Come accertare l’illiceità della vendita? Il collegamento negoziale può essere d’aiuto

L’illiceità della compravendita - che nella specie deriva dalla mancanza di autonomia finalistica della stessa nell’intendimento delle parti - può essere desunta dal collegamento esistente tra più negozi giuridici posti in essere dai contraenti.

La vicenda. Due coniugi, autorizzati dal giudice tutelare, vendevano un immobile di proprietà della figlia minore, in favore di un altro loro figlio. Tale atto di compravendita nasceva dall’apparente esigenza di dover provvedere a gravosi lavori di manutenzione sull’immobile, che non avrebbero potuto essere sostenuti dalla minore, in quanto la stessa era priva di reddito. Successivamente, un altro germano della ragazza, denunziava un conflitto di interessi sorto tra genitori e figlia, e veniva pertanto nominato curatore speciale della sorella. Quest’ultimo dunque, citava in giudizio i genitori ed il fratello acquirente del bene oggetto di compravendita, chiedendo che l’atto venisse dichiarato nullo per illiceità della causa o per frode alla legge ovvero per simulazione assoluta. In estremo subordine domandava l’annullamento per inosservanza delle disposizioni relative all’alienazione di beni di proprietà di minori. A dire dell’attore, infatti, per la vendita non era stato pagato alcun prezzo, in quanto tale operazione era diretta a consentire al fratello acquirente di offrire l’immobile oggetto di cessione a garanzia dei debiti della società di cui era amministratore, debiti che dovevano essere ripianati mediante la concessione di un mutuo. Inoltre il curatore precisava che i genitori erano fideiussori della società del figlio ed in quanto tali anch’essi avrebbero beneficiato della complessa operazione posta in essere e che, mentre l’ipoteca era stata iscritta, il mutuo in realtà non sarebbe stato erogato. Si costituiva in giudizio la procuratrice della banca concessionaria del mutuo, la quale resisteva alle richieste di parte ricorrente diversamente i genitori della minore non depositavano le loro difese. Anche se non vi è la prova del mancato pagamento dell’immobile In primo grado le domande attore venivano respinte, sia perché si riteneva non raggiunta la prova del mancato pagamento del prezzo dell’immobile, di cui si era solo data quietanza di pagamento nel rogito di vendita, sia perché non si era dimostrata l’esistenza di un accordo simulatorio. Il Tribunale inoltre, riteneva infondata la domanda di nullità della vendita per illiceità della causa in quanto, essendo stato stipulato un negozio tipico, la funzione commutativa tipica dello stesso si era verificata e non vi era prova che il motivo illecito fosse comune anche all’acquirente. Infine, veniva respinta anche la domanda di annullamento sulla base dell’assunto che il giudice tutelare aveva concesso l’autorizzazione alla stipula dell’atto ed aveva previsto il versamento del ricavato della vendita in titoli di stato. Nelle more del giudizio la figlia, diveniva maggiorenne e proponeva appello. Anche la Corte Territoriale respingeva il gravame, condividendo le soluzioni interpretative espresse dai giudici di prime cure. La ragazza, dunque, proponeva ricorso per cassazione. illiceità della vendita può essere desunta da altro elemento La ricorrente evidenziava la erroneità del ragionamento dei giudici di merito i quali avevano posto alla base del rigetto la constatazione che, ad ogni modo, le parti avevano posto in essere un negozio tipico, dotato di una causa commutativa. Gli stessi infatti, non avrebbero affrontato il nodo principale della domanda proposta, con il quale si faceva riferimento al collegamento negoziale tra compravendita e dazione di ipoteca del bene acquistato da parte dell’acquirente, per l’ottenimento di un mutuo, o per il ripianamento - con la somma che avrebbe dovuto essere corrisposta a mutuo - di esposizioni debitorie pregresse dell’azienda di famiglia. Infine, la ricorrente chiedeva che venisse dichiarata la nullità della sentenza d’appello per violazione delle norme sull’illiceità del negozio per vizio della causa, criticando la valutazione del giudice dell’appello in merito alla rilevanza dell’autorizzazione alla vendita ed alla ritenuta non esiguità del prezzo di vendita. ad esempio dal collegamento negoziale. La Suprema Corte nel disapprovare le argomentazioni dei giudici territoriali, ha ritenuto fondato il ricorso. La Corte distrettuale - sostengono i giudici di legittimità - ha trascurato di rilevare che se il prezzo della vendita non fosse stato corrisposto e se, nonostante ciò, si fosse ottenuto il trasferimento dell’immobile nel patrimonio dell’amministratore della società nonché fratello della minore , allora si sarebbe sottratto al patrimonio della minore un bene, senza alcun vantaggio per l’acquirente di contro, lo stesso, a seguito dell’operazione veniva sottoposto al pericolo di un’azione di esecuzione. In altri termini tale argomentazione della corte distrettuale sminuiva la tesi del ricorrente, diretta a far emergere il collegamento negoziale tra i singoli contratti posti in essere e la concreta finalità della vendita. Secondo i giudici di legittimità, dunque, la Corte d’Appello non ha considerato che l’illiceità della compravendita derivava dalla mancanza di una autonomia finalistica della stessa nell’intendimento delle parti e, così operando, erroneamente ha ritenuto insussistente un collegamento tra i negozi posti in essere. Sulla base delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e rinviato per la decisione nel merito a diversa sezione della Corte d’Appello che si era pronunciata in precedenza.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 maggio – 6 giugno 2012, n. 9122 Presidente Mazzacane – Relatore Bianchini Svolgimento del processo Si Li. , agendo in qualità di curatore speciale della sorella minore S. , giusta autorizzazione del giudice tutelare, a seguito del denunziato conflitto di interessi tra la predetta ed i genitori esercenti la potestà, F L. e V.V. , citò questi ultimi, nonché il fratello L.P. innanzi al Tribunale di Milano, sezione distaccata di Legnano, chiedendo che venisse dichiarata nulla per mancanza o per illiceità della causa o dei motivi comuni o per frode alla legge ovvero per simulazione assoluta o, in via di ulteriore subordine, affinché fosse annullata ex art. 322 cod. civ. per inosservanza delle disposizioni relative all'alienazione di beni di minori, la compravendita, stipulata il 29 giugno 2001, di un immobile di proprietà della minore alla medesima pervenuto per esserle stato intestato dai genitori in sede di precedente acquisto , effettuata in favore del fratello P. a tale negozio i genitori erano stati autorizzati dal giudice tutelare, prospettando l'esigenza di provvedere a gravosi lavori di manutenzione che non avrebbero potuto essere sostenuti dalla minore, priva di redditi, ed evidenziando la opportunità della intestazione del cespite al figlio P. , di guisa di conservarne la funzione di residenza familiare, pur dopo la vendita dedusse l'attore che la cessione dell'immobile per il quale non sarebbe stato pagato alcun prezzo avrebbe in realtà costituito il presupposto di una complessa operazione economica, essendo diretta a consentire a P L. , amministratore della srl Revinter, pesantemente indebitata verso la spa Banca Intesa e in seguito dichiarata fallita – di offrire detto immobile a garanzia dei debiti societari, da ripianarsi mediante la concessione di un mutuo evidenziò altresì il deducente che, mentre l'ipoteca era stata in effetti iscritta, il mutuo in realtà non sarebbe stato erogato. Si costituì in giudizio la spa Intesa Gestione Crediti, quale procuratrice della spa Banca Intesa, resistendo alle richieste dell'attrice e svolgendo altresì due separati interventi di cui uno, in surrogazione dei genitori della minore, e l'altro, per ratificare la precedente attività difensiva, essendo stata contestata la ritualità della procura rilasciata dalla pretesa banca rappresentata i genitori della minore non si costituirono. Le domande vennero respinte dal Tribunale con sentenza n. 44/2005, sia perché non fu ritenuta raggiunta la prova del mancato pagamento del prezzo dell'immobile di cui comunque si era data quietanza nel rogito di vendita sia per la mancata dimostrazione dell'esistenza di un accordo simulatorio il giudice di primo grado giudicò altresì infondata la domanda di nullità della vendita per illiceità della causa, in base all'osservazione che, essendo stato posto in essere un negozio tipico, si sarebbe realizzata la funzione commutativa tipica del medesimo e che non vi era prova che il motivo illecito fosse comune anche all'acquirente sottolineò infine il Tribunale che la concessa autorizzazione alla stipula da parte del giudice tutelare e la previsione di versamento del ricavato della vendita in titoli di Stato avrebbero consentito di escludere ogni profilo di illegittimità da far valere con la specifica azione di annullamento di cui all'art. 322 cod. civ S L. , nel frattempo divenuta maggiorenne, propose appello nei confronti, sia dei genitori sia della citata spa Banca Intesa parti che non si costituirono — intervenne in giudizio la spa Italfondiario, nella sua dichiarata veste di incorporante, a seguito di fusione, della srl Castello Gestione Crediti, procuratrice della srl Castello Finance, a sua volta acquirente pro soluto dalla spa Banca Intesa dei crediti in sofferenza, tra i quali assentamente anche quello in contenzioso. ha Corte di Appello di Milano, pronunziando sentenza n. 3183/2009, respinse il gravame, da un lato giudicando che non fossero stati provati i presupposti della legittimazione ad agire della Italfondiario, atteso che non sarebbe stato dimostrato che il rapporto giuridico controverso fosse compreso nel portafoglio ceduto dalla Banca Intesa alla srl Castello Finance dall'altro adeguandosi alle soluzioni interpretative espresse nella precedente decisione. Per la cassazione di tale decisione S L. ha proposto ricorso, facendo valere nove motivi si è costituita con controricorso la spa Intesa Sanpaolo — nuovo ente derivante dalla fusione tra Banca Intesa e SanPaolo IMI I L. e la spa Italfondiario non hanno svolto difese. Motivi della decisione I — Con il primo motivo viene fatta valere la nullità della sentenza di appello perché il giudice del gravarne non si sarebbe pronunziato sulla censura avverso il rigetto della domanda di illiceità della causa della vendita, interpretata alla luce della strumentalità di tale negozio a conseguire uno scopo vietato dalla legge — costituito dall'offerta in garanzia di un bene di un minore sostiene in proposito il ricorrente che il sostanziale riferimento alla decisione sul punto adottata dal Tribunale sarebbe stato erroneo in quanto il primo giudice avrebbe posto a base del rigetto la constatazione che, pur sempre, le parti avevano posto in essere un negozio tipico, come tale disciplinato dalla legge e dotato di una causa commutativa ben precisa in contrario la L. , rifacendosi alla interpretazione di legittimità della causa in concreto attinente cioè allo scopo concretamente perseguito, anche con un negozio tipico, dalle parti ha messo in evidenza la erroneità del ragionamento dei giudici del merito, dal momento che non sarebbe stato affrontato il nucleo argomentativo principale della domanda proposta da essa ricorrente, con il quale si faceva riferimento al collegamento negoziale tra compravendita e dazione di ipoteca del bene acquistato, da parte dell'acquirente, per l'ottenimento di un mutuo, o comunque per il ripianamento, con la somma che avrebbe dovuto essere corrisposta a mutuo, di pregresse esposizioni debitorie della società di famiglia — la srl Revinter – I/a — Con ulteriore articolazione della medesima censura la L. denuncia l'omessa pronunzia sul motivo di appello con il quale si era lamentata che il giudice del primo grado avesse deciso la controversia valorizzando l'attestazione dell'avvenuto pagamento del prezzo contenuta nel rogito di trasferimento, per confermare l'esistenza di un'effettiva vendita, affrontando così ex officio una questione — quella dell'esistenza e del valore da attribuire alla quietanza medesima che non era stato affrontato dalle parti con i connessi sesto in parte e settimo motivo parte ricorrente sottopone a critica il fatto che la Corte di appello, ritenendo assorbente il valore da attribuire alla quietanza di saldo, sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame sulla domanda, in realtà svolta, di simulazione assoluta, in cui la divergenza tra volontà e dichiarazione non avrebbe riguardato la censura del prezzo ma la insussistenza stessa della volontà di concludere il contratto commutativo, deducendo altresì un vizio di motivazione e di violazione dell'art. 1414 cod. civ., non avendo la Corte distrettuale adeguatamente considerato il valore indiziante in tal senso da attribuire alla giustificazione, contenuta nella richiesta di autorizzazione rivolta al giudice tutelare, del prezzo vile prospettato come corrispettivo della futura vendita, essendo per il ricorrente evidente che la permanenza della minore — e della sua famiglia — nella casa sino ad allora abitata, costituiva la prova evidente che la vendita non era stata in effetti voluta. II — Con il secondo ed il connesso terzo motivo viene denunciata la nullità della sentenza adducendo vizi nella motivazione del giudice dell'appello — sotto il triplice profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà dell'apparato argomentativo in merito alla domanda di nullità della vendita per illiceità della causa, per frode alla legge, per motivi illeciti comuni, nonché, e conseguentemente, la violazione e la falsa applicazione delle norme sull'illiceità del negozio per vizio della causa artt. 1343, 1344 e 1418 cod. civ. — sottoponendo altresì a critica la valutazione del giudice dell'appello in merito alla rilevanza dell'autorizzazione alla vendita ed alla ritenuta non esiguità del prezzo di vendita. III — Con il quarto motivo si assume l'esistenza di una motivazione insufficiente e contraddittoria nonché la violazione delle norme sulle presunzioni semplici, avendo il giudice dell'appello ritenuto che il rendiconto, da parte dei genitori, all'epoca esercenti la potestà sulla ricorrente, fosse stato effettivamente prestato, stante il controllo giudiziale immanente sull'intera procedura di autorizzazione alla vendita e nonostante che il mancato adempimento di quest'obbligo, imposto dal giudice tutelare, non fosse mai stato messo in discussione in causa ribadisce al proposito il ricorrente che tale inadempimento avrebbe di per sé costituito un indice presuntivo della frode negoziale. V — Con connesso il quinto motivo viene nuovamente dedotta la nullità della sentenza per violazione del divieto di dedurre fatti o prove nuove in appello, lamentando al contempo un difetto di motivazione in merito all'ordine di esibizione del rendiconto medesimo ed all'ammissione delle prove orali, giudicate inammissibili in sentenza. VI — Con il sesto motivo si denunzia la nullità della sentenza di appello deducendo l'omessa pronunzia sulle istanze istruttorie, dirette a dimostrare che non sarebbe stato presentato al giudice tutelare il rendiconto della gestione delle somme che si assumevano versate da P L. come corrispettivo della vendita, nonostante che tale obbligo discendesse dai provvedimento autorizzatorio, facendo dunque venir meno il peso argomentativo dell'osservazione, contenuta in sentenza, secondo la quale il carattere fraudolento della compravendita sarebbe stato da escludere in considerazione dello stretto controllo giudiziale che aveva preceduto la stipula del negozio. VII Con l'ottavo motivo la nullità della sentenza viene supportata con la censura di insufficienza e contraddittorietà della motivazione nonché con la violazione e falsa applicazione degli artt. 320 e 322 cod. civ. in cui il giudice dell'appello sarebbe incorso ritenendo tardivamente proposta solo in grado di appello la domanda incidentale dell'annullamento del provvedimento autorizzammo alla vendita, con derivata annullabilità di quest'ultima, non avendo al contrario il giudice dell'impugnazione percepito che oggetto dell'accertamento era l'eventuale frode processuale posta in essere dai genitori della deducente al fine di trarre in inganno il giudice tutelare. VIII — Con il nono motivo viene dedotta l'omessa pronunzia in ordine alla persistenza del diritto dominicale della ricorrente sul bene venduto e sull'istanza di accertamento negativo del diritto della banca intimata di iscrivere ipoteca. IX — Il ricorso, nell'ambito del quale i motivi debbono essere esaminati congiuntamente, in quanto illustranti una serie di censure logicamente connesse tra loro, appare fondato nei termini appresso esposti. X — Al fine di disciplinare l'analisi dei motivi va innanzi tutto messo in evidenza che lo stesso presupposto logico dal quale parte il ricorrente — che cioè i genitori avrebbero voluto favorire il fratello P. e, in definitiva, anche essi stessi, essendosi costituiti fideiussori della società del primo attraverso la cessione di un bene da poi offrire in garanzia per il ripianamento delle esposizioni debitorie della società, mediante la fittizia concessione di un mutuo alla stessa, presuppone necessariamente la reale volontà di cessione dell'immobile sino allora sottoposto a vincolo pupillare. Viene così a determinarsi un'insanabile aporia argomentativa tra la tesi della illiceità della causa per il tramite di un collegamento negoziale di contratti effettivamente voluti e le censure dirette a far riaffermare la nullità assoluta della vendita segnatamente motivi sesto e settimo -. XI In secondo luogo appare infondato sottoporre a censura con l'ottavo motivo la omessa decisione sulla pretesa frode processuale da cui sarebbe risultato affetto il primo provvedimento autorizzammo del giudice tutelare perché detto vizio non è utilmente sussumibile nell'ambito dell'annullabilità disciplinata dall'art. 322 cod. civ. riguardando la stessa l’iter procedimentale da seguire per l'ottenimento del provvedimento autorizzativo di cui agli artt. 320 e segg. cod. civ. e non già l'eventuale uso distorto del medesimo - la censura si appalesa altresì nuova rispetto a quanto esposto nei precedenti gradi di merito, essendosi all'epoca limitato L.S. ad evidenziare la simulazione della vendita al fratello P. , in relazione al mancato pagamento del prezzo e dunque adducendo non già un vizio della formazione del convincimento del giudice tutelare al fine di emettere il provvedimento autorizzativo quanto piuttosto un utilizzo distorto dell'autorizzazione legittimamente ottenuta. XII — Sono invece fondati il primo ed il secondo motivo per quanto appresso indicato. XII/a Invero la Corte distrettuale ha richiamato, al fine di motivare la propria decisione in merito all'insussistenza dell'invalidità della causa negoziale della vendita autorizzata dal giudice tutelare, le argomentazioni contenute nella sentenza del Tribunale, che a loro volta facevano riferimento alla riscontrata esistenza di una causa commutativa nella compravendita, non rilevando però che se il prezzo della vendita non fosse stato corrisposto e se, ciò nonostante, si fosse con ciò ottenuto il trasferimento dell'immobile nel patrimonio di P L. , al fine di permettere allo stesso di darlo in garanzia per debiti di terzi la società e, come visto, anche dei genitori dei germani L. , fideiussori allora si sarebbe sottratto al patrimonio della minore un bene senza alcun vantaggio per lo stesso, sottoponendolo anzi al pericolo — che la contemporanea accensione del mutuo ipotecano rendeva oltremodo evidente di una imminente esecuzione la considerazione dunque della causa negoziale con riferimento ai singoli contratti posti in essere non rendeva giustizia di quella che sin dall'origine era stata l'impostazione difensiva di L.S. , diretta a far emergere il collegamento negoziale tra di essi ed a sottolineare la concreta finalità della vendita. XII/b Sul punto dunque la Corte erroneamente non ha considerato che la dedotta illiceità della compravendita derivava dalla mancanza di autonomia finalistica della stessa nell'intendimento delle parti così operando ha dato una risposta erronea al quesito esposto nella censura che al rilievo di tale causa era appunto diretto. XIII — I restanti motivi rimangono assorbiti. I,a sentenza va dunque cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio a diversa sezione della Corte di Appello di Milano che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso rigetta il sesto, settimo ed ottavo dichiara assorbiti i restanti cassa la impugnata decisione e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese del giudizio di legittimità.