Nel contratto di associazione in partecipazione non si può recedere unilateralmente

Il contratto di associazione in partecipazione stipulato per un periodo di tempo determinato non ha natura fiduciaria, pertanto, non può sciogliersi anticipatamente a iniziativa unilaterale di una parte la quale si renderebbe inadempiente al contratto, ma solo risolto per inadempimento dell’una o dell’altra parte.

Lo ha stabilito la Cass. il 30 maggio 2013 con la sentenza n. 13649. Il caso . La fattispecie al centro della controversia in esame riguarda l'esecuzione di un contratto di associazione in partecipazione perfezionato nel 1986 dal titolare di uno studio medico con altri due soggetti, per la durata di nove anni. I due associati agivano in giudizio contro il titolare dello studio sostenendo l'omesso pagamento delle quote degli utili e l’anticipata e unilaterale cessazione del rapporto. Il dottore, per contro, chiedeva in via riconvenzionale domanda di risarcimento danni da inadempimento. Il giudice di prime cure accogliendo l'eccezione del convenuto, dichiarava la domanda improponibile in quanto nel contratto di associazione in partecipazione era presente una clausola compromissoria per arbitrato irrituale. La Corte di appello, invece, ribaltando la pronuncia del tribunale di primo grato, considerava il comportamento del convenuto incompatibile con la volontà di avvalersi della clausola compromissoria. Il giudice del gravame, dunque, determinava gli utili dovuti agli associati per gli anni dal 1987 fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel 1993, e condannava il titolare dello studio medico al pagamento delle somme liquidate, con la rivalutazione monetaria. La corte territoriale, tuttavia, respingeva la domanda degli utili relativi ai due anni successivi, ritenendo validamente esercitato il recesso con due anni di anticipo rispetto alla scadenza contrattuale per il venir meno della fiducia, caratterizzante il contratto. La controversia giungeva quindi in Cassazione su ricorso dei due soggetti associati. Il quadro normativo . In proposito, vale rammentare che ai sensi dell’art. 2549, comma 1, c.c., con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Si tratta di una forma di finanziamento da parte di un soggetto esterno ad una determinata attività, i cui proventi, ove sussistenti, costituiranno la controprestazione dell’apporto. Tale contratto, dunque, permette di raccogliere capitale da un soggetto esterno senza dover modificare gli assetti di potere interni all’impresa, cosa che invece necessariamente avviene ogni volta che è richiesto un apporto di capitale da parte dei soci. L’associante è colui che, in cambio di un apporto dell’associato, divide parte degli utili della propria impresa o quelli derivanti da un singolo affare. Questi mantiene la titolarità esclusiva dell’impresa e rimane l’unico soggetto che acquisisce e risponde delle obbligazioni assunte dall’impresa. L’associato che può essere una persona o un’impresa è colui che offre un determinato apporto in lavoro, capitale o entrambi, e in cambio acquisisce il diritto di partecipare agli utili conseguiti dall’impresa o dal compimento di uno specifico affare. L’associato, pertanto, partecipa” all’impresa ma la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante eventualmente nel contratto di associazione in partecipazione si può precisare solo che l’associato possa svolgere una forma di controllo sull’impresa. L’associato ha il diritto di partecipare agli utili d’impresa e nello stesso tempo al rischio della gestione dell’impresa questo avviene nel caso in cui il risultato della gestione dell’attività o dei singoli affari risulti in perdita. Tuttavia, l’art. 2553 c.c. si prescrive che salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto. Il ricorso in Cassazione si tratta di arbitrato irrituale . I due soggetti associati lamentano in primo luogo l'interpretazione della clausola compromissoria accolta dal giudice di merito, nel senso che sia stato pattuito un arbitrato irrituale, sostenendo che si sarebbe trattato di arbitrato rituale. In proposito, risulta opportuno ricordare la distinzione tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale. L'arbitrato rituale deriva da una convenzione di arbitrato compromesso o, come nel caso in specie, clausola compromissoria con cui le parti si accordano per fare decidere le controversie eventuali tra loro insorte da arbitri, ai sensi dell’art. 806 c.p.c., i quali sostituiscono il giudice ordinario nell'esercizio della funzione giurisdizionale e pronunciano una decisione, chiamata lodo , che ha valore di sentenza. Al contrario, si ha arbitrato libero o irrituale tutte le volte in cui le parti si limitino a dare al terzo o ai terzi un mandato ad emettere una risoluzione della controversia avente natura meramente contrattuale, destinata convenzionalmente a sostituire la volontà dei contraenti, i quali si impegnano a considerarla reciprocamente vincolante art. 808- ter c.p.c. . La Suprema Corte reputa il motivo è inammissibile in quanto il giudice del merito ha escluso l'applicabilità della causa compromissoria, in conformità con le richieste dello stesso ricorrente, che non ha alcun interesse alla questione sollevata. Il pagamento degli utili derivanti dal contratto è debito di valuta o di valore? Inoltre, i soggetti ricorrenti ritengono che la Corte di appello abbia errato nel qualificare come debito di valuta quello avente a oggetto il pagamento degli utili dovuti dal titolare dello studio medico in forza del contratto di associazione in partecipazione. In proposito, la Cassazione, tuttavia afferma che si tratta di obbligazione pecuniaria, ai sensi dell'art. 1277 c.c Infatti, secondo quanto già affermato in precedenti pronunce di legittimità si veda, su tutte, Cass. 24 luglio 2000 n. 9691 , l'obbligo di pagare una somma di denaro da determinarsi in base ad un criterio preventivamente stabilito dà luogo a un debito pecuniario, tale essendo non solo ogni debito in cui l'assetto originario della prestazione consiste in una somma di denaro già quantificata, ma anche quello in cui l'oggetto dell'obbligazione sia una somma determinabile in base a criteri di computo precostituiti sin dal momento della nascita dell'obbligazione stessa. Infatti, in entrambi i casi il pagamento della somma di denaro secondo il suo valore nominale estingue l'obbligazione, secondo il disposto dell'art. 1277 c.c Di conseguenza, gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione integrano un'obbligazione di valuta, alla quale è applicabile il principio nominalistico, secondo cui le obbligazioni pecuniarie si eseguono in conformità del loro importo nominale. Oltre a ciò, la Suprema Corte precisa che trattandosi di obbligazione pecuniaria, soggetta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria non è ammessa, traducendosi in una violazione dell'art. 1227 c.c Pertanto, si afferma il principio per cui gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione costituiscono obbligazione pecuniaria, alla quale è applicabile il principio nominalistico, con la conseguenza che non sono suscettibili di rivalutazione monetaria. Risarcimento per i danni dopo la cessazione del rapporto . I ricorrenti, poi, lamentano il mancato riconoscimento dei danni posteriori alla data dell'interruzione del rapporto da parte del titolare dello studio medico e fino alla data contrattualmente prevista, basato sull'argomento che l'associante avesse legittimamente esercitato un diritto di recesso per il venir meno dell'elemento fiduciario. La Suprema Corte, accogliendo tale motivo, osservano che il contratto di associazione in partecipazione stipulato per un periodo di tempo determinato non può essere sciolto anticipatamente a iniziativa unilaterale di una parte la quale, così facendo, si renderebbe inadempiente al contratto, ma solo risolto per inadempimento dell'una o dell'altra parte. In particolare, la Cassazione esclude che il contratto di associazione in partecipazione sia fondato su un elemento fiduciario perché stipulato intuitu personae . Nella fattispecie in esame è stato l’associante a recedere per il venir meno del supposto elemento fiduciario. Questi, infatti, avendo l'esclusiva direzione dell'impresa, non poteva dipendere nello svolgimento del contratto dal comportamento degli associati. La Suprema Corte afferma, quindi, che il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato, non è un contratto basato sull'elemento della fiducia e pertanto non è consentito il recesso unilaterale anticipato. Non è possibile il recesso unilaterale anticipato . In conclusione, la Cassazione accoglie un motivo del ricorso principale e uno del ricorso incidentale, e cassa la sentenza della Corte di appello affermando il principio di diritto per cui il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull'elemento fiduciario e quindi non ammette il recesso unilaterale anticipato. Con riferimento agli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione, inoltre, statuisce che questi costituiscono obbligazione pecuniaria, alla quale è applicabile il principio nominalistico, con la conseguenza che non sono suscettibili di rivalutazione monetaria.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 marzo - 30 maggio 2013, n. 13649 Presidente Salmè – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. La controversia verte sull'esecuzione di un contratto di associazione in partecipazione stipulato il 3 marzo 1986 dal dottor S L.G., titolare di uno studio radiologico, assodante, con i signori M L. e A V. , per la durata di nove anni. Gli associati citarono il 14 settembre 1994 il dottor L.G. lamentando l'omesso pagamento delle quote degli utili e l'unilaterale anticipata cessazione del rapporto il 2 luglio 1993. Il convenuto resistette proponendo una riconvenzionale per danni da inadempimento. Con sentenza 16 maggio 2003 il Tribunale di Nicosia, accogliendo l'eccezione del convenuto, dichiarò la domanda improponibile per la pattuizione, nel contratto, di clausola compromissoria per arbitrato irrituale. 2. Con sentenza 7 luglio 2005, la Corte d'appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Nicosia, ha ritenuto il comportamento del convenuto incompatibile con la volontà di avvalersi della clausola compromissoria. Giudicando quindi nel merito, ha determinato gli utili dovuti agli associati per gli anni dal 1987 al 1993, e ha condannato l'assodante al pagamento delle somme liquidate, con la rivalutazione monetaria dagli anni di riferimento alla pubblicazione della sentenza, qualora eccedente la misura degli interessi legali, oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza. La corte territoriale ha respinto la domanda degli utili relativi ai due anni successivi, ritenendo validamente esercitato il recesso con due anni di anticipo rispetto alla scadenza contrattuale per il venir meno della fiducia, caratterizzante il contratto. 3. Per la cassazione di questa sentenza ricorrono i signori V. e L. con atto affidato a tre motivi. Il dottor L.G. resiste con controricorso e ricorso incidentale per quattro motivi. Sia i ricorrenti principali e sia il ricorrente incidentale hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 4. Il primo motivo del ricorso principale verte sulla qualificazione dell'arbitrato nella sentenza impugnata. Si censura l'interpretazione della clausola accolta dal giudice di merito, nel senso che sia stato pattuito un arbitrato irrituale, e si sostiene che si sarebbe trattato di arbitrato rituale. 4.1. Il motivo è inammissibile, avendo la corte territoriale escluso l'applicabilità della causa compromissoria, in conformità con le richieste dello stesso ricorrente, che non ha alcun interesse alla questione sollevata con il mezzo in esame. 5. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta che il giudice di merito abbia qualificato come debito di valuta quello avente a oggetto il pagamento degli utili dovuti dal dottor L.G. in forza del contratto di associazione in partecipazione. 5.1. Il motivo è infondato, trattandosi di obbligazione pecuniaria, a norma dell'art. 1277 c.c Secondo l'insegnamento di questa corte, l'obbligo di pagare una somma di denaro da determinarsi in base ad un criterio preventivamente stabilito da luogo a un debito pecuniario, tale essendo non solo ogni debito in cui l'assetto originario della prestazione consiste in una somma di denaro già quantificata, ma anche quello in cui l'oggetto dell'obbligazione sia una somma determinabile in base a criteri di computo precostituiti sin dal momento della nascita dell'obbligazione stessa. Infatti, in entrambi i casi il pagamento della somma di denaro secondo il suo valore nominale estingue l'obbligazione, secondo il disposto dell'art. 1277 c.c. Cass. 24 luglio 2000 n. 9691 . Gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione sono pertanto un'obbligazione di valuta, alla quale è applicabile il principio nominalistico. 6. Con il terzo motivo si censura il mancato riconoscimento dei danni posteriori alla data dell'interruzione del rapporto da parte dell'associante, e fino alla data contrattualmente prevista, basato sull'argomento che l'assodante avesse legittimamente esercitato un diritto di recesso per il venir meno dell'elemento fiduciario. 6.1. Il motivo è fondato. Il contratto di associazione in partecipazione stipulato per un periodo di tempo determinato non può essere sciolto anticipatamente a iniziativa unilaterale di una parte la quale, così facendo, si renderebbe inadempiente al contratto, ma solo risolto per inadempimento dell'una o dell'altra parte. È da escludere, in particolare, che il contratto in questione sarebbe fondato su un elemento fiduciario perché stipulato intuitu personae. L'errore di diritto denunciato con il mezzo d'impugnazione in esame è tanto più evidente nella presente controversia, nella quale a recedere per il venir meno del supposto elemento fiduciario è stato l'associante il quale, avendo l'esclusiva direzione dell'impresa, non poteva dipendere nello svolgimento del contratto dal comportamento degli associati. Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in applicazione del seguente principio di diritto Il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull'elemento della fiducia e pertanto non è consentito il recesso unilaterale anticipato. 7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si censura l'impugnata sentenza per aver accolto un'eccezione di rinuncia del dottor L.G. all'arbitrato, formulata dagli appellanti, per la prima volta, in comparsa conclusionale d'appello. 7.1. Sebbene la censura appaia giustificata da una sentenza di questa corte v. Cass. 11 novembre 2011 n. 23651 , il motivo è infondato, alla luce dell'approfondimento al quale la giurisprudenza di questa corte è pervenuta in anni recenti. Occorre, infatti, considerare che nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto a istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge e-spressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva o estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale Cass. Sez. un. 27 luglio 2005 n. 15661 . L'eccezione avente per oggetto la rinuncia della parte ad avvalersi di una clausola compromissoria non è riconducibile né all'una né all'altra delle ipotesi considerate. Essa si limita ad allegare un fatto estintivo, la prova del quale è certamente a carico della parte che lo invoca, ma che, se la relativa prova sia già acquisita agli atti, può essere rilevato anche d'ufficio dal giudice. 8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, riportando in nota per esteso la propria consulenza di parte, si censura per vizio di motivazione la sentenza impugnata, che ha integralmente recepito le risultanze della relazione di consulenza tecnica contabile d'ufficio, disattendendo senza motivazione le puntuali e specifiche contestazioni mosse a quella relazione con la consulenza tecnica di parte. 8.1. Il motivo è inammissibile. Secondo la costante giurisprudenza della corte, la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili, e conformi al parere del proprio consulente giurisprudenza costante tra le più recenti, v. Cass. 29 gennaio 2010 n. 2063 . Vero è che, allorché a una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte. In sede di legittimità, tuttavia, la denuncia di un vizio consistente in acritica adesione alla consulenza di primo grado, pur in presenza di elementi richiedenti specifico esame, non può limitarsi alla generica doglianza dell'omesso esame della relazione di consulenza di parte, riportata integralmente, ma per il carattere limitato del mezzo di impugnazione è tenuto a indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali s'invoca il controllo di logicità, indicando per ciascuno di tali elementi il profilo della sua decisività, inteso come idoneità dell'elemento anche isolatamente considerato a ribaltare la decisione, secondo quanto è prescritto dall'art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., ed esponendo poi partitamente, per ciascuno di tali elementi decisivi, il valore dell'argomento critico formulato nel giudizio di merito sui singoli punti della relazione di consulenza tecnica. È invece inammissibile la mera contrapposizione delle tesi del consulente di parte a quelle del consulente d'ufficio, fatte proprie dal giudice di merito, che si risolve nella sollecitazione, rivolta al giudice di legittimità, a riesaminare il fondo della questione, prendendo autonomamente posizione sulla necessità che l'uno o l'altro argomento speso dal consulente di parte fosse oggetto di specifica confutazione in sede di decisione. 9. Con il terzo motivo si censura per falsa applicazione dell'art. 1224 c.c. il riconoscimento della rivalutazione monetaria del debito, da qualificarsi come debito di valuta. 9.1. Il motivo è fondato. Al riguardo è sufficiente qui richiamare le ragioni addotte, a motivazione del rigetto del secondo motivo del ricorso principale, supra al punto 5.1. Trattandosi di obbligazione pecuniaria, soggetta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria non è ammessa, traducendosi in una violazione dell'art. 1227 c.c La sentenza deve essere pertanto cassata su questo punto, in applicazione del seguente principio di diritto Gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione costituiscono obbligazione pecuniaria, alla quale è applicabile il principio nominalistico, con la conseguenza che non sono suscettibili di rivalutazione monetaria. 10. Con l'ultimo motivo si censura la decisione della corte di appello, che ha erroneamente qualificato come recesso il venir meno dell'elemento fiduciario del contratto, in luogo di accertare l'intervenuta risoluzione per inadempimento. 10.1. Il motivo è inammissibile. Dalla lettura dell'impugnata sentenza non risulta che fosse stata proposta una domanda di accertamento dell'intervenuta risoluzione per inadempimento. La domanda proposta dal dottor L.G. , e riportata nelle sue conclusioni, era esclusivamente di rigettare l'appello e confermare la sentenza impugnata . 11. In conclusione devono essere accolti il terzo motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale, mentre devono essere respinti nel resto i due ricorsi. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al primo giudice, perché decida in altra composizione sugli stessi punti - anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità - in osservanza dei principi di diritti indicati ai punti6.1., e 9.1 P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale. Rigetta i ricorsi riuniti nel resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Caltanissetta in altra composizione.