Per obbligare il venditore a procurare l’acquisto di una quota del bene di proprietà altrui non serve il preliminare

Qualora un contratto preveda il trasferimento di una quota di immobile non appartenente allo stipulante, non è necessario, per realizzare l’intento negoziale di obbligare il venditore a procurare l’acquisto della restante quota del bene al compratore, ricorrere alla stipula di un contratto preliminare, rispondendo a tale scopo la fattispecie di vendita, ad effetti differiti, di cui all’art. 1478 c.c

E’ quanto si evince dalla sentenza n. 21687 della Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione, depositata il 4 dicembre 2012. Il caso . Un fratello si impegna a trasferire alla sorella un immobile di cui è comproprietario, in parti uguali, con la moglie. Le parti convengono che il prezzo, stabilito in complessive lire 165.000.000, sia pagato quanto a lire 65.000.000 mediante acconto alla stipulazione del preliminare, e quanto al saldo mediante l’accollo di otto rate di un mutuo per complessivi 100 milioni di lire. Risultati vani i tentativi di conseguire il trasferimento della quota del comproprietario, il promittente acquirente aveva agito per far dichiarare la natura definitiva del contratto di compravendita, con lo scopo di ottenere il trasferimento a proprio favore della quota di proprietà del venditore, e di accertare e dichiarare l’obbligo di quest’ultimo di procurare il trasferimento della rimanente. Dal canto suo, il promittente venditore lamentava l’inadempimento del contratto per avere il promittente acquirente sospeso il pagamento di alcune rate di mutuo rimanenti. Tanto il Tribunale, quanto la Corte d’Appello propendevano per le ragioni dell’acquirente, addebitando al venditore l’inadempimento del contratto e distinguendosi solo per diversi conguagli in denaro tra le parti. Modulo a stampa e integrazioni manoscritte . La prima questione di cui viene investita la Corte attiene alla natura del contratto sottoscritto dalle parti preliminare o definitivo? Le parti avevano scelto di utilizzare un modulo a stampa dichiaratamente predisposto per fungere da contratto preliminare di compravendita immobiliare, e su tale dato insiste il venditore a sostegno della propria tesi. La Corte di Cassazione, viceversa, condividendo e confermando le conclusioni di entrambi i Giudici di merito, valorizza le integrazioni manoscritte e ribadisce, come da costante giurisprudenza sul punto si veda, in particolare, Cass. 21681/2009 , che esse, nell’analisi e nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, sono sicuramente preminenti sul restante contenuto prestampato o dattiloscritto in precedenza predisposto. Contratto preliminare di compravendita e vendita di cose altrui . Il passaggio forse più interessante della sentenza in esame è rappresentato dall’esame, invero molto sintetico, della fattispecie di vendita di cosa altrui disciplinata dall’art. 1478 c.c Ai principi ermeneutici di preminenza delle integrazioni manoscritte sul contenuto prestampato, infatti, la Cassazione affianca, a sostegno della qualificazione del contratto sottoscritto dalle parti come contratto definitivo di compravendita, il richiamo alla fattispecie della vendita di cose altrui. Osserva, infatti, il Giudice di legittimità come, in una fattispecie come quella prospettata dalle parti, limitatamente alla quota non di proprietà del venditore non sarebbe stato affatto necessario ricorrere alla stipulazione di un contratto preliminare, rispondendo allo scopo perseguito dai contraenti la fattispecie di vendita, ad effetti differiti, di cui all’art. 1478 c.c., che regolamenta l’ipotesi di trasferimento di proprietà di un bene che, al momento del contratto, non sia di proprietà del venditore, prevedendo che, in tali casi, questi sia obbligato a procurarne l’acquisto al compratore. Reciproca eccezione di inadempimento . Di fronte a condotte che si deducono reciprocamente inadempienti, è il Giudice di merito tenuto a valutare quale delle due sia stata prevalente. Inquadrata la fattispecie come riferito, la Cassazione conferma le conclusioni dei primi due gradi di giudizio che avevano ritenuto prevalente la accertata inottemperanza del venditore che, ricevuta più della metà del prezzo, non aveva procurato al compratore l’acquisto della quota non di sua proprietà al momento del contratto. In questa circostanza, richiamata ancora una volta la norma regolatrice della vendita di cosa altrui, il venditore avrebbe avuto l’onere di offrire, condizione necessaria e sufficiente, la prova di avere concretamente procurato il consenso del comproprietario a quel trasferimento. In assenza di tale unica e fondamentale prova, a nulla rilevano le diffide e le altre circostanze addotte, con la conseguenza che il venditore dovrà procurare all’acquirente la proprietà anche della quota di terzi e sarà tenuto, per l’ipotesi di inadempimento di tale obbligo, alla restituzione di quanto percepito in eccesso sul prezzo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 novembre - 4 dicembre 2012, n. 21687 Presidente/Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato il 27.12.95 A P. citò al giudizio del Tribunale di Verona il fratello R P. e la cognata L.P. , in forza di un contratto, stipulato con il primo con scrittura privata del 1.3.95, avente ad oggetto la vendita, per il prezzo di complessive L. 165.000.000, di un immobile sito in quella città ed appartenente in quote uguali ai due convenuti coniugi, esponendo di esserne stata contestualmente immessa nel possessori aver pagato un acconto di L. 65.000.000 ed otto rate del mutuo di 100 milioni di lire, che si era accollata, così corrispondendo complessive L. 132.248.500 del corrispettivo, lamentando infine che i tentativi di conseguire il trasferimento della quota intestata alla L. erano risultati vani. Su tali premesse l'attrice chiese, previo accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni del contratto, dichiararsi la natura definitiva dello stesso, disporsi il trasferimento a proprio favore della quota del P. e dichiararsi lo stesso obbligato a procurarle il trasferimento della rimanente, dandosi atto della propria disponibilità al pagamento del saldo di L. 29.752.500, o, in difetto, ridursi il prezzo alla metà e condannarsi il convenuto a restituirle la differenza di L. 47.748.500. Successivamente, con citazione del 12.3.98, R P. convenne la sorella A. al giudizio del tribunale suddetto, ascrivendole l'inadempimento del contratto sopramenzionato, per non aver mantenuto gli impegni di pagamento relativi al mutuo accollatosi e per non aver ottemperato alla relativa diffida dell0.1.96, chiedendo dichiararsi la conseguente risoluzione di diritto ed il rilascio dell’immobile, con risarcimento dei danni ed indennità di occupazione. Riunite le due cause, nelle quali i rispettivi convenuti avevano reciprocamente contestato le avverse richieste, contumace la L. , con sentenza del 20.2.2001 il tribunale scaligero, accertato e qualificato definitivo di vendita il contratto le ascriveva l'inadempimento a R P. , rigettandone la domanda e condannandolo, in accoglimento di quella di A P. , a procurare a quest'ultima la proprietà della quota appartenente alla L. . Proposto appello dal soccombente, resistito dall'appellata, persistendo la contumacia della L. , la riforma della sentenza impugnata, per il resto confermata, determinava in Euro 38.727, 42 la somma residua dovuta dalla P. al fratello, a titolo di saldo prezzo ed a fronte dell'obbligo di procurare all'acquirente la proprietà della quota della L. , condannando il P. , per l'ipotesi di mancato adempimento a tale obbligo, alla restituzione alla prima della somma di Euro 18.458,49, oltre agli interessi legali, quale prezzo versato in eccesso, infine compensando interamente tra le parti le spese del giudizio. La corte lagunare, respinte alcune preliminari eccezioni dell'appellata, tra cui quella deducente la novità dell'avversa domanda relativa all'importo ancora dovuto dalla P. al fratello, confermava, sulla base di interpretazione valorizzante le aggiunte manoscritte al modulo la natura definitiva del contratto, nonché l'inadempimento addebitabile al P. , per non aver procurato alla controparte il trasferimento della quota della moglie, per converso ritenendo legittimo ex art. 1460 c.c. il rifiuto della sorella di pagamento degli ulteriori ratei di mutuo, riteneva tuttavia che l'importo dell'accollo fosse comprensivo degli interessi e, tenuto conto dei pagamenti ritenuti provati, determinava il saldo ancora dovuto nella misura sopra indicata, calcolando infine il valore della quota non ancora trasferita in misura della metà della somma tra gli acconti corrisposti dalla P. , i ratei di mutuo versati dall'una e dell'altra parte prima della estinzione ad opera del P. e l'importo di quanto pagato per quest'ultima. Avverso tale sentenza R P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ha resistito A P. , con controricorso contenente ricorso incidentale su tre motivi e successiva memoria illustrativa. Motivi della decisione Va preliminarmente disposta la riunione dei reciproci ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c Con il primo motivo di quello principale vengono dedotte carenza e contraddittorietà di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in punto di qualificazione del contratto. Si lamenta in particolare che la corte di merito avrebbe trascurato di considerare che le parti avevano scelto ed utilizzato un modulo per contratto preliminare, pur essendovene in commercio altri predisposti per la stipula di definitivi, che avrebbe indebitamente valorizzato, nel contesto di una terminologia palesemente atecnica, l'uso delle parole venditore e acquirente , senza tener conto che nel modulo prestampato le stesse erano indicate quali promittente la vendita e promittente l'acquisto e che, come tali, avevano sottoscritto l'atto. Ulteriori elementi trascurati dai giudici di merito ai fini della qualificazione del negozio, sarebbero stati la natura obbligatoria del patto relativo al trasferimento della quota della L. , la circostanza che solo una parte dell'immobile fosse stata consegnata alla P. , rimanendo l'altra in possesso del P. , che aveva continuato a pagare l'ICI e l’ICIAP, senza che la sorella gli intimasse il rilascio. Il motivo è infondato, tendendo ad accreditare una rivisitazione delle risultanze documentali, contrapponendo una diversa tesi interpretativa rispetto a quella esposta dalla corte di merito, che, sorretta da argomentazioni coerenti e ragionevoli, non può essere censurata in questa sede. Correttamente, in particolare, la corte di merito ha ritenuto irrilevante la circostanza che le parti avessero impiegato per la stipulazione del contratto un modulo a stampa, predisposto per la redazione di un contratto preliminare, considerato che nella ricerca della comune intenzione dei contraenti è stato valorizzato, al fine di accertare la natura preliminare o definitiva del negozio, il tenore delle parti manoscritte aggiunte, la cui preminenza sul restante contenuto prestampato o dattiloscritto in precedenza predisposto la giurisprudenza di questa Corte ha più volte avuto modo di stabilire v. in particolare nn. 21681/09, 2399/09, 769/83 . L'accertamento, dunque, della natura definitiva del contratto, che nella specie risulta adeguatamente motivata sulla base di solidi argomenti testuali, costituisce valutazione riservata al giudice di merito, che se correttamente motivata ed esente da vizi logici, come lo è nella specie, o malgoverno dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., che il ricorrente neppure specificaci sottrae al sindacato di legittimità, non essendo in questa sede consentitoci fini dell'individuazione di eventuali vizi ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., instaurare un raffronto tra le contrapposte tesi interpretative, ma soltanto verificare l'intrinseca tenuta logico - giuridica del modulo argomentativo, in sé considerato, adottato dal giudice di merito. Giova, comunque, evidenziare l'irrilevanza delle obiezioni traenti spunto dalle circostanze che nella vicenda in questione fosse previsto il trasferimento di una quota dell'immobile non appartenente allo stipulante e che la consegna immediata del bene fosse stata solo parziale, ove si consideri che, per quanto atteneva alla quota della L. , non appartenente allo stipulante, non sarebbe stato necessario, per realizzare l'intento negoziale voluto dalle parti quello di obbligare il venditore a procurare l'acquisto della restante quota del bene alla compratrice , ricorrere alla stipula di un contratto preliminare, rispondendo a tale scopo la fattispecie di vendita, ad effetti differitici cui all'art. 1478 c.c. in tale contesto, di una vendita di cosa parzialmente altrui, ben si giustificava, dunque, la parzialità della traditio ed il correlativo adempimento da parte di chi era ancora, sia pur parzialmente, in possesso dell'immobile degli oneri tributari relativi. Con il secondo motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione della norme di diritto riguardanti la risoluzione del contratto-omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo agli elementi di prova , censurando il mancato accoglimento della domanda risolutoria proposta dal P. , che sarebbe risultata fondata alla stregua del grave inadempimento delle sorella rispetto al concordato piano di ammortamento del suo debito, prevedente venti rate semestrali di L. 7.939.432 dal 5.6.86 al 9.12.95, che non erano state più pagate dal 1991, sicché la P. , a nulla rilevando le sue difficoltà economiche, al momento della domanda risultava aver pagato soltanto L. 65.248.500. Per converso, l’addebito di inadempienza ascritto al P. , per non aver procurato il trasferimento della quota della moglie, risulterebbe basato soltanto sulla testimonianza del figlio dell'attrice, che aveva riferito delle richieste materne in tal senso allo zio soltanto de relato. Pertanto, ritenuto che l'inadempimento della controparte fosse conclamato all'atto della diffida ad adempiere, essendo invece tutto da dimostrare quello del deducente, si sarebbe verificato l'effetto risolutorio. Le censure sono palesemente inammissibili, risolvendosi tutte in doglianze di puro merito, non evidenzianti alcuna violazione delle, non meglio precisate, norme giuridiche in tema di risoluzione dei contratti ed attaccando soltanto genericamente la valutazione comparativa delle condotte delle parti che, per costante giurisprudenza di questa Corte, allorquando siano reciproci gli addebiti d'inadempienza, è riservata al giudice di merito, tenuto a stabilire quale delle due sia stata prevalente, tale valutazione, imperniata sulla evidente prevalenza, nell'economia complessiva del rapporto, dell'accertata inottemperanza del venditore all'obbligazione, su lui gravante ex art. 1478 c.c., di procurare alla compratrice, che aveva pagato più della metà del prezzo, l’acquisto della restante quota di proprietà del bene vendutoci sulla adeguata e coerente. Poco o punto rilevanti risultano, ai fini dell'adeguatezza logico - giuridica della suddetta valutazione, le obiezioni circa l'attendibilità o sufficienza della testimonianza resa dal figlio della P. , attendo le stessa a circostanze non decisive i solleciti della madre allo zio ai fini di cui sopra , in un contesto nel quale il venditore avrebbe dovuto, indipendentemente da tali solleciti, fornire la prova di aver concretamente procurato il consenso dell'ex moglie a quel trasferimento altrettanto irrilevante, conseguentemente, risulta il richiamo alla diffida inviata alla controparte, considerata l'accertata legittimità ex art. 1460 c.c. della sospensione dei pagamenti da parte della medesima, nella perdurante incertezza di poter conseguire, pur dopo aver assolto buona parte del proprio debito, la proprietà della restante metà dell'immobile. Con il terzo motivo si lamenta carenza e contraddittorietà di motivazione in ordine alla quantificazione del prezzo d'acquisto dell'immobile ed omissione di pronunzia sulla richiesta degli interessi, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Premesso che A P. , accollandosi il mutuo, avrebbe dovuto pagare 20 rate mensili di L. 7.939.432, per complessive L. 158, 788.640, come da prodotto piano di ammortamento, ma di fatto avrebbe pagato fino al 2.9.91 complessive L. 65.248.500, corrispondenti a circa otto rate, le ultime tre anche in ritardo, così risultando il suo debito residuo, la cui ultima rata sarebbe scaduta il 5.12.95, pari a L. 95.540.140, e che tale inadempienza avrebbe cagionato grande difficoltà economica al fratello, tanto da indurlo a contrarre un nuovo mutuo di L. 44.853.659 per far fronte al debito con la Artigiancassa , si lamenta che la corte di merito, calcolando in L. 74.986.742 pari ad Euro 38.727, 42 la somma dovutagli a saldo dalla sorella, omettendo di valutare le ragioni che lo avevano costretto a ricorrere ad altre forme di credito per l'estinzione anticipata del mutuo, oltre a non riconoscergli quanto contrattualmente pattuitolo avrebbe addirittura penalizzato, omettendo di pronunziarsi sulla richiesta degli interessi, pur proposta con l'appello. Anche tale motivo deve essere respinto, non solo perché presuppone la fondatezza, che rigettando il precedente motivo si è esclusa, dell'addebito di inadempienza ascritto alla controparte, legittimamente avvalsasi dell'autotutela prevista dall'art. 1460 c.c., ma anche perché non attacca specificamente le ragioni sulla base delle quali la corte di merito ha ritenuto così non omettendo di pronunziarsi, come pur si lamenta non ripetibili gli interessi sul secondo mutuo stipulato dal P. con la Artigiancassa , sulla base dell'accertata circostanza che lo stesso era stato acceso per finanziare l'acquisto di macchinari per la propria azienda. Il ricorso principale va, conclusivamente, respinto. Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. art. 345 e 112 c.p.c., ultra e/o extrapetizione, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la corte dato ingresso ed accolto la domanda nuova, formulata in grado di appello dal P. , di accertamento della debenza all'appellante della somma di L. 91.540.140 quale saldo del prezzo ancora dovuto per effetto dell'accollo del mutuo, erroneamente richiamando la comparsa di costituzione e risposta di primo grado e la memoria ex art. 184 c.p.c. del medesimo, atti nei quali tale richiesta non sarebbe contenuta, essendovi soltanto la contestazione, in via di eccezione e non di domanda, della correttezza degli importi offerti dalla P. mai, neppure nell'atto di appello, vi sarebbe stata una domanda di condanna al riguardo. Il motivo è palesemente privo di fondamento, non solo perché la Corte d'Appello non ha pronunziato, come si rileva dal dispositivo, condanna al pagamento della somma in questione, limitandosi a determinarla, ma anche, e soprattutto, perché a tale determinazione, costituente un accertamento dichiarativo, i giudici di merito non avrebbero potuto sottrarsi, in un contesto nel quale, proprio per effetto dell'eccezione sollevata avverso l'esposizione dei conteggi dedotti dalla P. a fondamento della propria offerta, l'ammontare del saldo aveva formato oggetto del contendere. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti artt. 1362, 1362, 1366, 1371 c.c. , insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in punto di determinazione della somma accollata dalla P. e nel ritenere oggetto dell'accollo l'intero ammontare delle rate di mutuo e non il solo importo di L. 100.000.000, come sarebbe stato espressamente scritto dalle parti ed avrebbe dovuto desumersi dall'indicazione in L. 165.000.000 del prezzo complessivo della vendita. La censurata interpretazione sarebbe frutto di una erronea considerazione, secondo la quale il mutuo con l'Artigiancassa sarebbe stato acceso, in vista dell'adempimento del contratto di compravendita, per conto interesse dell'acquirente, mentre in realtà si era trattato di un ricorso a credito agevolato, concesso alle sole imprese artigiane ed in tale qualità chiesto dal P. , anche al fine di finanziare la propria impresa, così come quello successivamente contratto, per il quale la stessa corte, palesemente contraddicendosi, avrebbe negato al suddetto il diritto a rivalersi sulla sorella del relativo costo, costituito dagli interessi. Il motivo è infondato, attaccando la logica ed incensurabile interpretazione, fornita dal giudice di appello, della clausola contrattuale in questione, che risulta anzitutto sorretta dal primario ed inequivoco dato letterale, con tempi ante l'accollo del mutuo, senza alcuna limitazione quantitativa, laddove l'indicazione dell'importo di £ 100.000.000 si spiegava in funzione non di un limite dell'accollo interno , ma della parte di prezzo che con lo stesso veniva pagato. Tale interpretazione risulta rafforzata anche da un adeguato criterio finalistico, vale a dire dalla considerazione che il mutuo rispondeva ad un'esclusiva esigenza della compratrice, per procurarsi liquidità onde far fronte al pagamento di una rilevante parte del corrispettivo di acquisto dell'immobile, sicché era ragionevole che i relativi oneri non avrebbero potuto che gravare sulla medesima, vale a dire su quella sola parte che nel cui interesse sarebbe stata compiuta l'operazione di finanziamento, anche se intrapresa a nome del venditore, tenuto conto delle agevolazioni di cui avrebbe potuto usufruire quale imprenditore artigiano. Sotto quest'ultimo profilo non sussiste la dedotta incoerenza di motivazione, considerato che l'accensione del primo mutuo, a nome del P. , ma nell'interesse della sorella, fu prevista da una espressa pattuizione delle parti, mentre il secondo fu acceso di sola iniziativa del suddetto, per far fronte ad esigenze per sonali, connesse all'esercizio dell'impresa, come la corte ha considerato, sulla base di accertamento di fatto insindacabile. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale censura, infine, per violazione e/o falsa applicazione delle norme sull'interpretazione dei contratti, in precedenza citate e per insufficiente e/o contraddittoria motivazione, il calcolo della somma a lei dovuta in restituzione per il caso di mancato adempimento del fratello all'obbligo di procurarle il trasferimento della metà dell'immobile appartenente a P L. . La corte di merito non avrebbe tenuto conto della volontà espressa dalle parti di determinare in L. 165.000.000 il prezzo dell'intero immobile e non avrebbe considerato che, anche nella denegata ipotesi in cui fossero dovuti gli interessi del mutuo oggetto di accollo, gli stessi non potrebbero ritenersi facenti parte del prezzo dell'immobile, in quanto non aventi origine dal contratto di compravendita, bensì da quello di mutuo. Pertanto tale somma sarebbe stata non quella di £ 33.804.384, come determinata dalla corte, bensì quella di L. 47.780.500, pari alla differenza tra le somme complessivamente versate dalla P. L. 130.248.500 e la metà del prezzo dell'immobile effettivamente convenuto L. 82.500.000 . Il motivo non merita accoglimento, costituendo, nella sua formulazione principale, conseguenza di quello precedente e censurando, in quella subordinata, il corretto e ragionevole criterio, in base al quale la corte di merito ha sostanzialmente ripartito equamente tra la parti, avuto riguardo ai rispettivi esborsi, il costo complessivo dell'operazione traslativa prevista nel contratto, determinando il valore corrispettivo della metà del bene, per l'ipotesi in cui il previsto trasferimento non fosse andato a buon fine, e, conseguentemente per differenza, l'eccedenza di prezzo in tal caso dovuta alla compratrice. Va, conclusivamente, respinto anche il ricorso incidentale. Tenuto conto, infine, della reciproca soccombenza, si compensano interamente le spese del giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta sia il principale, sia l'incidentale e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.