Debiti, vendita, patto di retrovendita … i giudici vogliono vederci chiaro. Cosa c’è “sotto” al contratto?

Una vendita stipulata con patto di riscatto o di retrovendita è nulla se il versamento da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o no l’obbligo di restituire le somme ricevute.

Una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto compromissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall’art. 2744 c.c., e la sua causa illecita ne determina l’invalidità ai sensi degli artt. 1343 e 1418 c.c. Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22314, depositata il 30 settembre 2013. Non ricevono alcun prezzo per la vendita dell’appartamento. Una venditrice aveva chiesto al Tribunale di dichiarare la nullità del contratto di vendita in garanzia, o, in subordine, di pronunciare l’annullamento del contratto medesimo, con il quale lei e sua figlia avevano alienato al convenuto un appartamento a garanzia degli ingenti crediti vantati da quest’ultimo nei confronti della figlia. Essa, per far fronte ai debiti contratti con il convenuto, si era vista costretta a vendergli l’intero patrimonio immobiliare del padre, perciò, secondo la madre-attrice, era evidente che si trattava di un contratto in frode alla legge stipulato al fine di eludere il divieto di patto compromissorio sancito dall’art. 2744 c.c. Avrebbero potuto riacquistarne la proprietà solo con il pagamento del loro debito. Dichiarata la nullità della compravendita in sede d’appello, il convenuto-soccombente ha proposto ricorso in Cassazione, denunciando erronea e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c., censurando la sentenza impugnata per non aver colto l’effettiva volontà delle parti con riferimento al contratto. Infatti, a suo dire, pur nell’apparente contraddittorietà del contesto contrattuale, si era in presenza di una proposta di vendita accettata dall’esponente che aveva dato luogo a una vendita effettiva, come era confermato dal fatto che l’acquirente aveva restituito alle venditrici i titoli costitutivi del suo credito, così determinando l’estinzione del preesistente rapporto obbligatorio. Per la Suprema Corte, la censura è infondata. Gli Ermellini hanno avallato il convincimento espresso dalla Corte territoriale, che ha richiamato l’orientamento secondo cui il divieto di patto compromissorio si estende a qualsiasi negozio che venga impiegato per conseguire il risultato concreto della illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore. Dunque, Piazza Cavour ha considerato l’interpretazione letterale e sistematica dell’atto operata dai giudici di secondo grado del tutto logica e immune dai profili di censura sollevati dal ricorrente. Dal tenore dell’atto emerge che la vera causa del negozio è di garanzia e non di scambio. Infatti, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il contratto in oggetto - espressamente definito vendita in garanzia , e in sé astrattamente lecito, una volta accertato che il prezzo di vendita, pari all’importo del credito vantato dal ricorrente nei confronti delle venditrici, non era stato corrisposto da quest’ultimo, e che l’attrice originaria avrebbe potuto riacquistare l’immobile versando il suddetto prezzo, quindi estinguendo il loro debito verso l’acquirente - era stato impiegato per conseguire l’effettivo risultato, vietato dall’ordinamento, di assoggettare le debitrici all’illecita coercizione del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di ottenere il trasferimento della proprietà di un loro bene come conseguenza della mancata estinzione del debito. In tale contesto, per il Collegio, l’assunto del ricorrente in ordine alla asserita estinzione del debito mediante restituzione dei titoli costitutivi, è smentito dal fatto che le venditrici avrebbero potuto riacquistare la proprietà dell’immobile venduto proprio versando all’acquirente la somma corrispondente esattamente al loro debito. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 luglio - 30 settembre 2013, n. 22314 Presidente Oddo – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato l'1-7-1992 D.C.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma C.M. chiedendo dichiararsi la nullità del contratto di vendita in garanzia stipulato il 3-7-1987 a rogito notaio Marano di Roma, ovvero in subordine pronunciarsi l'annullamento ex art. 1434 c.c. del contratto medesimo, con il quale l'attrice quale usufruttuaria e la di lei figlia E M. quale nuda proprietaria avevano alienato al C. l'appartamento sito in Roma, via Pistoia 26, già ipotecato a favore di tale C Z. , suocera del convenuto, a garanzia degli ingenti crediti vantati da quest'ultimo nei confronti della A. . La D.C. deduceva che la figlia, in quel periodo, per far fronte ai debiti contratti con il C. , si era vista costretta a vendergli l'intero patrimonio immobiliare del padre, e che era evidente che nella specie si trattava di un contratto in frode alla legge stipulato al fine di eludere il divieto di patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto della domanda attrice. Successivamente nel processo interveniva l'A. . Con sentenza del 23-7-2002 il Tribunale adito respingeva le domande di nullità e di annullamento proposte dalla D.C. , affermando che il C. era titolare di un credito scaduto, e che la vendita era stata effettuata con la volontà di trasferire immediatamente l'immobile a saldo del debito delle venditrici. Proposto gravame da parte della D.C. cui resisteva il C. mentre l'A. restava contumace la Corte di Appello di Roma con sentenza del 28-9-2006, in riforma dell'impugnata sentenza, ha dichiarato la nullità della compravendita stipulata il 3-7-1987 ed ha ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma di provvedere alla trascrizione della sentenza stessa. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto un ricorso articolato in due motivi illustrato successivamente da una memoria cui la D.C. ha resistito con controricorso l'A. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, denunciando erronea e falsa applicazione dell'art. 2744 c.c., censura la sentenza impugnata per non aver colto l'effettiva volontà delle parti con riferimento al contratto del 3-7-1987 infatti, pur nell'apparente contraddittorietà del contesto contrattuale, laddove ricorrevano impropriamente locuzioni come vendita in garanzia , si era in presenza di una proposta di vendita accettata dall'esponente che aveva dato luogo ad una vendita effettiva, come era confermato dal fatto che l'acquirente aveva restituito alle venditrici i titoli costitutivi del suo credito, così determinando l'estinzione del preesistente rapporto obbligatorio in altri termini l'esponente aveva realmente pagato il corrispettivo della vendita dell'immobile con la consegna dei suddetti titoli pertanto restava esclusa una funzione di garanzia dell'atto di vendita in relazione ad un credito che veniva estinto. La censura è infondata. Il giudice di appello, richiamato l'orientamento prevalente di questa Corte secondo cui il divieto del patto commissorio si estende a qualsiasi negozio che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, della illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito, ha ritenuto erronea l'esclusione da parte del Tribunale di Roma della violazione del divieto del patto commissorio sul presupposto dell'immediato trasferimento della proprietà a saldo del debito delle venditrici, in linea con un indirizzo giurisprudenziale ormai superato. La Corte territoriale ha quindi disatteso l'interpretazione del suddetto atto di compravendita operata dal giudice di primo grado a tal riguardo ha evidenziato che nella premessa dell'atto, intitolato vendita in garanzia , era espressamente dichiarato che le venditrici erano debitrici del C. della somma di lire 50.000.000, e che la vendita era voluta per assicurare al creditore la garanzia del credito l'art. 3 poi stabiliva espressamente che il prezzo era stato concordato in lire 50.000.000, corrispondente al preesistente credito del compratore verso le venditrici, che veniva così a compensarsi con il credito stesso pertanto dall'atto emergeva che nessun prezzo era stato versato dall'acquirente l'art. 4 prevedeva un patto di retrovendita in base al quale le venditrici avrebbero potuto entro due anni riacquistare la proprietà dell'appartamento versando al venditore il prezzo senza alcuna maggiorazione mediante stipulazione di un ulteriore contratto di retrovendita che il C. si obbligava a stipulare. Il giudice di appello ha quindi rilevato che, non avendo le venditrici ricevuto alcun prezzo per la vendita del loro appartamento, era evidente che esse ne avrebbero potuto riacquistare la proprietà soltanto con il pagamento del loro debito, ipotesi non verificatasi per concorde ammissione delle parti pertanto dal tenore dell'atto emergeva con chiarezza che la vera causa del negozio posto in essere dalle parti era di garanzia e non la causa di scambio di cosa contro prezzo propria della compravendita. Il Collegio ritiene che il convincimento espresso dalla Corte territoriale all'esito di una interpretazione letterale e sistematica dell'atto del 3-7-1987 del tutto logica ed esauriente è immune dai profili di censura sollevati dal ricorrente. Invero è evidente che il contratto in oggetto, espressamente definito vendita in garanzia , ed in sé astrattamente lecito - una volta accertato che il prezzo di vendita di lire 50.000.000, pari all'importo del credito vantato dal C. nei confronti delle venditrici, non era stato corrisposto da quest'ultimo, e che la D.C. e l'A. avrebbero potuto riacquistare l'immobile versando il suddetto prezzo, quindi estinguendo il loro debito verso l'acquirente - era stato impiegato per conseguire l'effettivo risultato, vietato dall'ordinamento, di assoggettare le debitrici all'illecita coercizione del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di ottenere il trasferimento della proprietà di un loro bene come conseguenza della mancata estinzione del debito, con la conseguente estensione a tale negozio del divieto del patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c. vedi in tal senso Cass. 12-1-2009 n. 437 . In tale contesto l'assunto del ricorrente in ordine alla asserita estinzione del debito delle venditrici verso l'acquirente mediante restituzione da parte del C. dei titoli costitutivi del suo credito è smentito dal fatto che, nella ricostruzione della vicenda da parte della sentenza impugnata, la D.C. e l'A. avrebbero potuto riacquistare la proprietà dell'immobile venduto proprio versando all'acquirente la somma di lire 50.000.000 corrispondente esattamente al loro debito, così restando confermato che la causa del suddetto negozio non era lo scambio di cosa contro prezzo, inerente alla compravendita, ma di garanzia del credito vantato dal C. in tal senso deve rilevarsi che una vendita stipulata con patto di riscatto o di retrovendita come nella fattispecie è nulla se il versamento del denaro da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l'adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall'art. 2744 c.c., e la sua causa illecita ne determina l'invalidità ai sensi degli artt. 1343 e 1418 c.c. Cass. 8-2-2007 n. 2725 . Con il secondo motivo il C. , deducendo violazione dell'art. 1197 c.c., assume che le controparti con il suddetto atto del 3-7-1987 avevano inteso vendere l'immobile per cui è causa all'esponente al solo fine di liberarsi dai debiti contratti con quest'ultimo, ponendo così in essere una datio in solutum infatti con il trasferimento della proprietà dell'immobile all'esponente il credito vantato da quest'ultimo si era estinto. La censura è infondata. Infatti la evidenziata natura dell'atto del 3-7-1987, costituente una vendita finalizzata a garantire l'estinzione del debito delle venditrici nei confronti dell'acquirente con patto di retrovendita destinato appunto non già al pagamento del prezzo ma all'adempimento della originaria obbligazione nei confronti del C. , esclude in radice che la vendita dell'immobile sia stata frutto di una scelta, e che dunque fosse stata concordata quale datio in solutum il trasferimento della proprietà del bene da parte delle venditrici al C. era stato quindi indotto dalla necessità di soddisfare il debito sussistente nei confronti di quest'ultimo, con conseguente assoggettamento del suddetto negozio al divieto sancito dall'art. 2744 c.c Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 5.000,00 per compensi.