Responsabilità solidale dei soci: no all’azione di regresso in caso di conflitto di giudicati, anche se l’obbligazione è la stessa

In tema di solidarietà tributaria, la facoltà per il coobbligato d’imposta di avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da un altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1306 c.c., opera, come riflesso dell’unicità dell’accertamento e della citata estensibilità del giudicato, sempre che non si sia già formato un giudicato contrario sul medesimo punto. Pertanto, il coobbligato non può invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta promosso un giudizio già conclusosi in modo a lui sfavorevole con una decisione avente autonoma efficacia nei suoi confronti.

Con la sentenza n. 16117 del 26 giugno 2013, la Corte di Cassazione affronta la problematica, sempre alquanto complessa, delle obbligazioni solidali, soffermandosi, in particolare, sugli eventuali effetti, in una obbligazione solidale, di un contrasto di giudicati sulla debenza dell’obbligazione stessa e sulla possibilità, in tale circostanza, di promuovere un’azione di regresso da parte di un coobbligato solidale nei confronti dell’altro. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza in commento presenta, indubbiamente, profili singolari. L’ufficio del registro di Siena, relativamente ad un’imposta a carico di una società di fatto, invia le relative richieste di pagamento ai due soci con separati ricorsi, i due soci impugnano le cartelle di pagamento alla Commissione tributaria provinciale, che accoglie i ricorsi. L’ufficio del registro promuove appello avverso le suddette decisioni e i due ricorsi, in appello, hanno esito diverso uno viene accolto, con conseguente condanna del socio al pagamento dell’imposta indicata nella cartella l’altro viene rigettato, con conferma della decisione di primo grado per la quale nulla era dovuto. Il socio, quindi, soccombente in appello, effettua il dovuto pagamento e, successivamente, agisce in regresso verso l’altro socio per ottenere la metà di quanto pagato. Ma tale azione viene rigettata dai giudici di merito, sulla base di motivazioni che, in sostanza, vengono fatte proprie dalla Cassazione. La solidarietà passiva si presume, anche in presenza di obbligazioni di diversa natura. Nell’ambito di un’obbligazione il principio, previsto dall’art. 1294 c.c., secondo cui i condebitori sono tenuti in solido, ove dalla legge non risulti altrimenti, non è escluso per il fatto che i titoli della responsabilità facenti capo ai coobbligati siano diversi, l’uno di natura contrattuale e l’altro di natura extracontrattuale. Per riprendere una fattispecie decisa dalla Cassazione, in una causa promossa da una società cooperativa nei confronti dei propri amministratori per inosservanza dei doveri inerenti alla carica, è stato riconosciuto, nella determinazione del danno, il concorso della responsabilità degli amministratori per fatto illecito con quella contrattuale di terzi in relazione ad un contratto di appalto. L’azione di regresso verso i coobbligati in solido come e perché. In presenza di un’obbligazione solidale, ciascun debitore, effettuato il pagamento al creditore, può agire in regresso nei confronti dell’altro o degli altri coobbligati a condizione che l’importo azionato non ecceda la parte di pertinenza del condebitore nei confronti del quale l’azione viene esercitata ne consegue che, ove tale limite venga rispettato, l’azione di regresso può essere esercitata anche congiuntamente da più debitori che abbiano pagato l’intero debito, senza che il convenuto possa opporre che uno di costoro ha pagato meno di quanto dovuto, poiché la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori . Obbligazione solidale ed efficacia della transazione. Particolare è la regola che disciplina il rapporto tra obbligazione solidale e transazione stipulata, con il creditore, da uno dei coobbligati in solido. Al riguardo, si osserva che, secondo l’art. 1306 c.c. come costantemente interpretato dalla giurisprudenza, la transazione tra uno dei condebitori solidali e il creditore produce effetto nei confronti degli altri, se questi dichiarano di volerne profittare, soltanto qualora l’accordo transattivo riguardi l’intero debito solidale, mentre ove tale negozio sia limitato alla quota interna del debitore solidale stipulante, si riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota oggetto di transazione, con il conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati nei limiti della loro quota . Obbligazione solidale e garanzie patrimoniali. Nel caso di solidarietà passiva si configura una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi, che intercorrono tra il creditore ed ogni singolo debitore solidale e che hanno in comune solo l’oggetto della prestazione di conseguenza, il creditore ha la facoltà, ex art. 1292 c.c., di scegliere il condebitore solidale a cui chiedere l’integrale adempimento, con la conseguenza che la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. grava sul patrimonio di ciascun coobbligato, separatamente e per l’intero credito. Da ciò discende l’ulteriore corollario per il quale, qualora un condebitore solidale compia atti di disposizione patrimoniale che diminuiscano la detta garanzia generica gravante sul suo patrimonio sì da renderla insufficiente in relazione all’entità del credito, il creditore può esercitare nei confronti suoi e dell’acquirente, in presenza degli altri requisiti, l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., ancorché i rispettivi patrimoni degli altri coobbligati siano sufficienti a fornire - ciascuno di essi - la garanzia ex art. 2740 c.c. Condebitore solidale ed opponibilità di sentenza pronunciata in favore di altro coobbligato. La regola di cui all’art. 1306, comma 2, c.c., secondo cui i condebitori in solido hanno facoltà di opporre al creditore la sentenza favorevole alla comunione pronunciata tra questi ed uno degli altri condebitori – come visto in precedenza - trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla. Nel caso, invece, come nell’ipotesi decisa dai Giudici di Piazza Cavour con la sentenza che si commenta, i coobbligato abbiano partecipato al medesimo giudizio, operano le preclusioni proprie del giudicato, con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno o di alcuni dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma. Obbligazione solidale, azione di regresso e riforma della sentenza quid iuris? Il pagamento integrale da parte di uno dei coobbligati di una obbligazione solidale, ed il successivo esperimento da parte di quest’ultimo dell’azione di regresso nei confronti degli altri condebitori, determinano l’esaurimento del lato interno dell’obbligazione. Nell’ipotesi, invece, in cui sia stata pronunciata sentenza di condanna in solido nei confronti di più debitori ed uno di questi, dopo avere rifuso la propria quota di obbligazione solidale ad altro condebitore in via di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c., impugni vittoriosamente la sentenza di condanna, ove intenda ottenere la restituzione della somma pagata a titolo di regresso deve agire non nei confronti del condebitore che l’ha materialmente ricevuta, ma nei confronti del creditore, a nulla rilevando che la suddetta sentenza di condanna sia passata in giudicato nei confronti di altri coobbligati che non hanno promosso appello avverso la sentenza di condanna.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 maggio - 26 giugno 2013, n. 16117 Presidente Berruti – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo L'Ufficio del registro di Siena ha notificato a G B. e a F C. , quali soci solidalmente responsabili dell'omonima società di fatto, richiesta di pagamento dell'imposta di registro e delle relative sovrattasse sul rogito 20.9.1970 per notaio Bartolini, per decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge 2 luglio 1949 n. 408, conseguente alla mancata denuncia di cui all'art. 6 d.l. 11 dicembre 1967 n. 1150, conv. in legge 7 febbraio 1968 n. 25. I due soci hanno proposto separati ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Siena, ricorsi che sono stati entrambi accolti. Su appello dell'Ufficio del registro, le due cause sono state assegnate a differenti sezioni della Commissione Tributaria Regionale di Firenze e si sono concluse in modo opposto cioè con la conferma della condanna al pagamento nei confronti del B. e con l'assoluzione del C. . Il 25.6.2001 il B. ha provveduto al pagamento della cartella esattoriale esecutiva e, con atto di citazione notificato il 19 febbraio 2003, ha proposto contro il socio azione di regresso, chiedendone la condanna al rimborso del 50% dell'imposta, nell'importo di Euro 2.029,66, quale quota a suo carico del debito della società. Il Giudice di pace di Siena ha respinto la domanda, richiamando i principi per cui la sentenza pronunciata fra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio, ed il condebitore può opporre all'azione di regresso i fatti impeditivi, estintivi o limitativi del debito comune, che siano antecedenti alla data dell'adempimento e concretamente opponibili al creditore in tale data. Proposto appello dal soccombente, con la sentenza impugnata in questa sede il Tribunale di Siena ha confermato la decisione di primo grado. Il B. propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste l'intimato con controricorso. Motivi della decisione 1.- Il giudice di appello g.a. , premesso che nella specie vanno applicate le norme in tema di obbligazioni solidali e non quelle riguardanti i rapporti fra i soci, ha applicato il principio per cui i condebitori rimasti estranei al giudizio non possono ritenersi pregiudicati dalla sentenza sfavorevole emessa a carico di altro condebitore ha rilevato che il B. ben avrebbe potuto opporsi alla pretesa del fisco, sulla base della sentenza emessa in favore del C. quale effetto a lui favorevole , ma non può far ricadere su quest'ultimo l'esito sfavorevole della controversia da lui personalmente promossa. 2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 stesso codice, addebitando alla sentenza impugnata di avere esaminato e respinto una domanda diversa da quella proposta, poiché egli aveva chiesto non che venissero estesi al C. gli effetti della sentenza pronunciata nei propri confronti, ma che gli venisse rimborsato il debito della società di fatto, di cui i due soci sono responsabili in ugual misura. 1.1.- Il motivo è inammissibile, prima ancora che non fondato. In primo luogo la censura è stata prospettata in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., che concerne gli errori di giudizio, mentre ha per oggetto l'addebito di un errore processuale, che deve essere fatto valere ai sensi dell'art. 360 n. 4, a pena di inammissibilità_ cfr. Cass. civ. Sez. 3, 19 gennaio 2007 n. 1196 Idem, 11 maggio 2012 n. 7268 e 31 luglio 2012 n. 13683, fra le tante . In secondo luogo il quesito di diritto è inammissibile, perché generico, astratto e non congruente con le censure proposte Se costituisca violazione dell'art. 112 cod. proc. civ avere sostituito la proposta azione di regresso, fondata sul pagamento di un debito solidale, con una diversa azione, caratterizzata da tutt'altra esposizione dei fatti e da tutt'altra causa petendi, come quella inerente alla pretesa di estendere nei confronti del condebitore gli effetti pregiudizievoli della sentenza contemplata nel primo comma dell'art. 1306 cod. civ. . Non emerge dal quesito quale sia la fattispecie sottoposta alla decisione della Corte di appello quale il principio di diritto da essa erroneamente enunciato e quale quello a cui la Corte si sarebbe dovuta attenere, come prescritto a pena di inammissibilità per la formulazione del quesito di diritto. Neppure si comprende quale sia l'errore commesso dal giudice di appello, a quale diversa azione ed a quali fatti nuovi e non dedotti avrebbe esteso la sua cognizione. Si ricorda che il quesito di diritto deve contenere una sintesi logico giuridica della questione sottoposta alla Corte di cassazione, si da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Esso deve sintetizzare, in particolare a l'esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e da questo ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata b la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice c la diversa regola di diritto che - ad avviso del ricorrente - si sarebbe dovuta applicare. Il quesito - quindi - non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente. Né è consentito desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, se non a prezzo della sostanziale abrogazione della norma di cui all'art. 366bis cod. proc. civ. cfr., fra le tante, Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420 Cass. Civ. Sez. III, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535 Cass. Civ. Sez. 3, 14 marzo 2013 n. 6549 . Il vero è che, a differenza di quanto assume il ricorrente, il Tribunale non ha fatto che esaminare le circostanze di fatto dedotte in giudizio ed ha ritenuto ad esse applicabili le norme che regolano le eccezioni opponibili dal condebitore solidale, ed in particolare quelle attinenti al comunicarsi o meno degli effetti del giudicato, senza incorrere in alcun vizio di ultrapetizione solo ha seguito una tesi giuridica diversa da quella prospettata dal ricorrente il che non configura alcun vizio di ultrapetizione. 2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 1176 e 1306 cod.civ., nonché omessa ed illogica motivazione, sul rilievo che i condebitori convenuti in via di regresso possono opporre all'attore i fatti impeditivi, limitativi od estintivi del debito comune solo se precedenti alla data dell'adempimento e concretamente opponibili al colui che ha pagato il debito, come disposto da Cass. S.U. 5 febbraio 1999 n. 32. Assume che la sentenza assolutoria del C. avrebbe potuto essere opposta al B. solo se questi ne fosse stato a conoscenza alla data del pagamento che il C. non ha offerto alcuna prova di averne dato notizia al condebitore e che la conoscenza non può essere presunta per il solo fatto che la sentenza è stata emessa in data anteriore al pagamento. 2.1.- Con il terzo motivo - che va congiuntamente esaminato, poiché attiene alla medesima questione - denuncia violazione dell'art. 1306 2 comma cod. civ., sul rilievo che la norma è destinata a regolare i rapporti fra i condebitori solidali ed il creditore non i rapporti interni fra condebitori, né le azioni di regresso che quindi al solo creditore è opponibile la sentenza assolutoria del condebitore solidale. 3.- I motivi non sono fondati, pur se deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata. 3.1.- Questa Corte ha più volte affermato che il principio di cui all'art. 1306, 2 comma, cod. civ. - che consente al coobbligato solidale di opporre al creditore il giudicato formatosi in favore di altro condebitore - trova un limite nel caso in cui il condebitore convenuto sia a sua volta vincolato da altro giudicato, favorevole al creditore, com' è accaduto nel caso in esame, ove il B. ha visto respinto il suo ricorso contro l'atto di accertamento dell'amministrazione finanziaria. Il coobbligato non può cioè invocare a proprio vantaggio la diversa pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso in cui egli stesso sia stato parte di un giudizio relativo al medesimo credito e conclusosi in favore del creditore, con una decisione avente autonoma efficacia nei suoi confronti cfr. Cass. Civ. S.U. 22 giugno 1991 n. 7053 Cass. Civ. Sez. 5, 9 dicembre 2008 n. 28881 Idem, 11 aprile 2011 n. 8169 Idem, 27 settembre 2002 n. 13997, ed altre . L'art. 1306, 2 comma, consente cioè al condebitore solidale di invocare eccezionalmente in suo favore l'efficacia riflessa del giudicato ma non gli consente di disattendere gli effetti del giudicato emesso nei suoi personali confronti. Tali principi sono stati enunciati, tuttavia, nei rapporti fra il condebitore solidale e il creditore non invece nei rapporti fra i condebitori solidali ed in relazione alla disciplina delle azioni di regresso disciplina che trova la sua fonte nel rapporto sostanziale da cui deriva il vincolo di solidarietà. Da tale rapporto si desumono le quote per le quali ogni condebitore è tenuto a rispondere del debito in via di regresso ed ogni altra circostanza idonea ad influire sulla ripartizione interna dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto che ha dato origine al debito solidale. Deve essere perciò condivisa la tesi del ricorrente secondo cui la norma dell'art. 1306 cod. civ. non può essere automaticamente trasposta alla disciplina delle azioni di regresso e va disatteso il principio contrario, affermato dal Tribunale. Le regole della solidarietà prevalgono senz'altro, nei rapporti con il creditore non necessariamente nei rapporti interni fra condebitori. Nella specie, la circostanza che il C. abbia ottenuto una sentenza assolutoria da un debito verso il fisco non vale di per sé a dimostrare l'inesistenza del debito, quindi il venir meno del suo obbligo di risponderne quale socio, poiché la società si è trovata ad essere gravata da quel debito per effetto del giudicato sfavorevole al B. e della conseguente minaccia di esecuzione esattoriale. Ma neppure può affermarsi apoditticamente il principio voluto dal ricorrente, cioè che entrambi i soci sono comunque tenuti a rispondere in parti eguali, restando irrilevanti le vicende che hanno condotto all'anomala situazione per cui l'uno è stato condannato a pagare lo stesso debito per cui l'altro è stato assolto. L'efficacia dei contrapposti giudicati rileva indubbiamente sul piano processuale, ma non dimostra nulla, di per sé, quanto al problema sostanziale circa le responsabilità per l'accaduto e circa i criteri in base ai quali stabilire quale delle due situazioni si debba ritenere efficace nei confronti della società se la condanna riportata dal B. o l'assoluzione del C. . Vale a dire, la mera deduzione da parte del socio di avere riportato una condanna e di avere pagato il debito non è sufficiente, di per sé sola, a giustificare la domanda di rimborso proposta nei confronti dell'altro socio, ove questi possa opporre una sentenza di assoluzione dallo stesso debito. Le due situazioni si neutralizzano reciprocamente, quanto agli effetti nei confronti della società. Resta solo il problema di stabilire se l'uno dei soci sia responsabile dell'accaduto nei confronti dell'altro questione la cui soluzione avrebbe richiesto di accertare quale dei due soci avesse, di fatto, il potere di amministrare la società ed in particolare di gestire i rapporti con il fisco per quali ragioni non vi sia stato alcun coordinamento fra i rispettivi ricorsi alle Commissioni tributarie, né alcuna reciproca informativa circa il loro esito se tempi e modi del pagamento effettuato dall'uno siano giustificati ed abbiano evitato un danno alla società, o siano stati invece avventati e inescusabili ed ogni altra circostanza rilevante. In questo contesto può assumere rilievo anche la circostanza dedotta dal ricorrente di non essere stato informato dell'esito del ricorso altrui ma non da sola e non indipendentemente da ogni altro accertamento circa i rispettivi accordi, competenze e attività, ivi incluso quello attinente a chi avesse l'obbligo di informare l'altro. Se perciò erroneamente il giudice di appello ha ritenuto irrilevanti i rapporti interni fra i due soci, in ordine alla ripartizione delle responsabilità per il debito, la parte interessata - cioè l'attore in via di regresso - avrebbe dovuto farsi carico di dedurre e dimostrare le ragioni per cui la sua personale situazione, e l'esecuzione esattoriale minacciata a carico della società, siano da ascrivere alla responsabilità dell'altro socio, che peraltro - essendo stato capace di ottenere la completa assoluzione dal debito – appare oggettivamente avere agito nell'interesse della società. Nulla il ricorrente risulta avere dedotto in proposito, nelle competenti sedi di merito, sicché il giudice di appello non poteva che rigettare la domanda. 4.- Il ricorso deve essere respinto. 5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.300,00 per compensi oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.