Per l’efficacia del contratto basta un accordo sugli aspetti essenziali della compravendita

Ai fini della validità del contratto preliminare non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali.

In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege l’atto scritto come per il definitivo , è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, avere le parti inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché, appunto, l’intervenuta convergenza delle volontà sia comunque, anche aliunde o per relationem , logicamente ricostruibile. La Corte di Cassazione, con la sentenza del 1° febbraio 2012, n. 2473, risolve una interessante questione in tema di interpretazione di un accordo raggiunto in sede di conciliazione innanzi al giudice di pace, qualificando lo stesso, in presenza di un contrasto tra le parti, come contratto preliminare. Il caso. La vicenda in esame ha inizio da un accordo, raggiunto innanzi al giudice di pace quale giudice conciliatore, relativo alla vendita di un immobile, il cui valore era stato rimesso, per accordo tra le parti, ad una stima operata da un terzo. Con tale accordo le parti avevano altresì raggiunto un accordo sulle modalità di vendita dell’immobile stesso, pur non avendone definito tutti gli aspetti. Orbene, sorge un contenzioso tra le parti relativo, appunto, alla validità o meno dell’accordo e alla qualificazione dell’accordo stesso come contratto preliminare di vendita, con tutte le conseguenze del caso. Risolta la questione dal giudice di primo grado nel senso della sussistenza di un valido preliminare, la decisione viene poi riformata in appello, sostenendo i giudici di secondo grado che quello sottoscritto tra le parti non poteva considerarsi come contratto preliminare, mancando di alcuni elementi essenziali. La Corte di Cassazione rimette la decisione alla Corte di appello, ritenendo che da parte della stessa vi sia stata un’interpretazione non completa dell’istruttoria e che, soprattutto, non ha tenuto in considerazione la volontà delle parti che era, appunto, quella di effettuare la compravendita dell’immobile in questione . Le regole sull’interpretazione . Il codice civile, in tema di interpretazione dei contratti, detta una serie di regole per la corretta comprensione, soprattutto in presenza di contrasti tra le parti, degli accordi contrattuali. In primo luogo, si distinguono le regole di interpretazione soggettiva da quelle oggettiva, ovvero, secondo altra classificazione, norme interpretative essenziali o principali artt. 1362-1365 c.c. e in norme interpretative integrative o sussidiarie artt. 1366-1371 c.c. . Tra tali disposizioni sussiste una sorte di gerarchia, sia nel senso che il primo gruppo di norme precede e prevale sulle seconde, sia nel senso che, nell’ambito delle norme interpretative principali, quella sulla funzione, prevale sulle altre e, in particolare, su quelle strutturali linguistiche, quali sono la norma relativa al senso letterale delle parole e la norma sull’intera dichiarazione composta, perché le norme sulla struttura dichiarativa sono strumentali rispetto allo scopo che le parti intendono conseguire, cosicché le norme sull’intenzione delle parti sono dotate di una priorità logica, che è confermata anche dalla loro precedenza nel testo del codice civile. Il criterio interpretativo della comune intenzione delle parti . Particolare importanza assume il criterio ermeneutico della comune intenzione delle parti , ossia la previsione di cui all’art. 1362. In tema di interpretazione del contratto, il giudice di merito, nel rispetto degli artt. 1362 e 1363 c.c., per individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, deve preliminarmente procedere all’interpretazione letterale dell’atto negoziale e, cioè, delle singole clausole significative, nonché delle une per mezzo delle altre,dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità e non la mera difficoltà di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l’interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione. Nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell’operazione interpretativa, peraltro, è costituito dalle parole ed espressioni del contratto, restando escluso, ove esse indichino un contenuto sufficientemente preciso, che l’interprete possa ricercare un significato diverso da quello letterale in base ad altri criteri ermeneutici, il ricorso ai quali presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale. Il contenuto del preliminare di compravendita . La sentenza in commento si ricollega alla ormai prevalente giurisprudenza in materia che non ritiene necessaria, ai fini della configurabilità del contratto preliminare, come tale e, quindi, vincolante, la puntuale e dettagliata determinazione di tutti i profili del negozio. Si è osservato, infatti, in termini sostanzialmente analoghi alla pronuncia in questione, che in materia di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma nel senso che deve essere rispettata l’esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso pertanto, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo. La minuta del contratto è fonte di impegno tra le parti? Secondo la giurisprudenza, in tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto non è configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrattuale per tale valutazione, ben può il giudice, come visto, far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli art. 1362 ss. c.c., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre. Interpretazione del contratto secondo buona fede anche del preliminare. L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, che, nell’ambito contrattuale, implica un obbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all’esecuzione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo, in definitiva, in ogni sua fase. Azione ex art. 2932 c.c. quale inadempimento del preliminare? Nel caso di un contratto preliminare di vendita, è sufficiente il mancato adempimento della prestazione, ancorché non connotato da gravità, a giustificare l’esperimento dell’azione di cui all’art. 2932 c.c., dovendosi ritenere impropria la trasposizione, in tema di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, di una disposizione del tutto peculiare come quella contenuta nell’art. 1455 c.c Un caso particolare il preliminare diretto alla cessione di cubatura . L’accordo preliminare diretto alla cessione di cubatura - con cui una parte proprietario cedente si impegna a prestare il proprio consenso affinché la cubatura o parte di essa che, in base agli strumenti urbanistici, gli compete venga attribuita dalla p.a. al proprietario del fondo vicino cessionario compreso nella medesima zona urbanistica - non richiede la forma scritta ad substantiam , dovendosene escludere la natura di contratto traslativo di un diritto reale ne consegue che, per ricostruire la comune volontà delle parti in relazione all’individuazione del fondo del cessionario, destinatario dell’aumento di volumetria, può farsi riferimento al comportamento complessivo dei contraenti in sede esecutiva, successivamente alla stipulazione dell’accordo. Preliminare e normativa urbanistica . La disposizione che sancisce la nullità degli atti fra vivi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica, non si applica ai contratti ad effetti obbligatori, quale il preliminare di compravendita. Il vizio relativo alla normativa urbanistica, peraltro, pur non inficiando la validità del preliminare, osta all’emissione della sentenza sostitutiva del contratto definitivo di compravendita immobiliare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., non solo in caso di totale assenza della concessione edilizia, ma anche per la totale difformità da essa dell’immobile promesso in vendita.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 ottobre 2012 - 1° febbraio 2013, n. 2473 Presidente Oddo – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 Secondo il tribunale di Alessandria, tra l'acquirente M.D. e gli odierni resistenti O. -B. nel 1998 era intervenuta la promessa di compravendita di un immobile sito in omissis , da portare a compimento con sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 c.c Secondo la Corte di appello di Torino, che il 19 settembre 2005 ha riformato la sentenza di primo grado, l'accordo invocato dall'attore non costituiva atto di vendita e non aveva nemmeno i requisiti della c.d. puntuazione. Si trattava infatti di un'intesa di arbitraggio sottoscritta nell'aprile 1998 davanti al giudice di pace di Valenza, al quale il M. si era rivolto con domanda di conciliazione. In quella sede le parti avevano stabilito di chiedere a un consulente la stima del bene, genericamente dichiarando di impegnarsi a rogitare l'immobile , senza tuttavia assumere, ad avviso della Corte d'appello, gli obblighi contrattuali formali necessari per stipulare una vendita immobiliare. La Corte reputava quindi ineccepibile il rifiuto di vendere l'immobile verbalizzato alla successiva udienza davanti al giudice di pace, svoltasi nel dicembre 1998, a causa della mancata accettazione della stima. M. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 2 novembre 2006, resistito da controricorso degli intimati. Parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 2 Il ricorso consta di due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1366-1367-1369-1370 e 1371 c.c., nonché vizi di motivazione. Con il primo profilo, il ricorso rileva fondatamente che la sentenza impugnata ha male applicato le norme in tema di interpretazione dei contratto, perché ha omesso di considerare la volontà delle parti 18375/06 , pur avendo attribuito natura di scrittura privata riconosciuta all'accordo di cui al verbale redatto davanti al giudice di pace. La difesa del M. evidenzia che l'analisi della comune intenzione delle parti avrebbe dovuto muovere dal senso letterale delle parole impegnarsi a rogitare , che i contraenti avevano utilizzato, estendendosi all'uso degli altri canoni ermeneutici. Tra questi avrebbe dovuto essere valorizzato il comportamento complessivo delle parti stesse, tenendo conto della testimonianza resa dal giudice di pace, il quale aveva confermato che le parti avevano aderito,in udienza e su sua proposta, all'accordo sulla vendita dell'immobile degli O. al prezzo che sarebbe stato stabilito dal consulente. Valore confermativo della pienezza dell'obbligo contrattuale avrebbe dovuto essere dato, m un esame complessivo della vicenda 1 al successivo comportamento assunto all'udienza del 14-2-1998, nel quale gli O. rifiutarono l'offerta, pur ammettendo i precisi impegni assunti 2 alla ctu affidata al geom. Om. , contenente le indicazioni utili in ordine all'oggetto del contratto. 2.1 Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per avere affermato che il contratto non si sarebbe perfezionato a causa della incompleta indicazione di tutti gli elementi del negozio. Invoca la giurisprudenza che ritiene sufficiente, per la validità del preliminare, l'accordo sugli elementi essenziali del contratto, che emergevano dalla consulenza acquisita. Con riferimento alla parte in cui la Corte torinese ha qualificato come mera intesa di arbitraggio il verbale sottoscritto dalle parti, il ricorso, che lamenta violazione degli artt. 1349-1350-1351-1346-1183-1473 e 1374, sostiene la compatibilità di detta intesa con il contratto preliminare. Vi si sottolinea che l'intesa di arbitraggio presuppone un contratto già concluso, così emergendo la contraddittorietà della tesi della Corte d'appello, che dopo aver parlato di detta intesa ha negato perfino dignità di puntuazione all'accordo raggiunto. 3 Le censure colgono nel segno nei limiti in cui si dirà. La Corte d'appello è partita dalla considerazione che non ci si trovi di fronte ad un verbale di conciliazione ex art. 322 cpc, perché al momento dell'istanza di conciliazione non vi era contenzioso tra le parti, ma solo una difficile trattativa per l'acquisto dell'immobile. Ha ritenuto che i contendenti siano pervenuti alla sottoscrizione di una scrittura che potrebbe avere avuto funzione puramente documentativa . Ha tratto argomento a questo fine dalla tesi, errata, che per aversi un definitivo vincolo contrattuale, le parti debbano raggiungere intesa su tutti gli elementi del negozio . Ha affermato che il contenuto dell'accordo in questione non avrebbe valore negoziale, perché non contiene una descrizione del bene, di accessori, destinazione, termini di adempimento, dello stato materiale e ipotecario dell'immobile. Ha negato la possibilità di una etero integrazione giudiziale della pregressa intesa. 3.1 Le tesi esposte in sentenza sono viziate in primo luogo, sotto il profilo della violazione di legge, dalla errata convinzione che non ci si trovi di fronte a contratto preliminare relativo a compravendita immobiliare, perché tale contratto solenne deve recare ogni suo elemento all'interno della scrittura firmata dalle parti . È contraddetto in tal modo l'insegnamento di questa Corte, laddove afferma che Ai fini della validità del contratto preliminare non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l'accordo delle parti sugli elementi essenziali. In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege è atto scritto come per il definitivo, e1 sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l'identificazione in modo inequivoco, avere le parti inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché, appunto, l'intervenuta convergenza delle volontà' sia comunque, anche aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile Cass. 8810/03 7935/97 . Nella specie si apprende dal ricorso pag. 2, recante fedele descrizione verificabile nella documentazione in atti che il verbale sottoscritto si riferiva univocamente a una transazione immobiliare transazione è vocabolo con cui nel linguaggio corrente si intende non solo l'istituto di cui all'art. 1965 c.c., ma anche più semplicemente un affare o un' intesa o un accordo o anche una vendita, se di questo si tratta relativa ad un immobile sito in OMISSIS . Si apprende inoltre che le parti intendevano affidare la valutazione commerciale di esso ad un ctu nominato dal giudice di pace adito. 3.2 Ora, alla luco dell'insegnamento giurisprudenziale ricordato e di questo contenuto della scrittura, preciso nell'individuazione del bene e del criterio di individuazione del prezzo, non risulta corretta giuridicamente, né congrua e logica, la motivazione della sentenza, allorquando nega non solo la dignità di contratto preliminare con riferimento ad un elemento il prezzo determinabile, ma persino che si trattasse di puntuazione contrattuale. In presenza di uno scritto avente astrattamente contenuto negoziale, proveniente consensualmente dalle parti e acquisito in sede conciliativa davanti al giudice di pace, al di là della natura di conciliazione giudiziale di cui all'art. 322 cpc, che non è stata sancita a causa del rifiuto di una delle parti dopo l'acquisizione della consulenza, l'art. 1362 c.c., evocato nel primo motivo, imponeva comunque di interrogarsi sul contenuto dell'accordo, al lume dei criteri ermeneutici fissati nel codice civile. Il diniego della natura negoziale dell'intesa così la definisce contraddittoriamente la sentenza, assimilandola ad intesa di arbitraggio vien fatto risalire v. pag. 10 sentenza alla asserita irrilevanza dell'espressione impegno a rogitare l'immobile al prezzo che verrà determinato dal ctu , contenuta nel testo della scrittura. La Corte d'appello ha ritenuto che tale affermazione non avrebbe il valore negoziale che parte ricorrente le attribuisce perché mancherebbero la descrizione dell'immobile e di altre condizioni accessorie e perché mancherebbe la documentazione circa un'intesa sugli elementi della vendita. Tale affermazione, riguardata al lume della giurisprudenza citata, è del tutto apodittica il tenore letterale prefigura infatti un obbligo di rogitare , espressione che allude chiaramente alla formazione di atto pubblico a ministero di notaio, al fine di trasferire la proprietà di un bene il bene viene indicato puntualmente e un soggetto terzo consulente scelto dal giudice di pace viene incaricato di stimarne il prezzo, da pagare in corrispettivo dell'acquisto, con la conseguente implicita individuazione de], corrispettivo stesso e di tutto quanto rileva a questi fini estensione dell'immobile, pertinenze, condizione materiale, giuridica, etc. La norma di cui all'art. 1362 c.c. dispone che Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto . A fronte di un testo letterale apparentemente chiaro, la sentenza non poteva limitarsi, come ha fatto, a esprimere le ragioni di dissenso rispetto a quanto opinato dal primo giudice circa la sussistenza di una conciliazione rituale ex art. 322 c.p.c., ma doveva più approfonditamente interrogarsi sulla portata del testo sottoscritto, sul senso delle paro]e e, ove le avesse ritenute non univoche, contrariamente a quanto appare a questa Corte, avrebbe dovuto ricercare la comune intenzione delle parti. 3.3 Non vale qui invocare, come fa il controricorso, quella giurisprudenza secondo cui nei contratti per i quali e1 prevista la forma scritta ad substantiam , la ricerca della comune intenzione delle parti deve essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto v. Cass. 14444/06 . Presupposto di questa regola è che il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità1, ma ciò non si avvera nel caso in esame, giacché l'equivocità viene ricollegata dalla Corte piemontese all'erroneo presupposto che per assumere valore negoziale una promessa di compravendita debba contenere tutti gli elementi da essa elencati nella seconda parte di pag. 10 e non la semplice individuazione determinata o determinabile del bene compravenduto e della controprestazione. 4 Da questi rilievi emerge la necessità di un completo riesame del materiale acquisito, poiché la Corte di appello ha omesso di considerare sia le risultanze testimoniali, riportate in ricorso, che avrebbero decisivamente contribuito a illuminare l'intenzione delle parti, sia la portata del verbale dell'udienza di rinvio, nella quale si diede atto del rifiuto ad addivenire alla vendita per il prezzo stimato dal consulente, nonostante preciso impegno assunto , frase meritevole di adeguata considerazione circa la portata della scrittura che la Corte di appello ha ritenuto insignificante con approssimativa e illogica valutazione. Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Torino che si atterrà al principio di diritto recato da Cass. 8810/03 e procederà a nuova interpretazione della scrittura de qua alla luce dei canoni ermeneutici di cui all'art. 13 62 e ss c.c., rinnovando la motivazione. Procederà inoltre alla liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.