Clausola dubbia? Va interpretata considerando l’intero contratto

In tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.

Il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere peraltro verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Questo il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza del 17 dicembre 2012, n. 23208 la quale, oltre a precisare i criteri di interpretazione di un una clausola dal dubbio significato – nel caso di specie, di mutuo fondiario – fornisce anche alcuni chiarimenti in merito alla disciplina di tale tipologia di mutuo. Il caso. La vicenda decisa della Cassazione con la sentenza in commento attiene, in particolare, all’interpretazione di un clausola di un contratto di mutuo fondiario, la quale attribuiva alla Banca il potere, tra l’altro, di posticipare l’erogazione del mutuo in base a determinate circostanze. Nel giudizio di primo grado, tale clausola era stata effettivamente considerata nulla dal Tribunale, in quanto attribuiva alla Banca un potere meramente potestativo di concedere l’erogazione del mutuo, ponendo del pari a carico del mutuatario l’obbligo di corrispondere gli interessi di preammortamento e le relative imposte. Tale decisione viene ribaltata in appello, alla stregua di una differente interpretazione. Interpretazione che, peraltro, viene smentita dalla Cassazione che, sulla base di una lettura della clausola in questione congiuntamente alle ulteriori risultanze contrattuali. Come interpretare un contratto? Qualora sia necessaria un’attività ermeneutica per comprendere il significato di un contratto, il giudice, nel rispetto degli artt. 1362 e 1363 c.c., deve dapprima individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, procedendo preliminarmente all’interpretazione letterale dell’atto negoziale e, cioè, delle singole clausole significative, nonché delle une per mezzo delle altre, dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità e non la mera difficoltà di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l’interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione. Le regole legali d’ermeneutica contrattuale, infatti, sono dettate secondo un rigoroso ordine di priorità nell’utilizzazione i criteri ermeneutici soggettivi, debbono trovare applicazione prima dei criteri ermeneutici oggettivi, e ne escludono la concreta operatività quando la loro applicazione renda palese la comune volontà dei contraenti. La condotta delle parti è rilevante per interpretare il contratto? Anche la condotta delle parti, successiva alla stipulazione del contratto, può costituire un valido criterio di interpretazione del contratto stesso. In giurisprudenza, in particolare, con riferimento all’interpretazione di un contratto assicurativo, si è affermato che il comportamento delle parti contrario a buona fede oggettiva e posteriore alla conclusione del contratto non può essere valutato come canone interpretativo dello stesso ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., al fine di escludere la vessatorietà di una delle clausole in esso contenute tale clausola, ove risulti in sede interpretativa contraria a buona fede, va espunta dal contratto per la sua nullità. Il criterio di conservazione” del contratto. Nell’ambito dei criteri da utilizzare solo in via residuale, si segnala il criterio di conservazione” del contratto contenuto nell’art. 1367 c.c., secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. Tale criterio va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti ne consegue che detto criterio - sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 1362, 1º comma, c.c. - condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto. I criteri di interpretazione sussidiari”. Tali criteri, peraltro, vanno applicati soltanto quando, malgrado l’applicazione delle regole interpretative principali, il senso delle espressioni negoziali nella loro formulazione letterale appaia oscuro o ambiguo, sì da non consentire un’inequivoca interpretazione del contratto o delle sue clausole. Interpretazione del contratto e buona fede . In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase pertanto, l’apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, nel caso in cui, ad esempio, tale soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo dell’ablazione del vincolo. Mutuo fondiario e tasse sugli interessi chi paga? Incidentalmente la Corte si sofferma anche su un ulteriore aspetto – che non viene particolarmente approfondito in quanto il relativo motivo di ricorso viene rigettato – in tema di pagamento degli oneri fiscali relativi agli interessi di preammortamento. Sul punto, la Corte, richiamando la pregressa giurisprudenza di legittimità, precisa che la clausola del contratto di mutuo che faccio obbligo al mutuatario – come nel caso di specie – di rimborsare al mutuante le imposte afferenti agli interessi convenuti, non è affetta da nullità, atteso che tale clausola non implica che l’imposta afferente ad un reddito venga corrisposta da un soggetto diverso dal suo precettore, ma configura semplicemente una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, in via generale consentita se non espressamente vietata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 ottobre – 17 dicembre 2012, n. 23208 Presidente Carnevale – Relatore Di Amato Svolgimento del processo V.E. , quale procuratore speciale di V.G. , conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Pescara, l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, Sezione Credito Fondiario, esponendo che il contratto di mutuo fondiario da lui stipulato con il convenuto in data 17 dicembre 1981 era entrato in ammortamento soltanto il 22 settembre 1987, in quanto l'Istituto, che aveva provveduto ad erogazioni rateali, aveva cardato a stipulare l'atto di erogazione e quietanza, con la conseguenza che esso mutuatario aveva dovuto corrispondere alla banca gli interessi di preammortamento. Pertanto, deducendo la nullità della clausola art. 3, u.c., delle condizioni generali di contratto che consentiva alla banca di anticipare o differire a suo insindacabile giudizio la stipulazione dell'atto di erogazione e quietanza” in quanto, da un lato, prevedeva una obbligazione di pagamento degli interessi indeterminata, perché priva di un limite temporale e in quanto, d'altro canto, subordinava la stipula del mutuo ad una condizione meramente potestativa e deducendo altresì la nullità della clausola art. 5, u.c., delle condizioni generali di contratto che prevedeva il pagamento da parte del mutuatario di tutte le imposte relative alle somme erogate, poiché in tal modo venivano trasferiti sul mutuatario gli oneri tributari gravanti sul mutuante, l'attore chiedeva la condanna del convenuto alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte ed al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Pescara, con sentenza del 19 febbraio 2001, accoglieva la domanda e condannava il convenuto alla restituzione delle somme ricevute a titolo di interessi e di imposte rispettivamente lire 176.156.653 e lire 15.680.000 . In particolare, il Tribunale affermava la nullità della clausola di cui al citato art. 3 perché, in contrasto con i doveri di correttezza e buona fede, consentiva alla banca di modificare a suo piacimento i termini del contratto, e perché subordinava la stipula del contratto definitivo ad una condizione meramente potestativa inoltre, il Tribunale affermava anche la nullità della clausola di cui al citato art. 5 siccome contraria alle norme imperative dettate dagli artt. 26 e 64 del d.p.r. n. 600/1973. La San Paolo Imi s.p.a., nel frattempo succeduta all'Istituto Bancario San Paolo di Torino, proponeva appello che la Corte territoriale de L'Aquila accoglieva, con sentenza del 5 maggio 2006, osservando che 1 i principi di correttezza e buona fede attenevano al momento delle trattative precontrattuali ed a quello dell'interpretazione ed esecuzione del contratto, ma non al momento della formazione della volontà negoziale ed al contenuto del contratto 2 l'ultimo comma dell'art. 3 delle condizioni generali di contratto andava posto in relazione, come suggeriva la sua lettera, con il precedente comma 1 che prevedeva alcuni specifici oneri incombenti sul mutuatario ed ai quali erano subordinate l'erogazione del mutuo o, in difetto di assolvimento, la possibilità della banca di sciogliersi da ogni impegno pertanto, la clausola non era affetta né da un vizio di indeterminatezza né integrava una condizione meramente potestativa, poiché rimetteva la possibilità di differimento della stipula dell'atto di erogazione e quietanza al riscontro di una serie di presupposti dell'erogazione del mutuo 3 di fronte all'eccezione di inadempimento dei cennati oneri, l'attore avrebbe dovuto fornire la prova di avervi invece adempiuto 4 la traslazione convenzionale del carico di imposta doveva ritenersi consentita, in difetto di una contraria disposizione di legge e si esauriva in un incremento dei proventi del mutuante 5 sulla somma da restituire alla banca erano dovuti gli interessi legali, ma non il danno da svalutazione monetaria, essendo mancate l'allegazione e la prova che un pagamento tempestivo avrebbe messo la stessa banca in condizione di evitare gli effetti depauperativi dell'inflazione in particolare, infatti, la banca non aveva indicato l'ammontare dei profitti che avrebbe potuto trarre dal reimpiego del denaro nelle proprie attività produttive. V.E. , quale procuratore speciale di V.G. , propone ricorso per cassazione avverso detta sentenza, deducendo quattro motivi. La San Paolo Imi s.p.a. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione 1. I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza devono essere riuniti. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt. 1343, 1362, 1363, 1366, 1368, 1369, 1370, 1374 e 1418 cod. civ. nonché il vizio di motivazione e la nullità della sentenza, lamentando, sotto un primo profilo, che la Corte di appello aveva erroneamente negato l'esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di correttezza e buona fede applicabile anche al momento genetico del contratto ed al suo contenuto e lamentando altresì, sotto un secondo profilo, che la sentenza impugnata aveva erroneamente interpretato l'art. 3, u.c. delle condizioni generali. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte soltanto la decisione ultima sulla stipulazione era condizionata all'adempimento degli oneri di cui al primo comma dello stesso articolo, mentre l'anticipazione o il differimento della data di stipulazione erano rimessi all'insindacabile giudizio della Banca. L'erroneità dell'interpretazione risultava sia dal senso letterale delle parole, sia dal quadro complessivo nel quale la clausola si inseriva ed andava apprezzata, sia dalla causa concreta del contratto e dalla funzione della clausola, strumentale all'attribuzione di un potere ad libitum in capo all'Istituto mutuante. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt. 1346, 1354, 1355 e 1418 cod. civ. nonché il vizio di motivazione e la nullità della sentenza, lamentando che per effetto dell'erronea interpretazione denunciata col primo motivo la Corte di appello non aveva rilevato la nullità della clausola in quanto, rimettendo l'an e il quando della stipula dell'atto definitivo al semplice volere del mutuante, non poneva alcun limite temporale all’obbligazione del mutuatario di corrispondere interessi. Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt. 1337, 1366, 1375, 2907 cod. civ., 99 e 112 cod. proc. civ., 24 Cost. nonché il vizio di motivazione e la nullità della sentenza lamentando che la Corte di appello, parlando di eccezione di inadempimento sostanzialmente sollevata dalla banca con riferimento agli adempimenti preliminari alla stipula definitiva, aveva riqualificato la domanda dell'attore, trascurando che la stessa era volta a realizzare anche una tutela restitutoria e non meramente risarcitoria. Inoltre, gli oneri pretesamente rimasti non assolti condizionavano, ai sensi dell'art. 3 delle condizioni generali, le erogazioni di pagamento, che invece avevano avuto regolarmente luogo su di esse venivano computati gli interessi e non la stipula dell'atto di erogazione e quietanza. Con lo stesso motivo il ricorrente lamenta che la funzione del mutuo edilizio, finalizzato a dotare il mutuatario delle provviste necessarie al completamento delle opere, era incompatibile con l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui il diritto del mutuatario alla stipula dell'atto di erogazione presupponeva la dimostrazione di avere integralmente eseguito le opere in vista della cui realizzazione il finanziamento era stato concesso e di avere consegnato la documentazione comprovante la loro regolarità edilizia”. Pertanto, doveva ritenersi contraria a buona fede l'eccezione di inadempimento della banca, con la conseguenza che la stessa, indipendentemente dalla nullità dell'art. 3 delle condizioni generali di contratto, era tenuta alla restituzione degli interessi incamerati. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 26 e 24 rectius 64 del d.p.r. n. 600/1973 e dell'art. 27 del d.p.r. n. 643/1972 nonché nullità della sentenza, lamentando che la Corte di appello erroneamente aveva ritenuto la validità della clausola contrattuale che trasferiva sul mutuatario i debiti di imposta gravanti sul mutuante in relazione agli interessi convenuti. Con l'unico motivo di ricorso incidentale la San Paolo Imi s.p.a. deduce la violazione degli artt. 1224 e 1226 cod. civ. nonché il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto non provato il danno da svalutazione monetaria in quanto la pacifica qualità di imprenditore commerciale del creditore consentiva di presumere che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi ed in quanto dallo stesso contratto di mutuo fondiario in atti risultava la pattuizione di interessi in misura superiore al tasso legale. Pertanto, anche in considerazione della variabilità del costo del denaro, la Corte di appello avrebbe potuto procedere ad una liquidazione equitativa del danno. 2. Il primo profilo del primo motivo è infondato. I principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali art. 1337 , a quella dell'interpretazione del contratto art. 1366 ed a quella della sua esecuzione art. 1375 , sicché la violazione dell'obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti Cass. 27 novembre 2009, n. 25047 . È, invece, fondato il secondo profilo del primo motivo. Invero, come deduce il ricorrente, l'ultimo comma dell'art. 3 delle condizioni generali di contratto recita testualmente L'Istituto potrà però sempre ed a suo esclusivo giudizio anticipare o differire la stipulazione dell'atto di erogazione e quietanza o, in relazione alle circostanze di cui al primo comma, nonché in mancanza della approvazione di cui all'art. 11 del d.l. 13 agosto 1975, n. 376, convertito nella legge 16.10.1975, non darvi luogo”. Tale clausola è stata riportata dalla Corte di appello pagg. 13 e 14 della sentenza senza le ultime quattro parole, cosicché l’interpretazione letterale è stata privata della indicazione della seconda azione alternativamente consentita alla banca e tale ablazione è tanto più rilevante considerato che l'inciso contenente le condizioni prese in considerazione dalla sentenza segue la disgiuntiva o e precede la previsione di tale seconda azione e cioè della possibilità di non dare luogo alla erogazione del finanziamento. Ne consegue che per le cennate condizioni, relative agli oneri incombenti sul mutuatario, dall'intero testo della clausola non emerge una evidenza di collegamento, sotto il profilo letterale, al differimento o all'anticipazione della stipulazione dell'atto di erogazione e cioè alle azioni che nella formulazione della clausola precedono la disgiuntiva o . Sussiste, pertanto, la violazione del criterio secondo cui l'interpretazione letterale deve tenere conto del tenore complessivo della clausola poiché il senso letterale delle parole , di cui all'art. 1362 c.c., va desunto da tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, avendo riguardo ad ogni sua parte e ad ogni parola che la compone, e non già ad una parte soltanto. Tale principio, affermato più volte da questa Corte e plurimis Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479 con riferimento alla necessità di porre in correlazione, anche sotto il profilo letterale oltre che sotto il profilo logico, l'intero contesto contrattuale, senza fermarsi alle singole clausole, vale necessariamente ed ovviamente anche nell'ambito della singola clausola che, prima ancora di essere posta in correlazione letterale e logica con le altre, deve essere letta e valutata nella sua interezza. All'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo consegue l'assorbimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale. 3. Il quarto motivo del ricorso principale è infondato. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la clausola del contratto di mutuo, che faccia obbligo al mutuatario di rimborsare al mutuante le imposte afferenti agli interessi convenuti IRPEG ed ILOR , sì da garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né per violazione del precetto costituzionale del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva art. 53 Cost. , atteso che tale clausola non implica che l'imposta afferente ad un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge, e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all'erario, senza alcun esonero né da quest'ultimo versamento, né dall'obbligo di dichiarare all'amministrazione finanziaria il maggior reddito conseguente al rimborso di tale versamento, e di pagare le ulteriori imposte dovute sullo stesso maggior reddito Cass. s.u. 18 dicembre 1985, n. 6445 conf. Cass. 3 giugno 1991, 6232 Cass 29 maggio 1993, n. 6037 Cass. 27 novembre 1999, n. 13261 . 4. Il ricorso incidentale, non assorbito con riferimento all'obbligo di restituzione delle somme dovute a titolo di rimborso delle imposte, è inammissibile per mancanza di autosufficienza in quanto il ricorrente non precisa come abbia formulato la domanda di risarcimento del maggior danno e quali siano state le sue allegazioni sull'uso del denaro. L'appartenenza ad una categoria se consente, infatti, di avvalersi di presunzioni nella determinazione del danno non esclude la necessità di effettuare le necessarie allegazioni. Resta, pertanto, assorbito il profilo relativo alla inammissibilità della domanda del maggior danno da svalutazione monetaria sulle somme corrisposte a seguito della sentenza di primo grado e richieste in restituzione con la proposizione dell'appello sul rilievo che l'autonomia della domanda, in quanto fondata su un titolo diverso da quello della domanda principale ex art. 336 c.p.c., richiede un accertamento con l'osservanza del doppio grado di giurisdizione Cass. 6 novembre 1995, n. 11527 . P.Q.M. riunisce i ricorsi accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo rigetta il quarto motivo dichiara inammissibile il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.