Morosità prima, ritardi poi: risoluzione legittima. Nonostante la tolleranza del locatore...

Tre mensilità non pagate, e, poi, versamenti effettuati molto più tardi di quanto previsto da contratto. Inadempimento valutato di rilevante importanza accolta la richiesta di ‘scioglimento’ del contratto. E la flessibilità mostrata dal locatore non può servire a modificare quanto stabilito in origine.

Venti di crisi, consumatori in ritirata, negozi a scartamento ridotto. E anche il pagamento dell’affitto del locale commerciale può diventare un problema Ma, nonostante tale contesto, l’accordo silenzioso per ‘posticipare’ la scadenza per il pagamento mensile non è accettabile legittima la risoluzione del contratto per morosità. Anche tenendo presente il ‘peso’ economico dei ritardi subiti dal locatore Cassazione, sentenza n. 7629, Terza sezione Civile, depositata oggi . Ritardo fatale Tre mensilità non pagate, prima, e versamenti effettuati, poi – ossia dopo la domanda di risoluzione –, sempre oltre il termine indicato in contratto . È evidente, il rapporto tra locatore e conduttore, relativo all’affitto di un locale ad uso commerciale, è assai precario, tanto da doversi ricorrere all’intervento della giustizia. Difatti, è il locatore a chiedere la risoluzione del contratto Richiesta accolta in Appello, modificando la decisione assunta in primo grado, alla luce dei mancati pagamenti, inadempimento non di scarsa importanza . Prassi accettata. Però, secondo il conduttore, le valutazioni dei giudici non hanno tenuto conto della realtà, ossia la prassi – elemento richiamato nel ricorso in Cassazione – secondo cui il pagamento del canone avveniva a fine mese, e non entro il giorno 5 come indicato in contratto . A corredo, poi, il legale del conduttore contesta anche la non scarsa importanza attribuita all’inadempimento. Pacta. Pur di fronte a un comportamento tollerante da parte del locatore, resta intangibile il ‘sigillo’ del patto contrattuale. Questa la ‘linea Maginot’ confermata dai giudici della Cassazione, i quali sottolineano il valore dell’accordo firmato, in questa vicenda, per l’affitto del locale commerciale, con relativo obbligo del pagamento del canone entro il giorno 5 del mese . Di conseguenza, non può esserci prassi che tenga Allo stesso tempo, l’ottica in cui collocare l’inadempimento, ossia l’omesso pagamento, può tener conto anche dei paletti fissati per la locazione di immobili urbani ad uso abitazione. E, entrando nei dettagli, la reiterata tardività nel pagamento , anche dopo la domanda di risoluzione proposta dal locatore, permette, secondo i giudici, di parlare di danno rilevante, anche avendo in mente la clausola risolutiva prevista in contratto per il mancato pagamento del canone , però non resa operativa. Complessivamente, la risoluzione del contratto di locazione per morosità è legittima.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 marzo – 16 maggio 2012, n. 7629 Presidente Trifone – Relatore Armano Svolgimento del processo Con sentenza del 26-2-2010 la Corte di appello di Potenza, a modifica della decisione del giudice di primo grado, ha dichiarato risolto per morosità il contratto di locazione ad uso commerciale stipulato fra C.B., D.B. e A.C., in qualità di locatori, e M.D., quale conduttrice. La Corte di appello ha ritenuto che al momento della proposizione della domanda di risoluzione non erano stati pagati i canoni relativi ai mesi di luglio, agosto e settembre 2006 e che tale inadempimento non era di scarsa importanza in relazione all’nteresse dei locatori, alla luce anche del comportamento tenuto successivamente dalla conduttrice, che aveva continuato a pagare i canoni oltre il termine indicato in contratto. Propone ricorso D.M. con un unico articolato motivo. Resistono con controricorso gli intimati Motivi della decisione 1. Con l’unico motivo si denunzia difetto di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa valutazione delle risultanze processuali violazione dell’art. 1455 c.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello ha omesso di valutare che fra le parti si era instaurata una prassi in base alla quale il pagamento del canone avveniva a fine mese e non entro il giorno cinque come indicato in contratto. Assume la ricorrente che la Corte di merito ha omesso sul punto la valutazione dei documenti prodotti, della risultanze della prova testimoniale e dell’interrogatorio interrogatorio formale. Denunzia che la Corte di merito ha erroneamente valutato la non scarsa importanza dell’inadempimento, in violazione dell’art. 1455 c.c. e dell’art. 2697 c.c. 2. Il motivo è infondato. La censura con cui si denunzia l’instaurazione di una prassi sulla tolleranza da parte della conduttrice del tardivo pagamento dei canoni e l’omessa valutazione delle risultanze probatorie sul punto è infondata, in quanto una prassi non è idonea a modificare i patti contrattuali adottati per iscritto, con cui era previsto l’obbligo del pagamento del canone entro il giorno cinque del mese di riferimento. 3. La censura con cui si denunzia la violazione dell’art. 1455 c.c. è infondata. La Corte di appello ha accertato che al momento della proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento, la conduttrice era morosa nel pagamento dei canoni relativi ai mesi di luglio, agosto e settembre 2006. Ha rilevato che pur non essendo applicabile alle locazioni ad uso commerciale l’art. 5 della legge 392/78, tale articolo può essere tenuto in considerazione come parametro di orientamento per valutare in concreto se l’inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza, anche alla stregua del comportamento mantenuto dalla conduttrice, che successivamente alla proposizione della domanda ha continuato a pagare i canoni oltre il termine contrattualmente previsto. Di conseguenza, tenendo conto della reiterata tardività nel pagamento dei canoni, la Corte ha ritenuto che la complessiva condotta della conduttrice integrava un inadempimento di non scarsa importanza. 4. La Corte di merito non è incorsa nella dedotta violazione di legge ma ha fatto corretta applicazione della disciplina dell’art. 1455 c.c. dando rilievo anche all’interesse manifestato dai locatori al tempestivo adempimento con l’inserimento di una clausola risolutiva espressa, se pur non azionata, prevista per il mancato pagamento del canone. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 560,00 di cui euro 200,00 per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.