolare la Imfine S.r.l. censura l'omessa pronuncia della Corte di merito in relazione all'eccezione di giudicato interno da essa sollevata nella comparsa conclusionale del secondo grado in cui aveva evidenziato che, non avendo essa stessa appellato la sentenza di primo grado sul punto e non avendo il B. proposto appello incidentale, si sarebbe verificato il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale nella parte in cui avrebbe affermato non operante la ritenuta alla fonte trattandosi di provvigioni inerènti al rapporto di mediazione v. ricorso p. 22 e che pronunciandosi per la non applicabilità ai compensi del B. della ritenuta di acconto, aveva, per l'effetto, così implicitamente qualificato il rapporto inter partes come avente natura di contratto di mediazione v. quesito a p. 46 del ricorso . Assume la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe sul punto omessa e comunque insufficiente, incongrua, inadeguata e contraddittoria, laddove ha asserito che l'ambito di applicazione della Convenzione Italia-Usa é tale da ricomprendere le attività del B. , quale che sia la natura dell'attività resa dallo stesso. 3.1. Il motivo é infondato. Osserva la Corte che non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione o di un'eccezione ritualmente sollevata o rilevabile d'ufficio , quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise - sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza - in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza arg. ex Cass. 24 giugno 2005, numero 13649 . Dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte di merito ha implicitamente disatteso l'eccezione di giudicato interno sollevata dall'attuale ricorrente. Al riguardo, basta evidenziare che già nel riportare lo svolgimento del processo i giudici di appello affermano che Il Tribunale . respingeva altresì l'eccezione relativa alla mancata iscrizione del B. all'albo dei mediatori, escludendo che l'attività prestata dallo stesso fosse qualificabile di mediazione v. sentenza impugnata, p. 4 nei motivi della decisione, poi, i predetti giudici affermano che Il Tribunale ha ritenuto che le parti abbiano in tal modo posto in essere un contratto atipico, con il quale il B. si obbligò a prestare un'attività complessa comprensiva fra l'altro di prestazioni assimilabili a quelle del mandatario ed anche di mediatore, ma non limitate a mettere in relazione le parti. Esclusa la riconducibilità dell'attività del B. a quella di semplice mediatore ha quindi concluso per l'irrilevanza della mancata iscrizione dello stesso nell'albo dei mediatori . A tanto deve aggiungersi che, proprio per la non ritenuta sussistenza, sia pure per implicito, del giudicato invocato, invece, dalla Imfin S.r.l. in relazione della parte della sentenza di primo grado, in cui il Tribunale avrebbe affermato trattarsi di provvigioni inerenti al rapporto di mediazione , la Corte di appello di Roma evidenzia che sulla qualificazione del rapporto verte l'appello affermazione, questa, che disattende chiaramente, sia pure - come già detto - per implicito, l'eccezione di giudicato. Ed alla qualificazione giuridica del rapporto in questione si riferisce in gran parte la motivazione della sentenza impugnata che, con argomentazioni congrue e immuni da vizi logici - contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente al riguardo - ha pure evidenziato che non alcun rilievo la circostanza che il Tribunale abbia affermato la non assoggettabilità a ritenuta fiscale del compenso in questione richiamando, a tale riguardo, la nota inviata dall'Agenzia delle Entrate in risposta alla richiesta di informazioni ex art. 213 indicato in sentenza, per evidente lapsus calami, come 231 c.p.c., proprio nella parte al cui contenuto, riportato nella sentenza di primo grado tra virgolette, si riferisce il brano sul quale la ricorrente fonda la sua eccezione di giudicato. La Corte capitolina ha, infatti, precisato che trattasi di contraddizione solo apparente, atteso che, come pure fatto presente dalla nota dell'Agenzia già richiamata, quale che sia la natura dell'attività resa dal B. , essa ricade comunque nell'ambito di applicazione della convenzione Italia-Usa che disciplina il regime fiscale sia delle prestazioni di servizi personali a carattere indipendente nella quale sono comprese, ad esempio, le attività di carattere scientifico, letterario, e quelle indipendenti dei professionisti , che dell'attività di impresa nella quale é ricompresa quella del mediatore e la predetta Corte ha quindi concluso nel senso che contrariamente all'assunto dell'appellante la dichiarata non assoggettabilità a ritenuta fiscale non trova il suo necessario presupposto nella riconducibilità del rapporto intercorso tra le parti alla fattispecie di cui all'art. 1754 c.c. . Non sussistono, quindi, i lamentati vizi motivazionali, alla luce della ricordata logica, congrua e non contraddittoria motivazione, precisandosi, peraltro, che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano - come è evidente nel caso all'esame - incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice Cass., sez. unumero , 22 dicembre 2012, numero 25984 . Neppure ha rilievo la circostanza, dedotta dalla ricorrente, che il B. non abbia impugnato la sentenza di primo grado, rispetto alla quale era risultato integralmente vittorioso, posto che, come questa Corte ha più volte affermato e va anche qui ribadito, il principio enunciato nell'art. 100 c.p.c., secondo cui per proporre una domanda o per contraddire ad essa è necessario avervi interesse, si estende anche ai giudizi di impugnazione nei quali, in particolare, l'interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di questa va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega pertanto ad una soccombenza, anche solo parziale, nel precedente giudizio in difetto della quale l'impugnazione è inammissibile Cass. 22 febbraio 2000, numero 2022 Cass. 20 maggio 2002, numero 7342 Cass. 6 agosto 2002, numero 11778 Cass. 10 novembre 2008, numero 26921 . 4. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e/o errata interpretazione e, quindi, falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 1754 e ss., 1703, 1322, 1756, 2231, primo comma, 1362 e ss., 1371 e 2697 c.c., agli artt. 2, punto 2 e punto 4, 5, punto 4, 6, primo comma, della legge numero 39/89, agli artt. 116 c.p.c. e 25 bis D.P.R. numero 600/73, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La Imfin S.r.l. censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inconfigurabile, nella fattispecie all'esame, un contratto di mediazione, sostenendo che tale valutazione sarebbe illegittima, in quanto frutto di violazione di norma di diritto, per errata interpretazione ed applicazione della stessa al caso deciso , il che sarebbe evidente alla stregua della lettura dell'integrale tenore delle pattuizioni del documento contrattuale inter partes , dell'adempiuto onere probatorio, della configurabilità, riconosciuta pure dalla giurisprudenza di legittimità, di una c.d. mediazione atipica e stante la vacuità motivazionale della pronuncia impugnata . Lamenta in particolare la ricorrente che il Giudice del merito abbia erroneamente interpretato e applicato gli artt. 1754 e ss. disciplinanti la mediazione, omettendo di valutare tale normativa anche in relazione agli artt. 1703, 1322 e 1362-1271 c.c. e con riguardo alle previsioni di cui alla legge 3 febbraio 1989, numero 39, artt. 2 e 6, per aver, in sintesi, il predetto Giudice 1 escluso che l'accordo del 2 novembre 2000 potesse integrare un contratto di mediazione, ritenendo doversi ravvisare ulteriori prestazioni non riconducibili negli ambiti dell'art. 1754 c.c. 2 omesso di considerare che debba parlarsi sempre di mediazione, pur se in forma c.d. atipica o contrattuale, anche allorquando si rinvengano prestazioni ulteriori a quelle della figura classica di cui alla norma indicata, perfino laddove riconducibili alla figura del mandato e che, comunque, anche a tale ipotesi c.d. atipica di mediazione ovvero al contratto misto o complesso, in cui siano comprese prestazioni ed attività tipiche del rapporto di mediazione, debba applicarsi la disciplina di cui alla legge numero 39 del 1989. Pertanto, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto accertare l’inesigibilità del corrispettivo richiesto dal B. , in carenza dei requisiti soggettivi di cui all'art. 6, primo comma, della legge numero 39 del 1989. La ricorrente denuncia, infine, vizi motivazionali, evidenziati, a suo dire, dai rilievi svolti in relazione alle censure in diritto prima illustrate v. p. 72 del ricorso . 4.1. Il motivo é infondato in relazione a tutti i profili proposti. Ed invero la qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti é stata operata dal Giudice del merito sulla scorta di accertamenti di fatto allo stesso riservati e non rivalutabili in sede di legittimità inoltre, la ricostruzione operata dal giudice è incensurabile in sede di legittimità allorquando - come sostanzialmente nel caso all'esame - le censure proposte si risolvano nella richiesta di una nuova valutazione dell'attività negoziale oppure nella contrapposizione di un'interpretazione della medesima a quella, diversa, operata dal Giudice del merito. Va poi evidenziato che, con il motivo all'esame, lungi dal censurare vizi della motivazione rilevanti sotto il profilo di cui all'art. 360, primo comma, numero 5, c.p.c., la ricorrente tende unicamente, e contra ius, ad una diversa lettura degli atti di causa. 5. L'esame di ogni ulteriore questione sollevata resta assorbita da quanto precede. 6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. 7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.