Il professionista vuole compensi extra? Parli subito o taccia per sempre

Un eventuale incremento delle prestazioni effettuate rispetto a quelle inizialmente concordate – con relativa sopravvenuta inadeguatezza del guadagno – va palesato immediatamente dal professionista al cliente.

Questo quanto affermato dalla Cassazione Civile, sezione Seconda, nella pronuncia n. 15628/12 del 18 settembre. Un’aggiunta sul conto. La Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza con la quale era stata respinta la domanda proposta da un architetto per conseguire compensi professionali aggiuntivi rispetto a quelli spontaneamente pagati dal cliente. La somma totale esigua, inferiore a onor del vero rispetto ai minimi tariffari, non comportava la nullità della pattuizione ex art. 1418 c.c. La parte ricorrente, però, insisteva a indicare che in aggiunta al quantum forfettario sarebbe stato deciso un onorario percentuale del 10%. Alla Cassazione il compito di dirimere la controversia. La ricostruzione del merito è inappuntabile. Il tenore letterale e logico delle frasi, il contesto di esse, la provenienza qualificata della redazione e la conferma personale con tanto di firma , sono elementi che contribuiscono inequivocabilmente a far ritenere che il compenso forfettario pattuito avesse carattere di omnicomprensività. La S.C. non può quindi sostituirsi nella complessiva valutazione del merito. Bisogna mettere subito tutto in chiaro. Un eventuale incremento delle prestazioni effettuate rispetto a quelle inizialmente concordate – con relativa sopravvenuta inadeguatezza del guadagno – avrebbe dovuto essere palesato immediatamente dal professionista al cliente. Come i giudici del merito hanno osservato, sarebbe stato contrario a buona fede il comportamento del professionista che avesse svolto prestazioni ulteriori rispetto a quelle pattuite, con la riserva mentale di chiedere un compenso aggiuntivo . Poiché l’architetto non ha agito in maniera corretta, indicando tempestivamente lo sforamento dei limiti di partenza, era giusto supporre che il compenso forfettario concordato fosse congruo. Possibile derogare ai minimi. Esiste un precedente giurisprudenziale Cass. n. 1223/03 per cui tra privato e professionista – quali sono il committente e l’architetto – è possibile determinate un compenso inferiore ai limiti generali. La tariffa viene assegnata solo in mancanza di convenzione inter partes e un’eventuale saldo sotto standard non importa la nullità art. 1418, primo comma, c.c. dal patto in deroga, in quanto i precetti non si riferiscono ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 31 maggio – 18 settembre 2012, n. 15628 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo Con sentenza del 23 novembre 2005, notificata il 22 febbraio 2006, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza resa nel 2003 dal tribunale gigliato, con la quale era stata respinta la domanda proposta dall'architetto B.A. avverso M.R. , volta a conseguire compensi professionali aggiuntivi rispetto a quelli spontaneamente pagati dal cliente. La Corte di appello riteneva che da una memoria depositata in atti e personalmente sottoscritta dal professionista si poteva trarre la prova dell'intervenuto accordo in ordine alla quantificazione del compenso in 50 milioni di lire, accordo confermato da corrispondenza intercorsa tra le parti e non superato da accordi successivi. Quanto alla misura del compenso, asseritamente inferiore ai minimi tariffari, la Corte osservava che tale eventualità non comportava nullità della pattuizione ex art. 1418 cc. B.A. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22 aprile 2006 e articolato su due censure. M. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Motivi della decisione Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 229, 115, 116 c.p.c., 1321, 1325, 1362 cc 2233, 2730, 2733 e 2734 c.c. 360 n. 3 e 5 c.p.c. . Parte ricorrente contesta l’interpretazione data dalla Corte di appello ai documenti memoria 23 maggio 1996 e lettera 17.01.1994 dai quali è stata desunta la pattuizione di un compenso forfettario e sostiene che sarebbe stato pattuito un onorario percentuale del 10% si duole del conseguente errore costituito dalla mancata ammissione di mezzi istruttori. Deduce che occorreva accertare il totale economico delle singole voci di progetto e le prestazioni professionali commissionate ed eseguite, al fine di quantificare il dovuto in base all'accordo a percentuale . La censura è infondata. Il ricorso non riporta il testo della memoria difensiva sottoscritta dal B. dalla quale la Corte d'appello ha desunto la pattuizione forfettaria. L'omissione forse non è casuale, poiché il tenore dell'atto non si presta alle critiche apodittiche del ricorso, il quale non individua uno specifico vizio nell'interpretazione, ma si risolve nella contrapposizione di una tesi all'altra. Parte ricorrente sostiene che il compenso pattuito non fosse riferito anche alla direzione della ristrutturazione, ma tale tesi è negata dal testo della memoria. In essa si parlava infatti di accordo raggiunto sul compenso dell'attore relativo al costo di ristrutturazione dell'immobile e dunque a tutte le attività a tal fine richieste al professionista È vero che il testo esaminato riferisce che l'accordo non si era formato sulla base di una richiesta forfetaria , ma proprio perché narra come vi si era giunti, cioè ipotizzando un presuntivo costo di ristrutturazione 6/700milioni di lire e una percentuale del 10% per il professionista,, dalla quale era stata enucleata una richiesta di sessanta milioni e, a seguito di trattativa, una riduzione a 50 milioni di lire, è evidente, che le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello sono ineccepibili. Il tenore letterale e logico delle frasi, il contesto di esse la controversia sui compensi , la provenienza qualificata della redazione il difensore , la conferma personale firma personale della parte contribuivano inequivocabilmente a far ritenere quanto affermato dalla Corte d'appello, cioè che a seguito di trattativa era stato determinato un compenso forfettario onnicomprensivo, convincimento che questa Corte, la quale non può sostituirsi nella complessiva valutazione di merito, reputa, nei limiti del proprio sindacato, esente da vizi o errori. Mette conto aggiungere che non meritano censura le argomentazioni aggiuntive svolte dai giudici di merito in ordine alla congruità dell'importo rispetto al costo effettivamente sostenuto. Essi, solo a riprova della logicità e congruenza dell'interpretazione letterale della scrittura, hanno fatto riferimento allo scambio epistolare del '93/94, che confermava quale oggetto dell'incarico un restauro del costo di 6/700 milioni di lire presuntivamente stimati e una percentuale del 10%, presupposti di quell'accordo sui 50 milioni poi dettagliato nella memoria. Hanno inoltre utilmente rilevato che un eventuale incremento delle prestazioni effettuate rispetto a quelle inizialmente previste, con conseguente sopravvenuta inadeguatezza del compenso, avrebbe dovuto essere palesato immediatamente dal professionista al cliente. Opportunamente i giudici hanno osservato che sarebbe stato contrario a buona fede il comportamento del professionista che avesse svolto prestazioni ulteriori rispetto a quelle pattuite, con la riserva mentale di chiedere un compenso aggiuntivo. Tale motivazione non è in nulla contraddittoria con la tesi dell'accordo forfettario valeva infatti a evidenziare che non vi erano i presupposti per dedurre l'incongruità del compenso fissato in somma fissa e quindi la necessità di una valutazione dei lavori effettuati. Per legittimare ciò, premessa immancabile avrebbe dovuto essere una tempestiva indicazione da parte del professionista del superamento dei limiti della prestazione inizialmente prevista e del relativo compenso, fissato con la nota trattativa. Non avendo il professionista agito in tal modo, imposto dalla correttezza contrattuale, si poteva trarre da ciò ulteriore conferma che il compenso forfettario concordato era congrue Invano quindi il ricorso lamenta insussistenti vizi della sentenza, partendo dal postulato, indimostrato, che il compenso fosse a percentuale e che non fosse stato fissato il tetto che è stato invece riconosciuto. Anche il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione dei minimi tariffari obbligatori e degli artt. 1339, 1418, 1419, 2233 c.c., 112 c.p.c. è palesemente infondato. La Corte d'appello ha individuato una prima ratio decidendi, costituita dalla mancata prova che il compenso forfettario fosse inferiore ai minimi tariffari. Ha comunque opportunamente osservato che in ogni caso la pattuizione di un compenso inferiore a tali minimi sarebbe stata perfettamente legittima. Ha anche indicato un preciso precedente di legittimità che specifica come tra privato e professionista quali sono il committente M. e l'architetto B. è possibile pattuire un compenso che deroghi ai minimi della tariffa professionale Cass. 1223/03 . Incomprensibilmente il ricorso propone una diversa interpretazione di questa sentenza, ma la Corte intende ribadire, come ha fatto di recente con Cass 21235 del 05.10. 2009 che il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36, primo comma, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge 5 maggio 1976, n. 340 non importa la nullità, ex art. 1418, primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'incera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale . Pertanto ove anche l'accordo forfettario abbia condotto a un importo inferiore ai minimi tariffari giustamente viene considerato legittimo. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.