Risarcimento del danno: bisogna provare distintamente il danno emergente ed il lucro cessante

Il risarcimento del danno è l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato e comprende sia il danno emergente sia il lucro cessante. È agevole provare il danno emergente in quanto, essendo una posta attiva del patrimonio del soggetto, basterà dimostrarne l’attualità e la sua conseguente lesione quanto al lucro cessante, il creditore si troverà costretto a provare il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica. In altri termini, quanto al lucro cessante, spetta al creditore dare la prova di un bene o di un interesse mai venuti ad esistenza – in ragione dell’inadempimento –, ma che se si fossero concretizzati sarebbero stati sicuramente di sua pertinenza.

Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 7759/12, depositata il 17 maggio dalla Seconda sezione Civile. I fatti di causa. La vicenda in esame ha origine da un contratto di compravendita con il quale una società si era impegnata all’acquisto di un determinato numero di motori per tende e tapparelle accordo non rispettato per una serie di vizi denunciati dai clienti, in relazione a motori del medesimo tipo già acquistati e rivenduti, in precedenza, dall’obbligata. La società fornitrice, pertanto, ha ritenuto di richiedere il risarcimento del danno per il mancato acquisto degli ulteriori pezzi pattuiti, asserendo che il risarcimento del danno di sua spettanza doveva calcolarsi moltiplicando il numero dei pezzi non ordinati – nonostante il patto – per il costo pattuito per ogni motore. Condannata in primo e secondo grado, la società inadempiente proponeva ricorso per cassazione, denunciando l’erroneità del calcolo del risarcimento come sopra descritto, atteso che non era stato chiarito come il prezzo pattuito comprendesse, ed in che percentuale, il danno emergente ed il lucro cessante. danno emergente e lucro cessante come individuarli Secondo quanto previsto dagli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c, e come puntualmente osservato anche nella sentenza in commento, il risarcimento del danno deve comprendere sia la perdita subita – il danno emergente – sia il mancato guadagno – il lucro cessante – secondo particolari criteri di individuazione. In altri termini, il danno risarcibile non è limitato alla sola perdita immediatamente subita, corrispondente al valore della prestazione non conseguita e delle spese sostenute per riceverla, ma si estende anche al profitto o al guadagno che il creditore avrebbe potuto percepire se avesse potuto utilizzare il bene o il servizio oggetto della prestazione che il debitore non ha adempiuto. Danno emergente e lucro cessante sono risarcibili, secondo l’art. 1223 c.c., solo nell’ipotesi in cui siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento , ossia in presenza di un nesso di causalità tra inadempimento e danno. Risarcibile, peraltro, ex l’art. 1225 c.c., è solo quello prevedibile al momento del sorgere dell’obbligazione, anche a garanzia del debitore stesso a non vedersi addebitati costi relativi a conseguenze non prevedibili all’epoca della pattuizione negoziale. Da ultimo, l’art. 1227 c.c. descrive la particolare fattispecie per la quale il creditore abbia concorso, con la sua condotta, al danno dallo stesso denunciato, escludendo, del pari, il risarcimento del danno per quei danni che si sarebbero potuti evitare con l’ordinaria diligenza da parte di quest’ultimo. e come provarli. Dovendo esaminare l’applicazione fatta dalla giurisprudenza dei principi sopra esposti, si può affermare che in materia di risarcimento del danno patrimoniale derivante da responsabilità contrattuale, l’accertamento delle conseguenze pregiudizievoli verificatesi a titolo sia di danno emergente che di lucro cessante va riferito al momento del fatto causativo del danno e, pertanto, sono irrilevanti le vicende anteriori o posteriori a tale momento. A mo’ di esempio, è stato disposto che, in materia di contratto di trasporto di cose, il danno emergente derivante dalla perdita del receptum da parte del vettore deve calcolarsi secondo il prezzo corrente delle cose trasportate nel luogo e nel tempo della consegna il lucro cessante, invece, deve essere provato quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del vettore. In un’altra interessante fattispecie, si è concluso nel senso che, a seguito della pronuncia di risoluzione di una compravendita immobiliare in ragione del mancato pagamento del prezzo da parte del compratore, il venditore adempiente, conseguendo con la restituzione del bene solo in parte la riparazione del pregiudizio subito, con riguardo al danno emergente, ha diritto all’ulteriore risarcimento connesso alla mancata disponibilità dell’immobile – cioè il reddito che avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità lucro cessante –, determinabile con riferimento al valore locativo dell’immobile maturato nel periodo di tempo intercorrente tra la data della consegna all’acquirente e quella della sua restituzione. Inoltre lo stesso non può pretendere in aggiunta a tale risarcimento il reddito da mancato reinvestimento del prezzo della compravendita, a lui non corrisposto, perché ciò comporterebbe un ingiustificato duplice risarcimento dello medesimo danno . La perdita di chance è risarcibile? Ormai da alcuni anni in giurisprudenza si è riconosciuta la risarcibilità della perdita di chance , consistente nella privazione della possibilità di sviluppi o progressioni in una determinata attività o nel mancato raggiungimento di un determinato risultato la perdita di chance è generalmente considerata come danno patrimoniale risarcibile qualora sussista un pregiudizio certo anche se non nel suo ammontare , consistente non in un lucro cessante, bensì nel danno emergente da perdita di una possibilità attuale. Ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale. Posto che la chance è un’entità patrimoniale, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, la sua perdita configura un danno attuale e risarcibile come danno emergente da perdita di possibilità attuale, a condizione che il soggetto che agisce ne provi, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, la sussistenza. Risarcimento del danno quando è possibile la quantificazione equitativa. Secondo l’art. 1226 c.c., inoltre, è possibile che il risarcimento venga disposto in via equitativa dal giudice, qualora, pur accertato il diritto al risarcimento, risulti impossibile quantificarlo. Al riguardo, ai fini della liquidazione del risarcimento dei danni, il criterio equitativo ex art. 1226 c.c. soccorre nel solo caso di impossibilità o estrema difficoltà di dimostrare la misura esatta del danno subìto il criterio in questione è stato spesso utilizzato proprio nell’ambito del risarcimento per perdita di chance in tale ipotesi, infatti, l’onere probatorio richiesto per ottenere il risarcimento del danno è attenuato rispetto ad altre forme di risarcimento, potendosi fare ricorso a presunzioni ed a calcoli probabilistici, pur essendo indispensabile che risulti comprovata l’esistenza di un danno risarcibile. Prezzo e danno risarcibile perché sono differenti. Nel caso in esame, la pronuncia della Corte di Appello viene riformata perché – a dire della Cassazione – non sarebbe stata adeguatamente motivata la decisione per la quale il risarcimento del danno per il mancato acquisto di un singolo motore sarebbe stato equivalente al prezzo originariamente pattuito. Secondo la S.C., infatti, in tale prezzo, in primo luogo, non era possibile distinguere la parte risarcita a titolo di danno emergente da quella risarcita come lucro cessante senza contare, peraltro, che il prezzo pattuito faceva riferimento ad un prodotto lavorato e consegnato, mentre nel caso di specie i pezzi non acquistati nonostante il patto, non erano stati nemmeno costruiti, e quindi non vi era stato un diretto esborso di denaro da parte della società fornitrice, quanto meno a titolo di spese vive e di personale per la lavorazione degli stessi.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 gennaio – 17 maggio 2012 n. 7759 Presidente Schettino – Relatore Scalisi Svolgimento del processo La società ACM srl, con atto di citazione del 27 aprile 2006, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Monza la società Cibofer Commerciale srl. perché fosse condannata a pagarle la somma di Euro. 369.696,000, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di adempimento di un contratto di compravendita o per risarcimento dei danni. A fondamento di questa domanda l'attrice esponeva a che il 10 dicembre 2004 aveva concluso con la convenuta un contratto con il quale essa attrice si era obbligata a produrre e a fornire nell'anno 2005 un quantitativo di almeno 14.000 motori tubolari Matic per tapparelle e per tende da sole e la convenuta si era obbligata ad acquistare detto quantitativo minimo di motori a prezzi scontati e di cui al listino allegato al contratto, b contrariamente a quanto pattuito, la convenuta nell'anno 2005 aveva acquistato soltanto 6.298 unità per un importo complessivo di Euro 297.566,69 c nonostante i numerosi solleciti fatti nel corso del secondo semestre del 2005 la Cibofer non aveva inviato, come di consueto il preventivo programma trimestrali di ordini relativo alla residua quantità di motori la quantità di 7.702 . d questa condotta omissiva aveva provocato ad essa attrice un pregiudizio economico dal momento che in previsione dell'esecuzione degli obblighi contrattuali aveva provveduto ad acquistare i materiali occorrenti per la produzione dei 14.000 motori ed aveva destinato del personale dell'apposita linea produttiva degli stessi. Si costituiva in giudizio la Cibofer e resisteva alla domanda eccependo che i motori di cui si dice, nel corso degli anni 2003, 2004 e 2005, si erano rivelati di scarsa qualità, tanto che i suoi clienti nel 2003 gliene avevano restituiti 1900, nel 2004 n. 381 nel 2005 n. 401 e nel 2006 n. 117. Sosteneva, altresì, che la domanda di adempimento contrattuale era infondata perché a norma dell'art. 5 del contratto del dicembre 2005 l'efficacia e la validità dello stesso era condizionata all'acquisto minimo annuale di 14.000 motori, così che essendo mancata la fornitura minima, non erano sorte obbligazioni vincolanti. Il Tribunale di Monza con sentenza del 25 giugno 2007, in parziale accoglimento della domanda attrice, condannava la società Cibofer al i pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro. 234.294,00 oltre interessi e rivalutazione a titolo di risarcimento danni. Avverso questa sentenza interponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Milano, la società Cibofer contestando sia l’interpretazione della clausola contrattuale n. 5, sia l'importo liquidato. La società ACM resisteva all'impugnazione, chiedendone il rigetto e la conferma della sentenza di primo grado. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2819 del 2009, rigettava l'appello e confermava la sentenza di primo grado, dopo averne corretta la motivazione in ordine al danno, distinguendo le componenti del danno emergente e del lucro cessante. A sostegno di questa decisione la Corte milanese osservava a il contratto concluso tra le parti in causa è da qualificare siccome contratto di compravendita. B non era verosimile che, con la previsione dell'acquisto del quantitativo previsto, le parti avessero subordinato ad esso l'applicazione dei prezzi scontati, così che l'acquirente sarebbe stata libera di acquistare un quantitativo minore con la solai conseguenza che lo avrebbe pagato a prezzo pieno, di listino, perché la personalizzazione dei motori richiedeva una riorganizzazione della produzione con un aggravio di spese di personale e di materiale. Piuttosto, la previsione contenuta nel secondo periodo del primo comma dell'art. 5 del contratto che l'efficacia e la validità del contratto erano subordinate al minimo acquisto annuale riguardava esclusivamente le altre clausole contrattuali secondarie. La cassazione della sentenza n. 2819 del 2009 della Corte di Appello di Milano è stata chiesta da Cibofer con ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria. La società ACM, in questa fase non ha svolto alcuna attività difensiva. Motivi della decisione 1. - La società Cibofer Commerciale srl, lamenta a con il primo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 2697 cod. civ b con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1226 cod. civ c Con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1223 cod. civ d Con il quarto motivo l'insufficienza e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, e con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1225 cod. civ f con il sesto motivo l'insufficiente e contraddittoria motivazione. Punto 2.2.1 della sentenza n. 2819 del 2009. g con il settimo motivo la violazione falsa applicazione art. 1453 cc. e art. 112 cpc Avrebbe errato la Corte milanese, secondo la ricorrente a nell'aver condannato la Cibofer a versare un importo a titolo di risarcimento danni, nonostante l'ACM non avesse offerto alcuna prova circa l'esistenza dell'ammontare del danno emergente e del lucro cessante. Per altro, ritiene la ricorrente, i Giudici di merito non hanno neppure ritenuto necessario avviare un'indagine istruttoria. E di più, il Giudice di primo grado ha parlato semplicemente di mancato guadagno della ACM senza distinguere danno emergente e lucro cessante e la Corte di Appello di Milano ha ritenuto di correggere l'errore del Giudice di primo grado attribuendo all'importo liquidato le voci sia di lucro cessante che di danno emergente. b nell'aver ritenuto di liquidare il danno facendo riferimento ad un prezzo del prodotto finito e moltiplicando tale prezzo per i motori non forniti. Epperò, un criterio di tale fatta rientra di fatto in una liquidazione equitativa del danno non praticabile nel caso di specie perché la liquidazione equitativa del danno è possibile solo se il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare. c per aver trascurato la norma di cui all'art. 1124 cod. civ. avendo liquidato un danno anche se la parte attrice non aveva identificato e quantificato le proprie richieste risarcitorie. d per aver ritenuto corretta l'individuazione del danno nel prezzo unitario dei motori pattuito tra le parti perché danno e prezzo del prodotto finito non possono coincidere. È risaputo infatti che sul prezzo del prodotto finito incide il costo di produzione. Il costo di produzione è dato da un insieme di fattori tra loro assolutamente variabili che non rientrano e non possono rientrare nella nozione di danno così come previsto dall'articolo 1223 cod. civ. Nella fattispecie in esame, non essendo stato mai prodotto nulla il costo di produzione non può gravare certo su quanto liquidato a carico della Cibofer. e per non aver tenuto in conto che fosse evidente la prevedibilità da parte della ACM del fatto che la Cibofer Commerciale mai avrebbe acquistato 14000 motori, considerato che la Cibofer negli anni 2002, 2003, 2004 non ha mai rispettato i presunti vincoli di acquisto. f per aver ritenuto che la clausola di cui all'art. 5 del contratto intercorso tra le parti secondo cui l'efficacia e la validità del contratto erano subordinate al minimo acquisto annuale non aveva il significato di rendere inefficace il contratto in ogni sua parte nel caso in cui non venisse rispettato l'acquisto del minimo dei motori previsto, così come era stato sostenuto dall'attuale ricorrente, anche nella fase di appello, ma il significato di riferirsi alle altre clausole contrattuali secondarie di non meglio specificato contenuto. g per non aver considerato che il risarcimento del danno è correlato alla domanda di adempimento o alla domanda di risoluzione e non può essere alternativo ad esse. Pertanto, specifica la ricorrente, il Giudice, affermando che la domanda di adempimento non fosse più possibile e che fosse i accoglibile solo la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa, si sarebbe sostituito alla parte, pronunciando, implicitamente, una risoluzione del contratto. Se poi non si volesse dare tale lettura alla motivazione in ogni caso, secondo sempre la ricorrente, si appaleserebbe una violazione della norma citata per aver il Giudice introdotto un'azione autonoma a prescindere dal contratto e/o presunta violazione dello stesso che ne avrebbe dovuto determinare i presupposti. 2 - Appare opportuno esaminare anzitutto e congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto motivo, per l'innegabile connessione che esiste tra gli stessi, essendo tutti e tre la specificazione di una stessa censura, considerato che si ritiene errato, sia pure sotto profili diversi, il rinvio di cui alla sentenza della Corte milanese, al prezzo di vendita, quale criterio per determinare il quantum del danno. La censura in essi contenuta è fondata, e va accolta, per quanto di ragione, perché il rinvio al prezzo unitario di vendita seppure avesse potuto identificare un criterio idoneo a guidare la quantificazione del danno subito dalla Cibofer, in concreto, però, la Corte avrebbe dovuto chiarire – e, non sembra, lo abbia fatto - in quale misura quel prezzo consentiva di identificare il mancato guadagno e in quale altra misura indicava il lucro cessante soprattutto, perché - come è detto nella stessa sentenza - la produzione della quantità dei motori, oggetto di causa, era stata programmata, ma non anche realizzata 2.1.a . - Va qui osservato che l'art. 1223 c.c. stabilisce che il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere, così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta . La norma sintetizza in poche battute il contenuto minimo del risarcimento, introducendo un concetto di danno integrale ,.comprensivo sia della diminuzione subita, e cioè il danno che il debitore adempiente avrebbe potuto evitare, sia del mancato incremento patrimoniale di cui il creditore avrebbe potuto godere se la prestazione fosse stata eseguita. Insomma, il risarcimento del danno è l'obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato. Semplice sarà per il creditore provare il danno emergente essendo quest'ultimo una posta attiva del patrimonio del soggetto, basterà dimostrarne l'attualità e la sua conseguente lesione. Più difficoltosa sarà, invece, la prova del lucro cessante il creditore si vedrà costretto a provare il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica. Sarà tenuto, quindi, a dare la prova di un bene o un interesse che non sono mai venuti ad esistenza, ma che, se si fossero concretizzati in mancanza dell'inadempimento , sarebbero stati sicuramente di sua spettanza. Tuttavia, quest'ultima voce di danno può essere dimostrata, anche in via presuntiva. 2.1.b . - Ora, nell'ipotesi in esame, il danno integrale , ovvero, l'obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato, non poteva che essere rappresentato dalla perdita che la società creditrice aveva subito in termini di costi sostenuti per l'acquisto delle materie prime con cui produrre i motori, e in termini di riorganizzazione della linea di produzione per le richieste personalizzazioni” e dal lucro cessante quale perdita di quel guadagno che la società ACM avrebbe ottenuto se la società Cibofer avesse assolto l'obbligo di acquistare i restanti 7702 motori. Tuttavia, la Corte milanese ha mancato di chiarire se il prezzo unitario di vendita del singolo motore, essendo stato scontato, indicava il prezzo di un motore già prodotto, oppure il costo necessario per produrlo, né ha specificato se le materie prime acquistate erano riutilizzabili ed, eventualmente, in quale misura. 3. - Il primo motivo rimane assorbito dall'accoglimento del secondo, terzo e quarto, per quanto in motivazione. 4 - Il quinto motivo è infondato e non può essere accolto perché non vi è alcuna connessione tra l'inadempimento contrattuale, oggetto di causa, e il comportamento della Cibofer in ordine ad altri precedenti contratti, e comunque, nell'ipotesi in esame sussistono i presupposti della fattispecie di cui all'art. 1225 cod. civ. considerato che, nel caso in esame, il rifiuto, della Cibofer, di adempiere l'obbligo di acquistare è stato ed, è consapevole volontario. 3.1. - Va qui osservato che in tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del debitore che, ai sensi dell'art. 1225 cod. civ., comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l'obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell'inadempimento. 4. - Infondato è anche il sesto motivo, che, pertanto, non può essere accolto, non solo e non tanto perché la ricorrente si propone di ottenere una nuova valutazione della clausola contrattuale di cui si dice, ovvero un nuovo e diverso giudizio di merito, inibito in cassazione, ma, soprattutto, perché l'interpretazione della clausola di cui all'art. 5 del contratto intercorso tra le data dalla Corte milanese è convincente proprio perché coerente con il testo contrattuale i considerato che una diversa interpretazione avrebbe trasformato il contratto di cui si dice in un contratto aleatorio, che non sembra sia quello che la concreta comune intenzione delle parti avrebbe voluto porre in essere. 5. - Inammissibile è il settimo motivo perché la statuizione di cui alla sentenza del Tribunale secondo la quale da ultimo si precisa che è stata accolta la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa e non quella di adempimento in quanto quest'ultima è condizionata all'offerta della controprestazione e all'esecuzione della stessa . non risulta sia stata impugnata e, come tale, non può essere censurata per la prima volta in Cassazione essendo ormai coperta dal giudicato interno. Né, nell'ipotesi in esame, la richiesta di risarcimento danni era subordinata alla risoluzione del contratto considerato che quella domanda era relazionata all'inadempimento dell'obbligo di acquistare. In definitiva, vanno accolti il secondo, terzo e quarto motivo per quanto in motivazione, dichiarato assorbito il primo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Milano la quale provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso per quanto di ragione, dichiara assorbito il primo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese di questo grado di giudizio.