L’inadempimento non basta per il risarcimento: deve sussistere un pregiudizio certo

Il diritto al risarcimento dei danni nasce con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale, che incida nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale deve provare la perdita economica subita.

E’ questo il consolidato principio che la Corte di Cassazione ha ribadito nella sentenza n. 11731/13, depositata lo scorso 15 maggio. Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11731 depositata il 15 maggio 2013, si è occupata del quesito di diritto proposto da un avvocato, promissario acquirente di un immobile. Nello specifico, alla S.C. viene chiesto in seguito alla stipula di un contratto preliminare avente ad oggetto un bene immobile, l’iscrizione di ipoteca sul bene, effettuate pochi giorni dopo la stipula del preliminare alienante per un debito suo proprio, determina l’inadempimento di questi all’assetto contrattuale pattuito, con conseguente obbligo di risarcimento danni nei confronti del promittente alienante, restando al riguardo irrilevante la circostanza che non fosse ancora stato stipulato il contratto definitivo? . Risarcimento danni se si verifica un pregiudizio effettivo e reale. La Cassazione, però, concorda con i giudici territoriali e, nel rigettare i motivi del ricorso, ribadisce un importante principio giurisprudenziale il diritto al risarcimento dei danni nasce con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale che incida nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale deve provare la perdita economica subita Cass. n. 12382/2006 . Il solo inadempimento non basta. In conclusione, non è sufficiente un inadempimento, ma occorre che sussista un pregiudizio certo – anche se non nel suo ammontare – un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile Cass. n. 11322/2003 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 novembre 2012 – 15 maggio 2013, n. 11731 Presidente Felicetti – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 31 marzo 1994 G.M.L. ed E R. proponevano opposizione, dinanzi al Tribunale di Roma, avverso il decreto ingiuntivo n. 3783/1994 emesso nei loro confronti dal Presidente del predetto Tribunale su istanza dell'Avv.to C D.M. per il pagamento della somma di L. 13.402.000 a titolo di rimborso dell'INVIM e delle spese di cancellazione di ipoteca relativi alla compravendita dell'appartamento di proprietà degli ingiunti, sito in omissis . Deducevano gli opponenti che con contratto preliminare del 12.3.1992 avevano promesso di vendere al D.M. il predetto immobile, il quale però non avendo più interesse all'acquisto del bene deceduti i genitori al quale era destinato l'acquisto , chiedeva ed otteneva dai promittenti venditori procura irrevocabile a vendere, con obbligo di rendiconto, rilasciata dal R. il 4.12.1992 e dalla G. l’8.6.1993, avendo corrisposto integralmente il prezzo pattuito in L. 553.000.000, saldata l'ultima quota di L. 203.000.000 il 9.9.1992 nell'occasione il promissario acquirente rilasciava dichiarazione in favore dei promittenti venditori che dalla predetta data le imposte dirette, ordinarie e straordinarie gravanti sull'immobile sarebbero state a suo carico, per cui doveva ritenersi che l'opposto si era accollato le spese richieste, cui doveva conseguire la revoca del di, non avendo peraltro il procuratore reso il conto. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del D.M. , il quale spiegava, altresì, riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni, in quanto avendo ricevuto proposta di acquisto dell'appartamento nell'aprile 1993 per il prezzo di L. 475.000.000, l'affare non si era concluso perché l'immobile risultava gravato da ipoteca di L. 600.000.000, che aveva dovuto cancellare, e successivamente aveva venduto il bene al minore prezzo di L. 372.000.000, il giudice adito respingeva l'opposizione, nonché l'azione di rendiconto, con conferma del d.i. inoltre, in accoglimento della riconvenzionale, condannava, gli opponenti al risarcimento dei danni che liquidava in ragione degli interessi legali sul prezzo di vendita per il ritardo che l'iscrizione pregiudizievole risultava avere causato. In virtù di appello interposto dal D.M. , con il quale lamentava che non gli fosse stato riconosciuto il danno in ragione della minore somma riscossa, la Corte di appello di Roma, nella resistenza degli appellati coniugi R. - G. , i quali proponevano appello incidentale, in aggiunta ad un autonomo gravame, respingeva entrambi gli appelli. A sostegno della decisione adottata la corte capitolina - premessa l'ammissibilità dell'appello proposto dai coniugi R. - G. , nonché della riconvenzionale spiegata dal D.M. ampliata la materia del contendere dalla stessa opposizione - evidenziava che la quietanza a saldo rilasciata dal R. il 9.9.1992, in calce al preliminare, anche a nome della moglie, rendeva ragione della soddisfazione di ogni pretesa dei promittenti venditori, i quali erano tenuti al pagamento dell'INVIM, per essersi assunto il D.M. le imposte sui redditi gravanti per il futuro sull'immobile e tale non poteva essere considerata l'imposta riferita all'incremento di valore maturato prima del patto di dilazione. Quanto alle contrapposte doglianze delle parti relative alla liquidazione del risarcimento dei danni in favore del D.M. , la corte distrettuale sottolineava che le procure a vendere avevano costituito fra le parti solo una modalità concordata per dare esecuzione all'obbligazione di vendita assunta con il contratto preliminare, per cui i promissari acquirenti non si potevano lamentare del riconoscimento della voce di danno collegata alla iscrizione ipotecaria da loro stessi autorizzata né poteva essere liquidato un maggior danno in favore del D.M. a fronte di una proposta che prevedeva la stipulazione del definitivo per il settembre 1993, mentre la cancellazione del gravame era avvenuta già nel giugno 1993 e non potendo il rogito notarile costituire prova del minore prezzo in esso quietanzato nei confronti di terzi estranei all'atto. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il D.M. , articolato su sei motivi, al quale hanno resistito i coniugi R. - G. con controricorso, i quali hanno anche presentato ricorso incidentale affidato a due motivi. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Va, preliminarmente, disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto si rivolgono avverso la medesima decisione. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 1329 e ss. c.c., oltre a vizio di motivazione, in relazione al rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo per avere il giudice del gravame respinto la domanda riconvenzionale dell'opposto fondandosi su una inesatta configurazione del rapporto sussistente tra preliminare e definitivo, di irrilevanza dell'iscrizione dell'ipoteca fino al momento della stipula del definitivo assume il ricorrente che diversamente l'orientamento della Suprema Corte sarebbe nel senso che qualsiasi preliminare di vendita attribuisce al promissario acquirente una protezione intensa, sì da assicurare che l'interesse di questi alla sostanziale conservazione degli impegni assunti non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente alienante. Il motivo conclude con il seguente quesito In seguito alla stipula di un contratto preliminare avente ad oggetto un bene immobile, l'iscrizione di ipoteca sul bene, effettuata pochi giorni dopo la stipula del preliminare da parte del promittente alienante per un debito suo proprio, determina l'inadempimento di questi all'assetto contrattuale pattuito, con conseguente obbligo di risarcimento danni nei confronti del promittente alienante, restando a riguardo irrilevante la circostanza che non fosse ancora stato stipulato il contratto definitivo? . Con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia la corte di merito pur avendo esattamente rilevato che le parti avevano concordato una modalità di adempimento del preliminare diversa dalla stipula dell'atto pubblico, ha poi contraddittoriamente ritenuto non esistente il danno poiché la cancellazione dell'ipoteca avvenne prima della data fissata per il rogito, senza tenere conto che la proposta dei F. -T. era espressamente condizionata all'inesistenza di pesi, vincoli, iscrizioni e trascrizioni. Conclude che il giudice del gravame avrebbe fatto un cattivo governo dei documenti acquisiti e della prova testimoniale assunta teste Fe. . Le censure - da trattare congiuntamente, prospettando, anche se sotto un diverso profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione , le medesime circostanze - sono destituite di fondamento poiché esse non colgono la vera ratio decidendi della sentenza impugnata e, quindi, non possono provocarne l'annullamento. La corte distrettuale non ha negato l'esistenza di un inadempimento dei promittenti venditori, ma ha basato la sua motivazione soprattutto sulla considerazione che l'esistenza dell'iscrizione ipotecaria avrebbe acquistato rilevanza solo con il rogito, non stipulato nell'immediato, su richiesta dello stesso promissario acquirente, ma il 29.10.1993, allorché il gravame era stato già cancellato, in particolare nel giugno, per cui alcun danno in concreto poteva ritenersi sofferto dal ricorrente principale. La correttezza della impostazione giuridica accolta dalla corte di merito è ineccepibile. Infatti è pur vero che l'iscrizione pregiudizievole in astratto ben avrebbe potuto compromettere la conclusione dell'affare, ma correttamente la corte distrettuale ha sottolineato come anche l'impegno di acquisto sottoscritto da terzi il 2.6.1993 recava la previsione del settembre 1993 per la stipula del contratto definitivo, epoca in cui questa sarebbe comunque cessata, ragione per la quale ha ritenuto necessaria anche la dimostrazione della prevedibilità del danno. Nel caso di specie la corte territoriale, dunque, con un apprezzamento di fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, ha analizzato le risultante probatorie, in particolare le prove documentali, ha raffrontato le date delle contrapposte circostanze dedotte dalle parti pagina 6 della sentenza ed ha concluso per la inesistenza del danno. Le richiamate affermazioni del giudice di appello sono sufficienti di per sé a sorreggere la decisione adottata. Giova ricordare in proposito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte .il diritto al risarcimento dei danni nasce con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale che incida nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale deve provare la perdita economica subita in tal senso, in ipotesi di responsabilità contrattuale, Cass. 25 maggio 2006 n. 12382 . Ne consegue che non è al riguardo sufficiente l'esistenza di un inadempimento, ma occorre che sussista un pregiudizio certo anche se non nel suo ammontare , un'entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile v. Cass. 21 luglio 2003 n. 11322 Cass. 12 giugno 2001 n. 7909 . Le argomentazioni proposte dal ricorrente non appaiono risolutive in quanto non indicano aspetti contraddittori della motivazione adottata dalla corte territoriale che offre una lettura delle risultanze probatorie esente da critiche , ma propongono ancora una volta una propria lettura del complessivo materiale probatorio diversa rispetto a quella del giudice. Neppure può imputarsi al giudice di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio nella specie la deposizione della teste Fe. ritenuti non significativi, giacché né l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione la circostanza che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazione delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo v., tra le molte, Cass. 16 luglio 2005 n. 15096 Cass. 23 gennaio 2003 n. 996 Cass. 30 marzo 2000 n. 3904 . Con il terzo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione dell'art. 1372 c.c., anche per vizio di motivazione, per avere la corte di merito ritenuto la inefficacia nei confronti dei terzi del contratto pubblico stipulato il 29.10.1993 dal ricorrente con l'acquirente dell'immobile in contesa, in particolare del minore prezzo in esso quietanzato, senza considerare che il contratto può produrre effetti indiretti o riflessi anche nei confronti di terzi quale conseguenza sul piano fattuale del fatto storico che il contratto è stato concluso, come esistenza del regolamento contrattuale. Il motivo culmina con il seguente quesito Un contratto concluso con altri può legittimamente essere considerato come fatto storico o comunque come mero atto giuridico, sicché - senza violare il principio di relatività del contratto - essere assunto quale fonte di prova in un rapporto giuridico intercorrente tra parti diverse? . La critica a detta interpretazione dell'efficacia del contratto, oltre ad essere manifestamente infondata, è stata proposta in modo inammissibile. Osserva, infatti, il collegio che trattandosi di controversia soggetta, ratione temporis , alla disciplina dettata dal D.Lgs.vo n. 40 del 2006, l'illustrazione della censura, concernente il caso previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto rispettoso delle prescrizioni dettate dall'art. 366 bis c.p.c., primo periodo. Nella specie, il quesito posto da parte ricorrente mostra di non cogliere la ratio decidendi prescelta dal giudice, ma chiede che sia affermata la applicabilità dell'art. 1372 c.c. al caso in esame, quanto meno come fatto storico, per cui non risulta risolutivo del punto della controversia, tale non potendosi definirsi la richiesta di declaratoria di un'astratta affermazione di principio Cass. 3 agosto 2007 n. 17108 che non sia conferente e che non conduca ad alcuna conseguenza rispetto alla fattispecie concreta Cass. 21 maggio 2007 n. 11682 , quale l'enunciazione della regula iuris sull'efficacia del contratto, avulsa dal contesto in cui l'accertamento è stato richiesto rispetto ad un terzo, non rientrante in alcuna delle categorie previste espressamente dalla legge ex art. 1372, ult. parte, c.c Giova aggiungere che nemmeno è dato discutere di efficacia riflessa del contratto o meglio, di taluni elementi dello stesso , quale oggettiva regolazione di interessi fra due parti, che presuppone che i terzi rimasti estranei all'accordo non siano titolari di un diritto autonomo rispetto a quello oggetto del negozio, con la conseguenza che il prezzo indicato in un atto di compravendita non può costituire prova della sua effettività nei confronti dei terzi allorquando venga dedotto in via strumentale, per paralizzare loro interessi cfr Cass. 14 luglio 1988 n. 4605 . Con il quarto motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 132 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere i giudici di merito disatteso la quantificazione del danno dedotta dall'allora opposto, il quale ha identificato il criterio di quantificazione del danno nella differenza tra il prezzo di acquisto proposto dai F. -T. e quello effettivamente incassato in seguito alla vendita al secondo acquirente. Prosegue il ricorrente che la motivazione adottata è meramente apparente, limitandosi a richiamare quella del giudice di primo grado, senza minimamente spiegare per quali motivi il giudizio del primo giudice fosse da condividere o comunque incongrua, in contrasto con la previsione che il danno comprende il lucro cessante, quale mancato guadagno. Il motivo pone il seguente quesito La motivazione di una sentenza resa in grado di appello che si limiti a dichiarare che restano valide le considerazioni della sentenza di primo grado, senza esprimere le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, viola l'art. 132 c.p.c.? Al fine di quantificare il danno subito dal contraente non inadempiente a seguito di un inadempiente a seguito di un inadempimento dell'altra parte di un preliminare di vendita di un immobile, è legittimo prendere in considerazione la differenza tra il prezzo che sarebbe stato incassato se fosse stata conclusa una successiva vendita dell'immobile non conclusa a causa dell'inadempimento ed il prezzo poi incassato in sede della vendita poi effettivamente conclusa? . Il quesito è integrato dalla indicazione di ulteriori censure allegate quali indicazioni di fatti controversi pag. 33 del ricorso , sostanzialmente ripetitive delle censure già formulate e già rigettate con i primi due motivi e con il quesito. Il motivo è inammissibile, non essendo assistito da quesito di diritto e momento di sintesi conformi ai principi enunciati da questa Corte in relazione alle prescrizioni dell'art. 366 bis c.p.c., né cogliendo la ratio decidendi della sentenza il minor prezzo, secondo la Corte di appello, non risulta provato . Il quinto motivo del ricorso principale, con il quale viene denunciata la violazione o falsa applicazione dell'art. 1225 c.c. per avere la corte di merito erroneamente escluso la sussistenza del danno non essendo prevedibile per i promittenti venditori, culmina con il seguente quesito Costituisce dolo dei promittenti venditori consentire l'iscrizione di un'ipoteca volontaria sull'immobile oggetto di un contratto preliminare di compravendita quattro giorni dopo la conclusione del preliminare? È legittimo escludere la sussistenza del danno a seguito di inadempimento, ritenendo che lo stesso non sarebbe stato prevedibile, nel caso in cui l'inadempimento sia dovuto al fatto del promittente alienante che abbia iscritto un'ipoteca sull'immobile oggetto di preliminare? . Anche detta doglianza non è accoglibile, poiché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che è da ravvisare nella mancata dimostrazione del danno lamentato, per quanto esposto ai motivi 1 e 2 di cui sopra, utilizzato dalla corte distrettuale il termine prevedibile”, con riferimento al danno, in senso atecnico, come si evince chiaramente dal contesto delle argomentazioni sviluppate sull'appello proposto dall'opposto. Con il sesto motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 112 cpc, anche per vizio di motivazione, per avere la corte di merito facendo riferimento ad un fatto notorio confutato la rilevanza della prova fornita dal ricorrente in relazione al prezzo incassato in seguito alla compravendita intervenuta con Giuseppina Corsaro e conclude con il seguente quesito il principio del libero convincimento del giudice autorizza il giudice a ritenere notorio un fatto che è meramente ipotetico? L'individuazione del valore di un immobile può legittimamente rientrare nella categoria del fatto notorio? Il giudice può legittimamente porre a fondamento della decisione il fatto notorio disattendendo le prove fornite dalle parti? Può il giudice legittimamente sollevare ex officio un'eccezione di simulazione relativa rispetto al prezzo pagato per acquistare un immobile se nessuna delle parti ha sollevato la questione né ha contestato l'ammontare del prezzo risultante da un atto pubblico? . Il motivo è inammissibile, per astrattezza del quesito formulato, che non risponde alle prescrizioni dell'art. 366 bis c.p.c., secondo l'ormai consolidata interpretazione di questa Corte, non raccordando i principi che si chiede di affermare alla specificità della fattispecie ed alla motivazione della sentenza impugnata. Passando all'esame del ricorso incidentale, con il primo motivo, i controricorrenti denunciano la violazione dell'art. 1363 c.c. per avere la corte di merito fatto malgoverno delle risultanze probatorie, in particolare della dichiarazione del promissario acquirente di accollarsi l'onere del pagamento di ogni tipo di imposta, escluso che nell'obbligo assunto vi rientri l'INVIM, ponendo il seguente quesito Accerti e verifichi la S.C. se in presenza di un negozio in forza del quale una delle parti abbia dichiarato di accollarsi ogni tipo di imposta, sia lecita l'esclusione dell'Invim quale onere che continua a gravare sulla parte beneficiaria , mentre con il secondo motivo denunciano il vizio di motivazione, contestano la riferibilità alla G. della quietanza di saldo rilasciata dal R. anche per la parte di prezzo spettante alla coniuge. Entrambe le critiche appaiono infondate. Quanto all'imposta INVIM, costituisce ius receptum di cui al D.P.R. n. 643 del 1972, art. 27, che pone espressamente, recependo il principio dettato dall'art. 53 Cost., la necessaria correlazione tra l'obbligo generale di contribuzione economica e la capacità contributiva dei singoli che nei trasferimenti a titolo oneroso l'unico soggetto passivo dell'imposta è l'alienante, con divieto di traslazione dell'imposta Cass. 6 novembre 2006 n. 23615 , per cui non rilevano, a tali fini, accordi in senso diverso, e la cui violazione comporta la nullità di ogni patto diretto a trasferire a terzi l'onere impositivo. Per ciò che attiene alla quietanza di saldo, osserva il collegio che la circostanza non risulta essere stata contestata avanti al giudice di prime cure e comunque non ha formato oggetto di impugnazione che detto atto liberatorio sia stato sottoscritto dal R. anche in nome dell'altro coniuge. Orbene qualora la sentenza di primo grado contenga una pluralità di statuizioni, l'eventuale appello può giovare solo alla parte che abbia esercitato il diritto di impugnazione, per rimuovere quelle ad essa sfavorevoli, mentre le altre, se non censurate dalla controparte con appello incidentale, restano coperte da giudicato v. ex plurimis , per il giudizio di legittimità, Cass. 5 agosto 2011 n. 17031 . Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso principale e quello incidentale devono, dunque, essere respinti, con compensazione delle spese del giudizio di cassazione, stante la reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di cassazione.