Dal campo alla tavola: il prodotto della cooperativa agricola presenta dosi eccessive di fungicida. La vendita alla società è aliud pro alio

Ribaltata la prospettiva tracciata nei primi due gradi di giudizio, ribaltato il fronte dell’onere probatorio rispetto alla fornitura ‘tarata’. Possibile inquadrare un inadempimento totale nella vendita del prodotto non più rispondente allo scopo, ossia l’arrivo sulle tavole degli italiani.

Prodotto agricolo ‘tarato’ male. Perché, in fase di coltivazione, esposto a quantità eccessive di fungicida, potenzialmente pericoloso per la salute umana. Di conseguenza, a essere viziata è l’intera fornitura. Ma, in questo caso – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 6787, sezione Seconda Civile, depositata oggi –, bisogna considerare il rapporto commerciale, piuttosto, come vendita aliud pro alio Catena alimentare. Dalla cooperativa agricola alla piccola società alla grande distribuzione questo il percorso seguito da moltissimi prodotti alimentari. Spesso crescono i costi e i prezzi, ma, si spera, aumenta la qualità Però questa vicenda va in assoluta controtendenza. Pomo della discordia una fornitura di piante di basilico, destinato alla tavola degli italiani. A crear problemi è già il primo passaggio Difatti, la piccola società scopre una quantità eccessiva di fungicida – procimidone, per la precisione –, e mette in discussione fornitura e contratto, mentre la cooperativa agricola ricorre allo strumento del decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento come da contratto. L’approdo in un’aula di giustizia è logico, scontato Pagamento da onorare. e a rimetterci le penne è la piccola società, obbligata a versare quanto fissato, da contratto, per la fornitura, ossia poco più di 14milioni di vecchie lire. A senso unico, difatti, i pronunciamenti del Tribunale e della Corte d’Appello, che rigettano la richiesta avanzata dalla società, ossia risoluzione del contratto e risarcimento dei danni . Quale il quadro in cui collocare tale decisione? Molto semplicemente, secondo i giudici, la società non aveva dato prova della circostanza che la cooperativa fosse la sua unica fornitrice delle piantine di basilico e che quelle effettivamente sottoposte ad esame provenissero proprio da quella cooperativa. Prodotti diversi Ma è la piccola società a proseguire nella battaglia giudiziaria, presentando ricorso per cassazione e centrandolo su un elemento preciso la ‘valutazione’ del prodotto. Secondo il legale della società, difatti, era legittimo parlare di vendita di aliud pro alio , viste e considerate le caratteristiche delle piante di basilico oggetto del contratto, con ripercussioni anche sul fronte dell’ onus probandi . Ebbene, tale visione è condivisibile, secondo i giudici della Cassazione, che, difatti, mettono in discussione le considerazioni compiute in Appello. Nodo gordiano è la contaminazione da procimidone che aveva reso il basilico privo della qualità necessaria per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale ossia il soddisfacimento dell’esigenza ad un’alimentazione sana. La contaminazione è acclarata, e, chiariscono i giudici, la vendita di un prodotto affetto da tale caratteristica negativa e idonea a renderlo incommestibile e incommerciabile , e oltretutto destinato alla distribuzione alimentare , può portare all’ipotesi di vendita di aliud pro alio . Questa prospettiva modifica completamente la visione sull’ inadempimento contrattuale attribuito alla cooperativa agricola, non più inquadrabile come fattispecie di vendita di cosa inficiata da vizi o difettante delle qualità promesse, che integrano un caso di inesatto adempimento , e porta anche a un ribaltamento sull’ onere di fornire la prova del proprio adempimento . Chiarissima la linea-guida tracciata dalla Cassazione, a cui si dovrà ora attenere la Corte d’Appello, riaffrontando la questione e valutando, con un’ottica diversa, la richiesta della piccola società di vedere rescisso il contratto e risarcito il danno subito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 aprile – 4 maggio 2012, n. 6787 Presidente Rovelli – Relatore Carrato Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato la s.r.l. A. e P. proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Cagliari avverso il decreto ingiuntivo in data 8 giugno 2001 con il quale il giudice designato del suddetto Tribunale le aveva intimato il pagamento, in favore della società cooperativa A.R. a r.l. della somma di £ 14.385.280 oltre interessi e spese del procedimento monitorio per la fornitura di una partita di piante di basilico, deducendo l’inadempimento della società ingiungente per inidoneità del prodotto contenente quantità di procimidone in misura superiore ai limiti legali e chiedendo, perciò, la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni. Nella costituzione dell’opposta, il Tribunale adito rigettò l’opposizione con sentenza n. 86 del 2006. Interposto appello da parte della predetta società opponente e nella resistenza dell’appellata, la Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 367 del 2010 depositata il 21 luglio 2010 , rigettava il gravame e, per l’effetto confermava l’impugnata sentenza, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale evidenziava, in primo luogo, che la società appellante non aveva dato prova della circostanza che la società appellata fosse la sua unica fornitrice delle piantine di basilico e che quelle effettivamente sottoposte ad esame provenissero dalla stessa appellata, così come non era rimasto univocamente riscontrato che essa appellante fosse l’unica fornitrice di tale prodotto in favore della società Esselunga. Nel merito dei motivi formulati con il gravame la Corte distrettuale rilevava che non vi era stata alcuna inversione dell’onere probatorio così come non era stato acquisito alcun riscontro dell’assunto riconoscimento, da parte dell’appellata del vizio che afferiva la partita di basilico oggetto di contestazione, ritenendo la superfluità delle prove testimoniali dedotti dalla medesima società appellante. Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. A. e P., articolato in quattro motivi, in ordine al quale l’intimata società non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la falsa applicazione degli artt. 2697, 1457 e 1460 c.c. in relazione alla configurazione, nella fattispecie, di una vendita di aliud pro alio”. 2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo riguardante la mancata ammissione della prova testimoniale sull’inadempimento della società intimata . 3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato il vizio di falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. nonché l’insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo concernente l’inappagante interpretazione della lettera 6 novembre 2000 della Cooperativa A.R. 4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza della Corte sarda per contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo riguardante la prova dell’inadempimento della Cooperativa A.R. 5. Rileva il collegio che il primo motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto. E’ rimasto riscontrato in fatto che la società intimata aveva agito in sede monitoria per il pagamento di una fornitura di una partita di piante di basilico e che, a seguito di opposizione, l’attuale società, ricorrente aveva eccepito l’inadempimento dell’ingiungente ed, in via riconvenzionale, aveva richiesta la risoluzione del contratto per grave inadempimento della società fornitrice a causa della contaminazione da procimidone del prodotto oggetto della fornitura, che lo aveva reso privo della qualità necessaria per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale nella specie il soddisfacimento dell’esigenza all’alimentazione sana dell’utenza’. A seguito del rigetto dell’opposizione in primo grado, la s.r.l. A. e P. aveva proposto appello lamentando la scorretta inversione dall’onere probatorio operata dal giudice di primo grado con riferimento al dedotto inadempimento della società fornitrice, alla mancata considerazione di prove a conforto di tale inadempimento e, quindi, all’ingiusto rigetto dell’opposizione avverso il decreto monitorio e delle correlate domande riconvenzionali proposte, oltre che della incongrua reiezione delle richieste di prove orali formulate. La Corte territoriale, con la sentenza impugnata in questa sede, ha ravvisato la correttezza della traslazione dell’ onus probandi” operata dal primo giudice in relazione all’eccezione di inadempimento proposta dalla società opponente sul presupposto che, peraltro, la parte appellata, non disponendo delle piantine oggetto della controversia, non sarebbe stata in grado di poter confutare le contestazioni avverse e che sarebbe stato obbligo dell’appellante di metterle a disposizione della controparte. Inoltre la Corte distrettuale ha rilevato che non era stata raggiunta la prova effettiva che la fornitura della partita contestata relativa alla quantità di piantine di basilico in cui era presente il procimidone in misura superiore ai limiti legali fosse provenuta proprio dalla società appellata e che, di conseguenza le prove orali articolate in relazione alla natura della fornitura e al dedotto inadempimento si sarebbero dovute considerare inutili. Alla stregua di tale svolgimento della vicenda e delle statuizioni della Corte sarda, la ricorrente, con la doglianza prospettata con il primo motivo, ha dedotto che, nella specie, nella sentenza impugnata si era mancato di rilevare che la consegna della partita di piantine di basilico affetta dal suddetto vizio essenziale potesse essere ricondotta ad una consegna di aliud pro alio” e che, di conseguenza, in virtù dell’eccezione di inadempimento della società opponente in primo grado a cui si ricollegava la domanda di risoluzione del contratto , non erano stati applicati correttamente i criteri inerenti il riparto dell’onere probatorio al riguardo. Osserva il collegio che, al di là dei profili probatori riguardanti la sussistenza della circostanza della sicura ed effettiva provenienza della fornitura in questione in favore della ricorrente da parte della società intimata che inerisce gli altri tre motivi del ricorso e che risulta essere stata la ragione sostanzialmente assorbente del rigetto dell’appello , la Corte cagliaritana non ha posto in discussione che la partita delle piantine oggetto della controversia fosse affetta dalla presenza del suddetto anticrittogamica in quantità esorbitante i limiti di norma e lo stesso giudice di appello ha inteso confermare la ricostruzione operata da quello di prime cure secondo cui l’inversione dell’onere della prova in conseguenza dell’applicabilità del principio inadimplenti non est adimplendum” non fosse applicabile al caso in questione in ragione della mancata disponibilità delle piantine da parte della società opposta in primo grado. Orbene, ad avviso di questo collegio, non può mettersi in dubbio che la vendita di un prodotto affetto dalla suddetta caratteristica negativa oltretutto destinato alla distribuzione alimentare , come tale idonea a renderlo incommestibile e quindi incommerciabile anche ponendosi riferimento alla prescrizione imposta dall’art. 5 della legge 30 aprile 1962, n. 283, applicabile ratione temporis” , configuri una ipotesi di vendita di aliud pro alio”, poiché, secondo la giurisprudenza pressoché consolidata di questa Corte, ricorre tale figura non solo quanto la cosa consegnata appartenga ad un genere del tutto diverso da quello a cui appartiene la cosa pattuita, ma anche quando difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale e, quindi, a fornire l’utilità richiesta o a quell’altra funzione che le parti abbiano assunto come essenziale cfr., ad es., Cass. n. 14586 del 2004 Cass. n. 5066 del 2007 e Cass. n. 18859 del 2008 . Sulla scorta di tale presupposto consegue che la vendita di aliud pro alio” realizza una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle fattispecie di vendita di cosa inficiata da vizi o difettante delle qualità promesse, che integrano un caso di inesatto adempimento v., in particolare Cass. n. 7561 del 2006 . Orbene, in virtù di tale ricostruzione consegue che, qualora il convenuto che nell’opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia come attore in senso formale eccepisca non un inesatto adempimento ma un integrale inadempimento da parte dell’attore nella stessa opposizione rivestente la qualità di convenuto solo in via formale , incombe su quest’ultimo in quanto attore in via sostanziale, l’onere di fornire la prova del proprio adempimento cfr., ad es., Cass. n. 7553 del 1999 Cass. n. 14865 del 2000 Cass. n. 13925 del 2002 Cass. n. 17626 del 2002, agli stessi principi è, del resto, ispirata anche Cass., S.U., n. 13533 del 2001 e, quindi, necessariamente, anche della corrispondenza dell’oggetto della prestazione resa a quello pattuito. Tale situazione viene a configurarsi - come verificarsi nella fattispecie oggetto della controversia in questione - nel caso in cui il convenuto abbia contestato la prestazione dell’attore per essergli stato consegnato non un bene affetto da vizi o mancante di qualità promesse od essenziali, ipotesi che, attenendo ad una semplice imperfezione della prestazione peraltro immutata nella sua identità, integra gli estremi di un inesatto adempimento, bensì un aliud pro alio”, ipotesi che, attenendo ad una differenza sostanziale nell’identità della prestazione, integra gli estremi di un inadempimento totale. A, tale principio, perciò, la Corte territoriale non si è attenuta, senza che, peraltro, l’operatività dello stesso principio possa ritenersi condizionata dalla messa a disposizione della parte, che si assume come totalmente inadempiente, del bene oggetto della prestazione, potendo i necessari riscontri idonei ad escludere l’inadempimento essere forniti anche con altri mezzi probatori apprestati dall’ordinamento processuale. 6. Anche gli altri motivi dal secondo al quarto proposti dalla ricorrente sono meritevoli di accoglimento. Come già evidenziato, la Corte territoriale, oltre ad incorrere nella descritta violazione di legge dedotta con il primo motivo, ha, in ogni caso, ritenuto di rigettare l’appello proposto dall’attuale società ricorrente sul presupposto che fosse mancata la prova che il basilico contenente il procimidone provenisse con certezza dalla Cooperativa A.R. a r.l. e che quest’ultima fosse l’unica fornitrice della A. e P. s.r.l. e che questa, a sua volta, rivestisse il ruolo di fornitrice esclusiva della s.p.a. Esselunga. Malgrado la ravvisata decisività dell’accertamento di tali circostanze la Corte sarda ha considerato irrilevante l’accertamento dei riscontri fattuali indicati nella complessiva prova per testi articolata dalla difesa della società appellante e reiterata anche con il formulato gravame avverso la sentenza di prime cure , che risulta adeguatamente riportata nel ricorso, nell’ambito del secondo motiva, in osservanza del principio di autosufficienza cfr., da ultimo, Cass., S.U., n. 28336 del 2011 . Senonché, la Corte distrettuale ha omesso di rilevare che la prova orale verteva proprio sulle decisive circostanze idoneamente trascritte in ricorso e richiamate compiutamente anche nel quarto motivo poste a fondamento della decisione in questa sede impugnata, ovvero sull’approvvigionamento di basilico coltivato a terra esclusivamente dalla società intimata, sull’accertamento della contaminazione con procimidone del basilico venduto dalla Cooperativa A.R. a r.l., sul riconoscimento avversario della suddetta contaminazione e sulle conseguenze pregiudievoli oltre che sull’inerente entità di esse derivanti da tale accertamento. Appare, perché, sufficientemente dimostrato, da parte della ricorrente, che la motivazione della sentenza di appello si è fondata su un percorso argomentativo inadeguato ed incompleto, che ha omesso l’accertamento di circostanze chiaramente decisive secondo l’impostazione impressa alla decisione dallo stesso giudice di secondo grado ai fini della completa cognizione dei complessivi fatti dedotti in controversia, con particolare riferimento al riscontro dell’assunto inadempimento in capo alla società intimata e delle connesse responsabilità patrimoniali. Del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte v., per tutte, Cass. n. 11457 del 2007 e Cass. n. 23296 del 2010 il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere legittimamente denunciato per cassazione nel caso come quello in esame in cui essa abbia determinato l’omissione o l’insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di verosimile certezza, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito di modo che la ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. In altri termini, costituisce vizio di omessa o carente motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, la mancata o insufficiente indicazione da parte del giudice degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile od oltremodo difficoltoso ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento, e ciò anche quando vengono in rilievo decisioni su questioni giuridiche condizionate strettamente da un accertamento e da una valutazione di circostanze fattuali. Lo stesso discorso investe anche la terza doglianza formulata dalla società ricorrente perché la Corte territoriale, incorrendo nella violazione dell’art. 1362 c.c. ed adottando una motivazione del tutto inadeguata, non ha valorizzato, in alcun modo, le risultanze emergenti dalla missiva proveniente dalla società intimata in data 6 novembre 2000, ritualmente prodotta nel giudizio di merito e riportata testualmente nel motivo in questione nel rispetto del principio dall’autosufficienza, dalla quale si sarebbe potuta evincere, in ipotesi, una dichiarazione ammissiva in ordine all’inidoneità del prodotto fornito alla società ricorrente salva la prova che la stessa inerisse proprio la partita di basilico oggetto del ricorso in sede monitoria . In sostanza, dunque, alla stregua delle complessive carenze motivazionali prospettate con i motivi dal secondo al quarto riconducibili anche alla mancata valutazione della effettività della decisività delle circostanze dedotte con l’articolata prova orale e trasparenti dalla suddetta dichiarazione del 6 novembre 2000, ascrivibile alla società intimata , deve dirsi che la Corte sarda non è pervenuta, sul piano dell’adeguatezza e della complessiva logicità che deve caratterizzare il percorso argomentativo di una sentenza anche alla stregua dell’applicazione del principio di diritto affermato con riguardo al primo motivo , ad una congrua e completa cognizione dei fatti decisivi della controversia orientati, nella specie, a comprovare il possibile inadempimento addebitabile alla Cooperativa A.R. a r.l., con la correlata configurabilità di tutte le conseguenze giuridiche sul piano risarcitorio potenzialmente riconducibili a tale inadempimento da un punto di vista eziologico. 7. In definitiva, il ricorso deve essere totalmente accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari, che si atterrà al principio di diritto enunciato con riferimento al primo motivo v. sub punto 5, da intendersi qui per integralmente richiamato e provvederà alla rinnovazione del percorso motivazionale con riguardo alle recepite censure di cui agli altri motivi. Allo stesso giudice di rinvio è rimessa anche la disciplina delle spese della presente fase di legittimità. P.q.m. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari.