Anche se irregolare, prova comunque un rapporto obbligatorio tra emittente e prenditore

L’assegno bancario, nei rapporti diretti tra traente e prenditore, anche se privo di valore cartolare, deve essere considerato come una promessa di pagamento e pertanto, secondo la disciplina dell’art. 1988 c.c., comporta una presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante fino a che l’emittente non fornisca la prova dell’inesistenza, invalidità od estinzione di tale rapporto.

Questo il principio sancito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 21911 del 5 dicembre 2012, emessa in camera di consiglio dalla sesta sezione, nell’ambito di un ricorso avverso una sentenza dichiarativa di fallimento. Il caso. La questione oggetto di causa si presenta alquanto lineare e, sotto certi aspetti, anche evidente, tanto da essere decisa dalla sesta sezione della Cassazione in camera di consiglio, con il rigetto del ricorso. In estrema sintesi, era stato promosso ricorso per Cassazione, avverso la sentenza della corte di appello che aveva confermato la dichiarazione di fallimento, da uno dei creditori della società fallita. La società creditrice sosteneva, tra l’altro, che il fallimento ero stato dichiarato sulla base di alcuni assegni insoluti emessi dalla società fallita quando era in bonis , non considerando, però, che tali assegni non erano stati regolarmente emessi e che, in particolare, il giratario non aveva esercitato alcuna azione cartolare a tutela della propria posizione rimasta insoddisfatta in quanto gli assegni, infatti, erano insoluti . Ma la Corte ha rilevato, richiamandosi ad alcuni precedenti di legittimità, che a prescindere dall’aspetto formale e dal rapporto cartolare, l’emissione di un assegno stava certamente a rappresentare la sussistenza di un rapporto obbligatorio rapporto che, rimasto insoluto, era l’espressione di uno stato di insolvenza della società traente, tale da giustificare, appunto, la dichiarazione di fallimento. L’assegno bancario natura e funzione. L’assegno bancario in larga parte regolamentato dal r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 è uno strumento di pagamento, da includersi, unitamente alla cambiale, tra i titoli di credito, che consente ad un titolare di un conto corrente di effettuare un pagamento nei confronti di un terzo – o di se stesso – mediante consegna, appunto, dell’assegno quale documento cartaceo nel quale viene indicato l’importo del pagamento effettuato. E’ necessaria la contemporanea di due condizioni per rendere valido e spendibile un assegno bancario a da un lato, la sussistenza del rapporto di provvista, ossia la presenza, sul conto corrente del traente ossia, di chi emette l’assegno di una somma di denaro almeno pari all’importo indicato sull’assegno b dall’altro, un’autorizzazione della banca ad emettere assegni autorizzazione che può essere revocata o non concessa in presenza di determinate condizioni di solvibilità o in relazione a sanzioni amministrative o penali comminate al richiedente . L’assegno bancario come promessa di pagamento gli effetti. Se l’assegno validamente compilato e regolarmente emesso può consentire il rilascio di un titolo esecutivo, diversa è invece la sorte dell’assegno che presenta irregolarità rispetto alla fattispecie legale. Al riguardo, si è osservato che, poiché, ai sensi dell’art. 1987 c.c., le promesse unilaterali producono effetti obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall’art. 1988 c.c., dispensano colui al quale sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria pertanto, in considerazione della natura recettizia della promessa, l’assegno riveste tale natura certamente nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed immediato giratario ma non pure nei confronti di colui che si atteggi quale mero possessore del titolo, giacché - mancando in esso l’indicazione del soggetto al quale è fatta la promessa - non vi è ragione di attribuire il beneficio dell’inversione dell’onere della prova. In altri termini, si è affermato che, comunque, l’assegno bancario anche irregolarmente emesso, rappresenta pur sempre la prova della sussistenza di un rapporto obbligatorio tra l’emittente ed il prenditore. Peraltro, anche l’assegno bancario insoluto può essere posto a fondamento dell’azione del prenditore contro il traente, anche se emesso senza indicazione della causa dell’ordine, cioè in difetto di convenzione di assegno, la cui mancanza lascia permanere il valore del titolo come assegno bancario. In particolare, e per citare una circostanza alquanto frequente, si è osservato che l’assegno bancario privo di data, pur essendo nullo, è da considerarsi - nei rapporti tra traente e prenditore - come una promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c. , con la conseguente configurabilità della presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante. La conseguenza è che il destinatario della promessa di pagamento è dispensato dall’onere di provare la sussistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, con l’effetto che, in base al negozio di riconoscimento, il creditore è legittimato a pretendere il pagamento dell’intera obbligazione, quale nascente dal riconoscimento, mentre è il debitore, il quale intenda resistere all’azione di adempimento, che deve provare o l’inesistenza o l’invalidità dello stesso rapporto fondamentale, ovvero la sua estinzione. Assegno insoluto anche se irregolare fallimento in caso di mancato pagamento? Nel caso di specie, la ricorrente ha rilevato che gli assegni emessi dalla società poi dichiarata fallita non erano validi formalmente, in quanto la girataria creditrice non avrebbe avvisato la girante del mancato e non avrebbe avviato l’azione di regresso ex art. 45, r.d. n. 1736/1933 entro sei mesi termine indicato a pena di decadenza per l’avvio delle azioni contro i precedenti giranti in caso di mancato pagamento. Ma la Corte di Cassazione ha precisato che tali assegni insoluti rappresentavano, comunque, delle promesse di pagamento non adempiute, relative a rapporti creditori che non erano stato onorati e ciò a conferma dello stato di difficoltà della società che, unitamente ad altre circostanze del pari evidenziate, avevano giustificato la dichiarazione di fallimento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 novembre - 5 dicembre 2012, n. 21911 Presidente Salmè – Relatore Di Palma Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso n. 17262/11 proposto da, La Marsigliana srl nei confronti del fallimento. Fallimento La Marsigliana srl il consigliere relatore ha depositato la relazione che segue. il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati considerato che La Marsigliana srl proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli, depositata il 27.4.11, con cui veniva dichiarato rigettato il reclamo proposto avverso la sentenza del tribunale di Napoli del 24.11-2.12 del 2010 che ne aveva dichiarato il fallimento che la curatela fallimentare ed il creditore istante E.M. hanno resistito con separati controricorsi. Osserva La ricorrente contesta con il primo motivo di ricorso che la Corte d'appello abbia erroneamente ritenuto che gli assegni bancari posti a base della istanza di fallimento potessero considerarsi delle ricognizioni di debito non avendo la girataria creditrice dato avviso ad essa girante del mancato pagamento dei titoli né avendo agito nel semestre successivo. Con il secondo motivo deduce che sussistevano le condizioni di cui all’art. 1 l.f. per l'esonero dalla dichiarazione di fallimento. Il primo motivo è manifestamente infondato e per certi versi inammissibile. La giurisprudenza di questa Corte ha in diverse circostanze affermato che l'assegno bancario, nei rapporti diretti tra traente e prenditore ovvero tra girante ed immediato giratario , anche se privo di valore cartolare, deve essere considerato come una promessa di pagamento, e pertanto, secondo la disciplina dell'art. 1988 cod. civ., comporta una presunzione iuris tantum dell'esistenza del rapporto sottostante, fino a che l'emittente o il girante non fornisca la prova - che può desumersi da qualsiasi elemento ritualmente acquisito al processo, da chiunque fornito - dell'inesistenza, invalidità ed estinzione di tale rapporto cfr, Sez. 1A, 02/09/1998, n. 8712, Cass. 2816/06, Cass. 11332/09, Cass. 19929/11 . In particolare, l'assegno bancario, privo di valore cartolare, è correttamente utilizzato come semplice chirografo con l'efficacia di una promessa di pagamento e questa forma di utilizzazione è consentita anche nei rapporti tra girante ed immediato giratario e ciò perché nel contenuto tipico della girata si deve ravvisare una dichiarazione negoziale diretta a promettere al possessore del titolo l'assunzione dell'obbligazione, da parte del girante, in caso d'inadempimento dell'emittente, dichiarazione che, fornita dei caratteri della promessa di pagamento di cui all'art. 1988 c.c., ed assistita da presunzione di esistenza del rapporto sottostante, può essere fatta valere indipendentemente dalla forza del titolo, nel quale è contenuta. Va aggiunto che la sentenza impugnata ha altresì dato atto che sulla base degli assegni in questione erano stati emessi decreti ingiuntivi che non risultavano essere stati opposti., come già ritenuto dal tribunale. La società ricorrente non contesta espressamente tale affermazione ma afferma in senso contrario che i decreti ingiuntivi non furono mai notificati. Essa peraltro omette di fornire alcun elemento concreto atto a sostanziare la propria tesi, non specificando anzitutto ove aveva contestato con il reclamo siffatta affermazione del giudice di prime cure ed inoltre non dando alcuna indicazione in ordine alla notifica dei decreti ingiuntivi in questione. Va inoltre ricordato che a seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell'art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., oltre a richiedere la specifica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell'art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile come avvenuto nel caso di specie relativo alla proposizione di un regolamento di competenza avverso un provvedimento di sospensione del processo . Cass. 20535/09 Cass. sez un 7161/10 Nel caso di specie, la ricorrente non dice dove i detti documenti siano rinvenibili tra gli atti della fase di merito né risulta avere prodotto i detti documenti in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362, comma 2 n. 4 cpc. Il secondo motivo è infondato e per certi versi inammissibile La Corte d'appello ha ritenuto l'insussistenza del requisito del mancato superamento dei limiti dimensionali di cui all'art. 1 sulla base del fatto che i predetti limiti risultavano superati dalla documentazione fiscale esistente in giudizio non rilevando a tal fine le risultanze dei bilanci che non risultavano neppure depositati presso il registro delle imprese. La ricorrente deduce che la Corte d'appello avrebbe dovuto attenersi alle risultanze dei bilanci. Tale assunto è manifestamente erroneo perché il tribunale è tenuto ad effettuare le proprie valutazioni in sede di pronuncia di fallimento sulla base di tutta la documentazione acquisita in atti, senza che a tal fine possa attribuirsi natura privilegiata ad un documento anziché ad un altro essendo tale valutazione rimessa interamente alla decisione di merito. Si rileva inoltre un profilo d'inammissibilità del motivo analogo a quello rilevato per il primo motivo. La società ricorrente avrebbe dovuto, in osservanza della citata disposizione dell'art. 366 n. 6 cpc, indicare ove erano rinvenibili tra gli atti del giudizio i documenti fiscali di cui alla motivazione della sentenza poiché investendo il motivo in esame la valutazione di detti documenti in raffronto alle risultanze dei bilanci, i loro riferimenti erano indispensabili ai fini dell'osservanza dell'art. 366 n. 6 cpc. Il ricorso può pertanto essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 cpc. P.Q.M. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio. Roma 28.6.12 Il Cons. relatore Vista la memoria della ricorrente Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra che pertanto il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di ciascuno dei resistenti liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in favore di ciascuno dei resistenti in Euro 3500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.