La natura aleatoria del contratto rende valido e non risolvibile il mutuo

In caso di variazioni determinate da fattori oggettivi e di natura aleatoria il rischio è stato preventivamente assunto dal cliente e non sussiste in capo alla banca l’obbligo di comunicazione di tali variazioni sfavorevoli delle condizioni.

Lo afferma la Terza sezione della Cassazione Civile nella sentenza n. 8548/12 del 29 maggio. La vicenda. La fattispecie al centro della controversia concerne un mutuo fondiario concesso da un istituto di credito a due soggetti i quali contestavano la provvista in ECU che avrebbe modificato il dispositivo del mutuo con l’inserimento di un elemento aleatorio, e la misura degli interessi, che avrebbe superato il tasso antiusurario. Il giudice di prime cure dichiarava parzialmente nullo il precetto notificato dall’istituto di credito e opposto dai mutuatari. Il Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte di appello, limitava infatti l’invalidità alla sola applicazione di interessi anatocistici. I mutui in ECU hanno natura aleatoria. Negli anni novanta, infatti, il sistema bancario aveva provveduto a collocare sul mercato un gran numero di mutui in ECU Unità di Conto Europea, di valore corrispondente a un determinato paniere bilanciato di divise europee , che prevedevano dei tassi corrispettivi inferiori a quelli praticati per i prestiti in Lire. Tuttavia, quando nel 1992 la Lira uscì dal Sistema Monetario Europeo sopportando un deprezzamento rispetto anche all’ECU, i mutuatari, che avevano contratto un vero e proprio mutuo in valuta, subirono un pregiudizio rilevante. Infatti, poiché avevano convertito il prestito ECU in Lire, in ragione delle esigenze per le quali avevano contratto il mutuo, dovevano acquistare ECU al nuovo valore più elevato, per adempiere gli obblighi di pagamento degli interessi e del capitale. In proposito la giurisprudenza respinse le domande di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta presentata dai mutuatari ai sensi dell’art. 1467 c.c., in quanto l’evento dell’uscita della Lira dallo SME non presentava i requisiti di imprevedibilità e straordinarietà in quanto l’improvvisa sopravvenienza di una anomalia del mercato fa parte della normale alea del contratto di mutuo. Tanto meno si può ottenere il risarcimento dei danni subiti dal mutuatario tenuto a versare le rate di mutuo indicizzate in ECU, poiché questo pregiudizio deriva dall’atto politico dell’uscita della lira dallo SME, e le scelte di politica economica influiscono su mere aspettative dei cittadini, non su diritti soggettivi. Data la natura aleatoria del contratto di mutuo indicizzato all’ECU, non si può applicare, ai sensi dell’art. 1469 c.c., la risoluzione e la riconduzione ad equità, previste dagli artt. 1467 e 1468 c.c. in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta. Non vi è l’obbligo di comunicazione al cliente in caso di variazione determinata da fattori oggettivi e di natura aleatoria . Nel ricorso per Cassazione i clienti lamentavano l’invalidità della clausola contrattuale determinativa del tasso di interesse e della clausola contrattuale di previsione dell’onere di rischio cambio a carico dei mutuatari. In proposito, tuttavia, la Suprema Corte afferma che, secondo precedenti sentenze di legittimità cfr. Cass. n. 16568/2002 , in caso di variazioni delle condizioni contrattuali in senso sfavorevole per il cliente, l’obbligo in capo alla banca di comunicare allo stesso cliente i cambiamenti sussiste esclusivamente nel caso in cui la banca abbia esercitato il diritto previsto dal contratto di modificare unilateralmente e in senso sfavorevole per il cliente, alcune condizioni del contratto. Se invece si tratta di variazione determinata da altri fattori di natura aleatoria già contemplati nel contratto non si avrà una modifica unilaterale del contratto, ma una variazione di carattere oggettivo di cui il cliente al momento della stipula del contratto si è assunto il relativo rischio. Contratti aleatori per volontà delle parti . Bisogna, in proposito ricordare la distinzione tra contratti aleatori in senso giuridico che sono sempre aleatori, in quanto il rischio rappresenta un elemento strutturale del contratto es. assicurazione, rendita vitalizia , e invece contratti aleatori per volontà delle parti, che sono commutativi secondo il tipo contrattuale ma diventano aleatori in virtù di una pattuizione contrattuale. Tuttavia, proprio perché vale il principio generale secondo il quale ciascuna parte assume su di sé il rischio di alterazione delle prestazione, in quanto i contratti commutativi sono caratterizzati dall’alea normale, affinché un contratto commutativo diventi un contratto aleatorio per volontà delle parti occorre un’espressa, chiara, univoca volontà contrattuale rivolta alla modifica dell’alea da normale a elemento causale di quella modifica del tipo contrattuale. Esempio di contratto commutativo reso aleatorio dalle parti, le quali si sono prefigurate la possibilità di sopravvenienza del rischio assumendosene reciprocamente o unilateralmente il peso, è il contratto di mutuo nel quale le parti abbiano introdotto un coefficiente di assoluta incertezza al quale commisurare il tasso di interesse, quale ad esempio l’oscillazione del cambio della moneta. Il rischio di cambio Lira/Ecu non può rilevare neppure sotto il profilo della c.d. presupposizione, ovvero quale circostanza esterna, attuale o futura, che, senza essere espressamente menzionata nel negozio, ne costituisce il presupposto oggettivo, in quanto la stabilità dell’adesione della Lira allo SME non può assurgere a presupposizione e, per tale via, comportare la risoluzione del contratto. L’alea di un contratto che - a norma dell’art. 1467, comma 2, c.c. - non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, include anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari normali fluttuazioni del mercato, qualora il contratto sia espresso in valuta estera. Di conseguenza, in tale ipotesi le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, aleatorio in senso giuridico e non solo economico. Variazioni contrattuali . Sulla questione si è pronunciata anche la Consulta con riferimento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al. D.lgs. n. 385/1993. In proposito il Giudice delle leggi ha stabilito che in un’ipotesi nell’ambito di un contratto di mutuo, analogo a quello esaminato dalla Cassazione, la variazione sfavorevole al cliente deriva non dall’esercizio della facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, fattispecie disciplinata dall’art. 118, D.lgs. n. 385/1993, ma dal rischio economico di cambio che i contraenti hanno assunto stipulando il contratto di mutuo in ECU, in quanto, ai sensi dell’art. 1278 c.c., il pagamento deve avvenire in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza stabilito per il pagamento. La Corte Costituzionale aggiunge inoltre che non si possa qualificare modifica unilaterale delle condizioni contrattuali la determinazione oggettiva, contrattualmente e preventivamente stabilita dalle parti, dell’ammontare del debito in una moneta il cui valore, ragguagliato in lire, può variare nel tempo. Il cambio salva la banca . Nella fattispecie oggetto di questa decisione, l’alterazione del cambio Lira/ECU rientra nell’alea normale del contratto il quale, dunque, risulta pienamente valido ed efficace, poiché il rischio di cambio si pone come momento essenziale del negozio di mutuo qualificandone lo stesso schema causale. Di conseguenza, benché l’importo delle rate di rimborso del mutuo siano considerevolmente aumentate non sussistono gli estremi per la risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 aprile – 29 maggio 2012, n. 8548 Presidente Trifone – Relatore Vivaldi Svolgimento del processo S.F. e A.M. proposero opposizione al precetto loro notificato ad istanza della Intesa Gestione Crediti spa, fondato su di un contratto di mutuo fondiario del quale contestavano, sia la provvista in ECU - che avrebbe modificato il dispositivo del mutuo con l'inserimento di un elemento aleatorio -, sia la misura degli interessi, che avrebbe superato il tasso soglia antiusura. Il tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 14.10.2003, dichiarava la nullità parziale del precetto opposto con riferimento alla sola applicazione di interessi anatocistici. Ad eguale risultato pervenne la Corte di appello che, con sentenza del 12.11.2009, rigettò l'appello proposto dagli originari attori. S.F. e A.M. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso Italfondiario spa quale mandataria di Castello Finance srl. Le parti hanno anche presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti denunciano l’illegittimità della pronuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1346-1419 c.p.c. rectius c.c. in relazione alla clausola contrattuale determinativa del tasso di interesse ed alla clausola contrattuale di previsione dell'onere di rischio cambio a carico della parte mutuataria. Il motivo non è fondato. La Corte di legittimità, con la sentenza 25.11.2002 n. 16568, ha affermato che, in materia di contratti bancari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 4 legge n. 154 del 1992 e 118 D.Lgs n. 385 del 1993, in ipotesi di variazioni delle condizioni contrattuali in senso sfavorevole per il cliente, l'obbligo di comunicazione al cliente medesimo sussiste per la banca solamente se ed in quanto essa abbia esercitato il diritto, contrattualmente previsto, di variare unilateralmente, ed in senso sfavorevole alla controparte, talune condizioni del contratto medesimo. Diversamente, se si tratta di variazione determinata da fattori ad esempio, l'ammortamento semestrale del rateo di mutuo in correlazione con la variazione dell'ECU rispetto alla lira di carattere oggettivo e natura aleatoria, già previsti i nel contratto come nella specie. In tal caso, infatti, non può parlarsi di modifica unilaterale del contratto, e di essa il cliente risulta essersi, in ogni caso, già preventivamente assunto il relativo rischio. Sotto questo profilo, infatti, deve evidenziarsi che le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, ben possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienza del rischio ed assumersene reciprocamente o unilateralmente lo stesso, modificando, in tal modo, lo schema tipico del contratto commutativo, mediante l'aggiunta di un rischio che a quello schema sarebbe estraneo rendendolo, per tale aspetto aleatorio, con l'effetto di escludere, nel caso del verificarsi delle sopravvenienze, l'applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell'ordinaria disciplina del contratto. In questo senso si è anche pronunciata la Corte Costituzionale che, prendendo in esame la norma dell'art. 118 del D.lgs. 1 settembre 1993 n. 385 che ha apportato alcune modifiche non sostanziali alla precedente disciplina dell'art. 6 L. 154/1992 , ha, con ordinanza n. 256 del 23 giugno 1999, dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di tale norma, ponendo in luce come non possa essere qualificata come modifica unilaterale del contratto la determinazione oggettiva, contrattualmente e preventivamente stabilita dalla parti, dell'ammontare del debito in una moneta il cui valore, ragguagliato in lire, può variare nel tempo . Nel caso in esame, la Corte di merito ha preso in esame -diversamente da quel che affermano i ricorrenti - il motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti avevano dedotto l'erroneità della decisione di primo grado nel ritenere che l'alterazione del cambio lira/ECU costituisse un evento rientrante, per espressa e comune previsione negoziale, nell'alea normale del contratto. Ed a tal fine, riconoscendolo infondato per le stesse ragioni già esposte dal primo giudice e rispetto alle quali gli appellanti non hanno proposto motivi diversi da quelli già esposti nelle originarie difese , la stessa Corte ha richiamato la giurisprudenza della Corte di legittimità di cui si è dato conto più sopra, dichiarando di condividerla. Ne deriva l'infondatezza della censura, avanzata con il primo motivo di ricorso per cassazione, con il quale i ricorrenti hanno denunciato il mancato relativo esame, da parte della Corte di merito, che avrebbe aderito pedissequamente a quanto statuito dal primo giudice , non riconoscendo la invocata nullità del negozio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1346 e 1419 c.c., derivante da una supposta clausola impossibile . Con il secondo motivo si denuncia l’illegittimità della pronuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c. - Ammissibilità del motivo di appello sulla dedotta indeterminatezza della clausola determinativa degli interessi nel contratto di mutuo stipulato - omesso rilievo d'ufficio da parte della Corte di Appello di Milano della intervenuta pronuncia della Cassazione a SS.UU. 12639/08 che ha stabilito gli effetti della risoluzione del contratto a seguito della notifica dell'atto di precetto. Il motivo non è fondato. Il principio della specificità dei motivi di impugnazione -richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. per la individuazione dell'oggetto della domanda d'appello e per stabilire l'ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata - impone all'appellante di individuare, con chiarezza, le statuizioni investite dall'impugnazione e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che contrastino le ragioni addotte dal primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico-giuridico. Peraltro, è principio pacifico che la verifica dell'osservanza dell'onere di specificazione non è direttamente effettuabile dal giudice dì legittimità, poiché l’interpretazione della domanda - e, dunque, anche della domanda di appello - è compito del giudice di merito, ed implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione - così come avviene per ogni operazione ermeneutica - ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito v. per tutte Cass. 1.2.2007 n. 2217 . Inoltre, perché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che nell'atto d'appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne - come già detto - il fondamento logico-giuridico S.U. 9.11.2011 n. 23299 . Ora, nella specie, la Corte di merito ha riprodotto in sentenza il secondo motivo dell'appello proposto come segue Ha errato il giudicante dal momento che ha statuito solamente riguardo al superamento del tasso soglia degli interessi convenuti e applicati tralasciando di esaminare quanto richiesto in merito alla clausola determinativa degli interessi in relazione al contratto inter-partes agli interessi di mora alla differenza cambi, alle commissioni bancarie e gli eventuali oneri e spese accessorie escluse imposte e tasse componenti determinative per determinare il tasso effettivo globale applicato dalla banca. Invero per quanto riguarda gli interessi di mora a valere sugli interessi di mutuo il Giudicante si è riportato alla CTU tralasciando di esaminare le Note da far parte integrante del verbale di udienza 17/12/2002. Richiamato anche sia nella Comparsa Conclusionale che nella Memoria di Replica 30/09/2003. Si ripropongono tutte le domande, eccezioni, atti e istanze dì cui al 1^ GRADO da intendersi qui integralmente riportate . Ha, quindi, affermato che il motivo non soddisfaceva il requisito della specificità richiesto dall'art. 342 c.p.c. limitandosi gli appellanti a fare mero e generico riferimento per relationem alle argomentazioni e agli atti difensivi del precedente grado di giudizio, senza muovere specifiche censure alla sentenza , concludendo sicché, in definitiva, la Corte non è posta in grado di identificare e vagliare, sulla base dell'atto di impugnazione, le ragioni per cui viene chiesta la riforma della sentenza né la controparte ha la possibilità dì difendersi prendendo posizione su motivi di cui non conosce l'oggetto e le ragioni . L'indicazione testuale del motivo, così come proposto, e gli argomenti posti alla base della sua declaratoria di inammissibilità rendono evidente la correttezza del procedimento seguito dalla Corte di merito e della logicità del suo esito. D'altra parte, anche la formulazione del secondo motivo del ricorso per cassazione difetta dello stesso vizio originario di genericità non precisandosi, in questa sede, se i rilievi che i ricorrenti muovono alla sentenza impugnata siano stati già avanzati nei precedenti gradi di merito, riportandone in ricorso il loro contenuto, con l'individuazione dello sede processuali in cui sarebbero stati proposti violando, sia il principio dì autosufficienza del ricorso per cassazione, sia le norme degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c Nessuna influenza, da ultimo, riveste il denunciato omesso rilievo d'ufficio da parte della Corte di Appello di Milano della intervenuta pronuncia della Cassazione a SS.UU. 12639/08 che ha stabilito gli effetti della risoluzione del contratto a seguito della notifica dell'atto di precetto , in quanto il suo esame è stato chiaramente assorbito dalla pregiudiziale declaratoria di inammissibilità del motivo. Conclusivamente, il ricorso è rigettato. Non può essere esaminata l'istanza, correttamente avanzata alla Corte di cassazione dalla resistente, - di liquidazione delle spese sostenute, davanti al giudice di appello, per lo svolgimento della procedura di sospensione dell'esecuzione della sentenza ai sensi dell'art. 373 c.p.c Infatti, perché sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a condizione che l'interessato produca, nei termini di cui all'art. 372, secondo comma, c.p.c., una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto Cass. 11.2.2009 n. 3341 v. anche Cass. 22.7.2011 n. 16121 . Ciò che nella specie non Avvenuto, essendosi la resistente limitata ad avanzare la domanda soltanto nella memoria presentata ai sensi dell'art. 378 c.p.c Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale dei ricorrenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 3.300,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.