Contestazioni sull’onorario richiesto al cliente e liquidato dal giudice: spetta all’avvocato evidenziare le voci tralasciate

In tema di compensi per lo svolgimento di attività professionale, anche in materia stragiudiziale, la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa, che assume essere state violate.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 20 dicembre 2012, n. 23766, con la quale, in tema di tariffe forensi, fornisce alcune precise indicazioni qualora l’avvocato ritenesse opportuno contestare, in sede giudiziaria, la liquidazione operata in suo favore. I fatti un compenso contestato. L’ordinanza in commento, emessa dalla sesta sezione della S.C., è relativa ad una questione avviata da un avvocato per quanto concerne le proprie competenze in un’operazione di consulenza in materia di trust consulenza ed attività che, però, non hanno prodotto un utile risultato per la committente, che infatti si era rifiutata di pagare l’ingente parcella del legale questi ottiene, dopo un primo giudizio di rigetto, un parziale riconoscimento dalla Corte di Appello che, effettivamente, afferma il suo diritto al compenso, seppur in misura largamente ridotta rispetto a quanto dal medesimo prospettato e richiesto alla sua cliente. La Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso rilevando, da un lato, che non erano state contestate specificamente le voci liquidate e che, dall’altro, non spetta in sede di legittimità un controllo sulle liquidazioni effettuate dai giudici di merito, se rese all’interno del tariffario. Il provvedimento in questione, reso in un giudizio nel quale il riferimento erano le ormai abrogate tariffe forensi di cui al D.M. 8 aprile 2004, e sostituite dai parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, offre l’occasione per esaminare, oltre che la questione in esame, altri profili di interessi in tema di liquidazione giudiziarie delle competenze degli avvocati. La specificazione delle doglianze in sede di legittimità. Secondo un pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiamato anche dall’ordinanza in commento, colui che ricorre per cassazione, impugnando la legittimità della liquidazione dell’onorario di difesa per il fatto che non sia stato ridotto alla metà in considerazione della sola qualifica di procuratore legale rivestita dal patrono dell’altra parte, ha l’onere di specificare l’asserito divario fra l’importo liquidato dal giudice di merito e quello che assume corrispondente, secondo la tariffa, alle prestazioni rese dal difensore. Più in generale, è necessario che il ricorrente contesti voce per voce le risultanze liquidate, confrontandole con quelle previste dal tariffario. Il controllo di legittimità sulla liquidazione degli onorari. Ben limitato, peraltro, è il controllo della Cassazione anche in caso di puntuale specificazione delle contestazioni relative alle voce come sopra descritto. Infatti, il convincimento espresso dal giudice di merito circa l’importanza ed il valore delle pratiche trattate dal professionista legale, il pregio dell’opera da lui svolta, i risultati ed i vantaggi conseguiti dal cliente, ai fini della determinazione dell’onorario, si sottraggono al sindacato di legittimità, quando la motivazione sia immune da vizi logici o giuridici. In un caso, in particolare, la Cassazione ha ritenuto congrua e corretta la statuizione dei giudici di merito che, pur riconoscendo la straordinaria importanza delle cause trattate, avevano negato l’applicabilità della percentuale massima del tre per cento prevista per le cause di valore superiore a cinquecento milioni, liquidando la spesa in una misura intermedia tra il minimo ed il massimo, in quanto il contenuto sostanzialmente unitario dell’intera vicenda processuale imponeva una liquidazione in una misura intermedia per evitare risultati eccessivi e sproporzionati. Condotta negligente? La prova è a carico del cliente. In tema di liquidazione del compenso per l’esercizio della professione forense, è il cliente che deve fornire la prova che l’avvocato abbia svolto l’attività difensiva affidatagli con imperizia o comunque con impegno inferiore alla comune diligenza, altrimenti le singole voci ben possono essere liquidate al di sopra del minimo tariffario solo se chieda compensi al di sopra del massimo previsto, il professionista deve fornire, a norma dell’art. 2697 c.c., la prova degli elementi costitutivi del diritto fatto valere, cioè delle circostanze che nel caso concreto giustifichino detto maggiore compenso, restando in difetto applicabile la tariffa nell’ambito dei parametri previsti. Quale termine per la prescrizione del diritto al compenso . Il termine della prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso, ai sensi dell’art. 2957, comma 2, c.c., decorre dall’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico, il quale è fondato sul contratto di patrocinio, regolato dalle norme di diritto sostanziale del mandato, e non sulla procura ad litem , il cui fine è solo di consentire la rappresentanza processuale della parte tale termine, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza d’appello, senza che rilevi il conferimento di una nuova procura per l’appello al medesimo difensore, perché ciò implica la prosecuzione dell’affare di cui il legale era stato incaricato dal cliente, non già il suo esaurimento. Poteri di controllo dell’ordine di appartenenza dell’avvocato. Da ultimo, si segnala che l’ordine forense, richiesto del parere sulla congruità della parcella per onorari professionali, non è tenuto a compiere accertamenti sul rapporto negoziale intercorso fra il professionista ed il cliente, bensì soltanto a provvedere relativamente alla valutazione della parcella con criteri obiettivi - che tengano conto dell’oggetto dell’assistenza professionale, nonché della durata, qualità ed esito dell’affare - verificando la corrispondenza, sotto un profilo di mero controllo di congruità, delle voci elencate a quelle previste nella tariffa professionale ovvero, in ogni caso, l’adeguatezza dell’onorario richiesto rispetto all’importanza e alla complessità della questione trattata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 6 – 20 dicembre 2012, n. 23677 Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo Premesso in fatto - È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. 1.- L'avv. R C. ha notificato a M P. decreto ingiuntivo del Tribunale di Trieste, recante condanna a pagare Euro 48.539,54, quale compenso per attività di assistenza legale stragiudiziale in relazione alla vendita di immobili costituiti in un trust, che uno zio della P. residente in OMISSIS aveva lasciato in eredità alla stessa. L'ingiunta ha proposto opposizione, contestando la congruità dell'importo richiesto, per il fatto che l'attività del C. non le era stata di alcuna utilità che anzi il fiscalista americano scelto dal C. in sostituzione di altro da lei in precedenza nominato si era indebitamente appropriato a suo danno della somma di L. 25.000,00. Il Tribunale, in parziale accoglimento dell'opposizione, ha ritenuto il C. responsabile per colpa grave e gli ha negato ogni diritto al compenso. La Corte di appello di Trieste, in parziale riforma, ha escluso che il solo tatto di avere scelto il corrispondente infedele costituisca colpa grave ma - tenuto conto del mancato raggiungimento del risultato in vista del quale la cliente aveva sollecitato l'attività di assistenza legale - ha ridotto ad Euro 3.000,00 il compenso spettante al legale, fermo restando il diritto al rimborso delle spese, nell'importo già determinato di Euro 2.500,00, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi a decorrere dalla sentenza. Il C. propone ricorso per cassazione. Resiste la P. con controricorso. 2.- Con l'unico motivo, denunciando violazione degli art. 1709 e 2333 cod. civ., nonché insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente — premesso che l'incarico conferitogli aveva natura extraprocessuale e costituiva un contratto di mandato, soggetto alle norme secondo cui il mandatario ha diritto a compenso che, in mancanza di diverso accordo fra le parti, va determinato in base alle tariffe professionali in vigore - lamenta che la somma che gli è stata riconosciuta non è adeguata alle molteplici attività svolte, fra cui tre viaggi negli che il professionista assume un'obbligazione di mezzi e non di risultato che il valore della controversia era di USD 720.000,00 e che a tale valore doveva essere proporzionato il compenso che la Corte di appello non ha rispettato i minimi stabiliti dalla tariffa professionale in relazione al valore dell'attività. 3. - Il ricorso è inammissibile per difetto di specificità. Questa Cotte ha più volte deciso che, anche in materia stragiudiziale, la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità. Qualora poi l'interessato denunci la violazione dei minimi o dei massimi tariffali, è tenuto a specificare quali siano le voci della tariffa che assume essere state violate, per consentire alla Corte di svolgere il conseguente controllo, senza necessità di procedere autonomamente ad ulteriori, specifiche indagini Cass. civ. Sez. 2, 22 giugno 2004 n. 11583 Cass. civ. Sez. 3, 11 gennaio 2006 n. 270 . Nulla di ciò risulta dal ricorso, che non indica né quale sarebbe stato l'importo minimo dovuto per l'intera attività né quali voci della tariffa professionale siano state violate nei minimi. Neppure è censurabile la motivazione. La Corte di appello ha accertato che il legale era stato incaricato esclusivamente di verificare la possibilità di vendere alcuni cespiti negli OMISSIS che la sua attività si è articolata in tre viaggi negli , effettuati a spese della cliente in una serie di colloqui con professionisti americani e nella scelta del fiscalista in luogo, che si è indebitamente appropriato di 25.000 dollari. Ha soggiunto che lo svolgimento dell'incarico non ha condotto a sostanziali risultati. Trattasi di motivazione che giustifica la decisione adottata. 4.- Propongo che il ricorso sia rigettato, con ordinanza in Camera di consiglio . - La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti. - Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte. - Il ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto Il Collegio, all'esito dell'esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti prospettati dal relatore, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria non consentono di disattendere. Il ricorrente assume che la controparte non avrebbe mai contestato l'entità della somma da lui richiesta a compenso della sua attività, ma solo il suo diritto di chiedere il compenso cioè l’an della sua pretesa che analogamente ha disposto la sentenza di primo grado e che la Corte di appello ha invece riconosciuto il suo diritto al compenso, riducendo però la somma richiesta nonostante la mancanza di specifica contestazione sul punto. I rilievi non sono fondati. La motivazione della Corte di appello dimostra che la domanda dell'attore è stata contestata sia nell'ari, sia nel quantum tanto è vero che, nel precisare le conclusioni in appello, l'appellante ha dedotto una sene di capitoli di prova proprio a dimostrazione dell'attività svolta, quindi dell'adeguatezza del compenso richiesto rispetto all'attività esercitata. La Corte di appello ha ritenuto, per contro, che la somma da essa liquidata sia adeguata a compensare le attività effettivamente svolte. I rilievi del ricorrente sul punto attengono, fra l'altro, agli accertamenti m fatto ed alla valutazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio cioè al merito della vertenza, che non è suscettibile di riesame in questa sede di legittimità. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna 1 ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.