L’appropriazione dei beni dell’altro cointestatario della cassetta di sicurezza incide sulla validità del negozio dissimulato

La contestazione non equivale, sotto il profilo genetico, a diritto di proprietà su beni altrui, configurandosi in termini di ingratitudine l’atto pregiudizievole del cointestatario che, con compravendita simulata, abbia anteriormente acquistato beni immobili.

In tema di contitolarità di cassette di sicurezza e conti bancari e quindi di diritti reali e di proprietà, non potendosi identificare la cointestazione dei rapporti bancari con la eguaglianza delle quote e delle obbligazioni, si configura il diritto, per il cointestatario, di impedire l’appropriazione, da parte dell’altro cointestatario, dei propri valori mobiliari contenuti nella cassetta di sicurezza cointestata e depositati sul conto la cointestazione, infatti, non equivale, sotto il profilo genetico, a diritto di proprietà su beni altrui, configurandosi in termini di ingratitudine l’atto pregiudizievole del cointestatario che, con compravendita simulata, abbia anteriormente acquistato beni immobili. È, così, illegittima la sentenza con cui, accertata l’altrui provenienza del denaro per l’acquisto apparente dell’immobile e quindi la dissimulazione negoziale, venga rigettata la richiesta di revoca della donazione per appropriazione, da parte del cointestatario-donatario, dei valori del donante custoditi nella cassetta di sicurezza cointestata. Il principio si argomenta dalla sentenza n. 13614/13, decisa il 20 marzo e depositata il 30 maggio 2013. Il caso. Venivano acquistate dal figlio di un soggetto, separato ed in regime di separazione dei beni, e con denaro di quest’ultimo, 13 unità immobiliari. Essendosi il primo appropriato dell’intero contenuto di proprietà del padre, come giudizialmente provato , consistente in titoli di credito e gioielli, di 2 cassette di sicurezza cointestate, il genitore chiedeva che venisse giudizialmente dichiarata la simulazione degli atti di acquisto e/o la revoca delle donazioni per ingratitudine del figlio. La cointestazione di un conto bancario e/o di una cassetta di sicurezza costituisce una presunzione semplice della contitolarità per quote eguali. In primis , va rilevato che costituisce donazione, come negozio dissimulato, la compravendita di immobili, anche se intestati al figlio, effettuata con denaro del padre, dovendosi assumere come provata quest’ultima circostanza se il medesimo figlio donatario non neghi che il denaro provenga dal medesimo donante-genitore segnatamente, l’atto palese compravendita deve incorpora re i requisiti formali dell’atto differente realmente voluto dalle parti, come. manifestato nell’accordo simulatorio sia pure sprovvisto del necessario formalismo. È, poi, da precisare che la cointestazione di un conto bancario e/o di una cassetta di sicurezza costituisce soltanto una presunzione semplice della contitolarità per quote eguali art. 1298 co. 2 c.c. e non rileva anche nei rapporti interni tra i due cointestatari artt. 1836, 1840 co. 1 e 1854 c.c. pertanto, il cointestatario è autorizzato, quindi legittimato, ad effettuare operazioni di apertura e prelievo ma non può vantare, esercitare e/o conseguire una sorta di diritto di proprietà sui beni appartenenti al patrimonio dell’altro cointestatario art. 832 c.c. . L’atto compiuto da uno dei cointestatari nella consapevolezza dell’altrui proprietà del bene custodito è qualificabile come atto illecito e gravemente pregiudizievole. In ambito di compravendita/donazione, diritti reali e tutela della proprietà, la mancanza di un accordo simulatorio tra genitore e figlio, cointestatari di cassette di sicurezza e conti bancari, e della prova di comportamenti ingiuriosi del medesimo figlio nei riguardi del genitore non rileva e non incide, contrariamente a quanto sostenuto da App. Venezia n. 970/2006 e Trib. Padova 17-05-2001, sulla qualificazione e sulla configurazione degli atti compiuti dal figlio donatario e non può, quindi, escluderne il carattere di atto gravemente pregiudizievole al patrimonio del genitore donante se e quando il figlio donatario è consapevole della proprietà del donante il donatario cointestatario non può, quindi, disporre, come res propria , del bene altrui custodito nella cassetta cointestata. Ergo , la sentenza va cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 marzo – 30 maggio 2013, n. 13614 Presidente Piccialli – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 30/1/1998 T.G. conveniva il giudizio il proprio figlio T.L. chiedendo, in principalità, che fosse dichiarata la simulazione degli acquisti di 13 unità immobiliari, apparentemente acquistate dal figlio e che dissimulavano l'acquisto diretto da parte di esso attore in subordine chiedeva che fossero revocate per ingratitudine del donatario le donazioni, da qualificarsi come donazioni indirette, relative alle 13 proprietà immobiliari acquistate con denaro da lui elargito. L'attore esponeva che il figlio si era appropriato dell'intero contenuto di due cassette di sicurezza costituito da titoli di credito e gioielli per un valore di 5/6 miliardi di lire. T.L. si costituiva replicando che gli acquisti immobiliari erano stati realizzati dopo il 1977, anno in cui il padre aveva cessato ogni attività e che i valori mobiliari erano custoditi in due cassette che non erano intestate al padre, ma esclusivamente a lui. Nel giudizio interveniva la moglie separata dell'attore la quale chiedeva che le fosse attribuito il 50% delle proprietà immobiliari in caso di accoglimento della domanda attorea il terzo intervenuto la cui domanda era contestata in quanto i due coniugi erano in regime di separazione del beni non risulta avere partecipato al giudizio di appello. Con sentenza del 17/5/2001 il Tribunale di Padova rigettava entrambe le domande di T.G. rigettava la domanda di simulazione per insussistenza dell'accordo simulatorio e rigettava la domanda di revocazione delle donazioni non sussistendo la prova di comportamenti ingiuriosi del figlio o di atti gravemente pregiudizievoli al patrimonio stante la mancanza di prova sulla titolarità dei beni neppure identificati contenuti nelle cassette di sicurezza delle quali era unico intestatario il convenuto. T.G. proponeva appello lamentando, tra l'altro, la mancata ammissione delle prove per interpello e testi che riproponeva con l'atto di appello, deferendo, inoltre, giuramento decisorio. La Corte di Appello di Venezia con sentenza del 16/6/2006 rigettava l'appello rilevando - che non sussisteva la dedotta simulazione in quanto non sussisteva un accordo simulatorio, che avrebbe dovuto essere provato in contraddittorio con i venditori delle unità immobiliari - che le donazioni che il giudice di primo grado aveva ritenute provate perché il convenuto non aveva negato che il denaro necessario per gli acquisti era stato erogato dal padre non potevano essere revocate perché gli atti descritti dal padre donante non integravano gli estremi dell'ingratitudine perché il figlio aveva operato su conti e cassette di sicurezza delle quali aveva disponibilità così che se anche ne avesse disposto, come l'appellante pretendeva di provare, l'atto di disposizione sarebbe stato lecito perché la cointestazione consentiva a T.L. di disporre del patrimonio per lo stesso motivo da intendersi per mancanza del requisito della decisorietà riteneva inammissibile il giuramento decisorio che l'appellante aveva deferito al proprio figlio. T.G. propone ricorso affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso T.L. . Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1836, 1840 comma 1 e 1854 c.c. sostenendo che la Corte di appello ha travisato la materia del contendere devoluta con l'atto di appello ritenendo che fosse stato dedotto come motivo di revocazione per ingratitudine il fatto che il figlio avesse operato sulle cassette di sicurezza, mentre era stato contestata l'appropriazione del loro contenuto che, invece, apparteneva ad esso ricorrente, come risultava dal capitolo 2 di prova per interrogatorio e testi e dai capitoli del giuramento decisorio. Di conseguenza la Corte di Appello avrebbe applicato alla fattispecie regole giuridiche sulla legittimazione ad operare sui conti e sulle cassette di sicurezza non pertinenti alla fattispecie sottoposta al suo esame. Formula un quesito diretto a stabilire se la legittimazione ad effettuare operazioni relativamente a cassette di sicurezza, conti correnti bancari e libretti di deposito equivale, per ciascun contestatario, al diritto di proprietà su quanto contenuto nelle une e negli altri e se comunque presuppone la sussistenza del diritto di proprietà sul contenuto. 2. Il motivo è fondato per le seguenti ragioni. La Corte di Appello ha affermato che la cointestazione della cassetta di sicurezza consentiva a T.L. di disporre del patrimonio mobiliare cointestato così attribuendo alla disponibilità della cassetta di sicurezza che costituisce solo un contenitore messo a disposizione dalla Banca per adempiere le obbligazioni di facere assunte con il relativo contratto la funzione di attribuire al cassettista la comproprietà o addirittura l'esclusiva proprietà del contenuto pur in presenza di una espressa cointestazione e dell'offerta di provare la diversa proprietà. Eguali considerazioni valgono per i conti bancari cointestati, posto che la cointestazione non esclude il potere di ogni cointestatario, di operare liberamente sul conto, ma non determina l'esclusiva appartenenza o la paritaria appartenenza delle somme a credito costituendo solo presunzione semplice della contitolarità per quote eguali dei saldi dei correntisti perché, essendo creditori solidali della banca, nei loro rapporti opera la presunzione di eguali quote di cui all'art. 1298 comma 2 c.c La Corte di Appello ha invece affermato che la cointestazione consentiva a entrambi i cointestatari di disporre del patrimonio e da questa premessa ha tratto la conseguenza che il donatario, disponendo del patrimonio mobiliare non ha posto in essere alcun atto pregiudizievole per il donante. Questa conclusione presuppone che la cointestazione rilevi anche nei rapporti interni tra i due cointestatari nel senso di attribuire a ciascuno di essi la piena disponibilità, rispettivamente, delle cose custodite nella cassetta di sicurezza e delle somme depositate sul conto ma questa ratio decidendi è errata e costituisce falsa applicazione dell'art. 1854 c.c. e delle normativa in materia di cointestazione delle cassette di sicurezza, norme che non incidono sulla proprietà dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza e depositati sul conto salvo la presunzione di appartenenza per quote eguali così che chi non ne è proprietario non può disporne come di cosa propria. 3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia che si atterrà ai seguenti principi di diritto La cointestazione delle cassette di sicurezza autorizza il cointestatario alla relativa apertura e prelievo, ma non attribuisce al cointestatario, che sia a conoscenza dell'appartenenza dei beni contenuti ad altri, il potere di disporre come proprietario dei beni ivi contenuti. La cointestazione dei conti bancari autorizza il cointestatario ad eseguire tutte le operazioni consentite dalla cointestazione, ma non attribuisce al cointestatario, che sia consapevole dell'appartenenza ad altri delle somme affluite sui conti e dei relativi saldi, il potere di disporne come proprie. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.