È necessario valutare tutte le clausole

Se è vero che la valutazione della volontà contrattuale è giudizio di fatto, come tale rimesso alla discrezionalità del giudice di merito e quindi sottratto allo scrutinio di legittimità della Corte di Cassazione, è però necessario che vi sia un'adeguata motivazione a sostegno delle scelte interpretative nel caso in cui difetti una compiuta analisi dell'intero contenuto negoziale, è necessario che la causa venga rimessa al giudice di appello affinché rielabori le proprie conclusioni, all'esito di una complessiva valutazione dell'intero assetto contrattuale.

I fatti di causa. All’origine della controversia sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione sentenza n. 5697/2012, depositata il 10 aprile vi è un'interessante questione in materia di interpretazione del contratto una società cita in giudizio l'Inpdap per sentirlo condannare al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto per lavori di completamento in uno stabile venduto all'ente l'ente, ritualmente costituito, nel chiedere il rigetto della domanda avversaria, ha altresì promosso domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna della società costruttrice al pagamento dell'importo corrispondente al reddito che avrebbe potuto trarre dalla locazione dell'immobile acquistato, in forza di una clausola negoziale che avrebbe garantito tale reddito. Definita su base transattiva la domanda promossa in via principale, la domanda riconvenzionale viene rigettata dal Giudice di prime cure e dalla Corte di Appello, sul rilievo che la pattuizione contrattuale in questione sarebbe stata limitata al tempo intercorrente tra l'acquisto e l'inizio di un contratto di locazione e che, di fatto, vi sarebbe stata coincidenza temporale tra i due momenti. Secondo il Giudice di primo grado, in particolare, la clausola in esame doveva essere interpretata nel senso che veniva garantita comunque una specifica redditività per sei anni – ovvero per la durata del periodo preso in considerazione al momento della stipula – così che nella previsione contrattuale l'eventuale percezione del canone di locazione, minore rispetto alla previsione della garanzia, avrebbe dovuto avere, come effetto, quello di garantire l'entità della somma comunque dovuta. Tale decisione, confermata dalla Corte di Appello, viene sottoposta a gravame innanzi alla Corte di Cassazione, così consentendo ai Giudici di Piazza Cavour di intervenire sul tema, sempre molto controverso, dell'interpretazione del contratto. I criteri di interpretazione del contratto criteri soggettivi Il codice civile, agli artt. 1362 – 1371, fissa le regole relativa all'interpretazione dei contratti, ossia dei criteri da seguire per determinare, in caso in controversia, il contenuto del contratto. In linea di principio, la giurisprudenza ritiene che sussista un ordine gerarchico all'interno dei criteri di interpretazione del contratto in particolare, gli artt. 1362 – 1367 c.c. definiscono i criteri comunemente detti di interpretazione soggettiva, che prevalgono sugli altri e che devono applicarsi prima di ogni altra valutazione sul contenuto del contratto. Secondo l'art. 1362 c.c., nell’interpretazione del contratto, si deve privilegiare la comune intenzione dei contraenti, come desumibile dall'interpretazione letterale e dal contegno complessivo delle parti in particolare, si ritiene che nell'interpretazione del contratto, alla stregua dei criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c., il Giudice debba avere riguardo al significato letterale delle espressioni utilizzate dalle parti, allorché dalle stesse si evinca in modo inequivoco la comune intenzione delle stesse. L’interpretazione letterale del contratto, infatti, rappresenta pur sempre il criterio principale dell'interpretazione del contratto che deve essere utilizzato dall'interprete, essendo possibile ricorrere all’interpretazione logica solo in caso di ambiguità del testo o esplicitando i motivi del discostamento della lettera del contratto. Sempre in punto di criteri di interpretazione soggettiva, l'art. 1363 c.c. stabilisce che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, l’art. 1364 c.c. che le espressioni generali utilizzate nel contratto cadono esclusivamente sugli oggetti in ordine ai quali le parti hanno deciso di contrattare e l’art. 1365 c.c. che, quando in un contratto si è espresso un caso al fine di esemplificare un accordo o un patto, non si presumono esclusi i casi non contemplati. L’art. 1366 c.c. rappresenta, infine, una sorta di norma di raccordo tra i criteri di interpretazione soggettiva poc'anzi richiamati ed i criteri di interpretazione oggettiva, stabilendo che il contratto deve essere interpretato secondo buona fede. e criteri di interpretazione oggettivi. Tra i criteri di interpretazione del contratto di natura oggettiva, da applicarsi nell'ipotesi di impossibilità di addivenire ad una efficace soluzione interpretativa per il tramite di quelli soggettivi, l’art. 1367 c.c. stabilisce che tra i più significati possibili da attribuire ad una clausola contrattuale deve essere privilegiata quell’interpretazione che consenta di attribuire alla clausola stessa un effetto giuridico piuttosto che quella che non gliene riconosca alcuno principio di conservazione del contratto . L’art. 1368 c.c. stabilisce, inoltre, la possibilità di ricorrere, in caso di ambiguità, alle prassi generalmente seguite nel luogo ove è stato concluso il contratto o, nel caso in cui una delle parti sia un imprenditore, nel luogo ove è la sede dell’impresa. L’art. 1369 c.c. detta un criterio di interpretazione del contratto che tenga conto della finalità stessa del contratto, prevedendo che, nell'ipotesi in cui siano previste espressioni ambigue, deve essere privilegiata l’interpretazione più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto. L’art. 1370 c.c. stabilisce, poi, che le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto o in moduli e formulari unilateralmente predisposti debbano essere interpretate, in caso di ambiguità, a favore del contraente non predisponente. In particolare, in relazione a tale modalità ermeneutica, è stato previsto in giurisprudenza che l'ambiguità delle condizioni generali di contratto, delle clausole contenute in moduli o formulari, ovvero di clausole proposte per iscritto al consumatore, è a carico del predisponente, mentre l'altra parte ben può invocare l'interpretazione ad essa più favorevole. Il preponente, pertanto, al fine di evitare di vedere ad esso opposta un'interpretazione delle clausole negoziali più favorevole al consumatore, ha l'onere di definire con chiarezza il contenuto di quanto redatto. L’art. 1371 c.c., infine, come detto, pone una regola di chiusura per cui, nei contratti a titolo gratuito, debba essere privilegiata l’interpretazione meno gravosa per l’obbligato e, nei contratti a titolo oneroso, l’interpretazione che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti. Interpretazione del contratto ed interessi dei contraenti. Accertato il rispetto da parte del giudice di merito delle norme di ermeneutica contrattuale, il giudice di legittimità non può sindacare l'interpretazione compiuta sul rilievo dello squilibrio in danno di uno dei contraenti puntualmente risultante dall'accertato regolamento di interessi, poiché il criterio interpretativo dell'equo contemperamento dell'interesse delle parti, prescritto dall'art. 1371 c.c. costituisce criterio residuale cui - come espressamente dispone la norma - è consentito ricorrere solo quando nonostante l'applicazione delle precedenti regole interpretative il contratto rimanga oscuro circostanza, di per sé, al quanto rare o comunque di limitata rilevanza. Sempre in punto di interpretazione, si è stabilito che trattasi di un'attività riservata al Giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione. Qualora si censuri l'interpretazione offerta dal Giudice – come nel caso di specie - occorre non solo l'astratto riferimento agli articoli del codice che sanciscono le regole interpretative, ma anche la specificazione dei canoni in concreto violati, precisando in che modo il Giudice se ne è discostato, sì da evidenziare le distorsioni che l'asserita violazione ha prodotto. Interpretazione del contratto valutazione equitativa? Si esclude, in linea di principio, che l'attività interpretativa debba, e possa avere, finalità di riequilibrio delle prestazioni contrattuali, alla stregua di un principio di giustizia contrattuale e ciò anche in presenza di un'opzione ermeneutica che privilegi, come peraltro richiesto dalla legge, i principi di buona fede e correttezza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, i principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali art. 1337 c.c. , a quella dell'interpretazione del contratto art. 1366 c.c. ed a quella della sua esecuzione art. 1375 c.c. , sicché la violazione dell'obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia però il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti. Il principio di correttezza e buona fede, infatti, comporta il dovere della parte di fornire alla controparte, nel corso delle trattative e nella formazione del contratto, ogni dato conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, rilevante ai fini della stipulazione dello stesso, nonché il dovere di agire nell'interpretazione e nell'esecuzione del contratto in modo da preservarne gli interessi, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di espresse previsioni normative. Tuttavia, la violazione del detto principio non determina l'invalidazione del contenuto del contratto con cui le parti abbiano regolato i rispettivi interessi, salvo che tanto non si risolva in una specifica causa di nullità o annullabilità, né tale violazione può essere invocata qualora si deduca l'inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l'equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti. Interpretazione del contratto e clausola di reddito garantito necessaria un'interpretazione complessiva. Nel caso in esame, la Cassazione rileva che i giudici dei precedenti gradi di giudizio hanno fornito un'interpretazione riduttiva della clausola di reddito garantito ed infatti, secondo il testo contrattuale, era previsto l'obbligo della venditrice di corrispondere all'Inpdap dal trentesimo giorno dalla data prevista per la consegna, un reddito annuo pari al 6,50% del prezzo netto di acquisto, fino al momento in cui il conduttore avrebbe iniziato a corrispondere il canone di locazione ma oltre a ciò era previsto un obbligo di fideiussione pari al reddito dovuto per l'intero periodo garantito a carico della società venditrice in caso di cessazione del contratto di locazione o nell'ipotesi di realizzazione di un canone di locazione minore rispetto a quello che l'Inpdap avrebbe ricavato con l'applicazione della percentuale del 6,50% sul prezzo di compravendita. In altri termini, la Corte ha ravvisato un vizio nell'interpretazione del contratto in questione, in quanto, in violazione del disposto degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. sarebbe stata trascurata, dai giudici di merito, l'ulteriore obbligo fideiussorio a carico della società venditrice, finalizzato a garantire, comunque, un minimo dovuto anche in presenza di un contratto di locazione stipulato dall'Inpdap stesso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 marzo – 10 aprile 2012, n. 5697 Presidente Oddo – Relatore Bianchini Svolgimento del processo la spa Impresa dr. Ing. G. T. citò innanzi al Tribunale di Roma l'INPDAP per sentirlo condannare al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto per lavori di completamento in uno stabile venduto all'ente convenuto quest'ultimo si costituì contrastando le pretese avversarie e chiedendo in via riconvenzionale che la società attrice fosse condannata a corrispondergli l'importo di Euro 137.599,32 rappresentante il reddito che avrebbe potuto trarre dalla locazione dell'immobile acquistato, con ciò agendo sulla base di una clausola negoziale che avrebbe tale reddito garantito. Il Tribunale adito, dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla domanda principale essendo stata pagata in corso di causa la somma richiesta respinse la domanda dell'INPDAP in base alla constatazione che la garanzia di redditività di cui alla pattuizione contrattuale sarebbe stata limitata al tempo intercorrente tra l'acquisto e l'inizio di un contratto di locazione dell'immobile poi stipulato con il Ministero dell'Interno e che, di fatto, vi sarebbe stata coincidenza temporale tra i due momenti negò quindi il primo giudice, che la clausola dovesse essere interpretata nel senso di garantire comunque una specifica redditività per tutta la durata sei anni del periodo preso in considerazione al momento della stipula, così che nella previsione contrattuale, l'eventuale percezione del canone di locazione, minore rispetto alla previsione della garanzia, avrebbe potuto avere, in ipotesi, come unico effetto, quello di diminuire l'entità della somma comunque dovuta. Contrastando tale interpretazione l'INPDAP propose impugnazione, che venne respinta dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3228/2009, assieme al gravame incidentale della società appellata. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l'INPDAP sulla base di due motivi la società intimata ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o la falsa applicazione delle norme codicistiche attinenti all'ermeneutica contrattuale artt. 1362, 1363, 1367 cod. civ. nonché delle disposizioni riguardanti l'inadempimento e l'impossibilità di adempimento artt. 1218 e 1256 cod. civ.- deduce altresì l'esistenza di vizi nella motivazione del giudice di merito sotto il triplice profilo dell'omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione all'identificazione del sinallagma contrattuale ed alle obbligazioni assunte dalle parti con la clausola art. 7, commi 11 e segg. del contratto di compravendita. 1/a Sostiene al riguardo parte ricorrente che l'interpretazione dell'impegno negoziale quale riportata nella sentenza di primo grado fatta propria senza alcun apporto argomentativo diverso, dalla Corte di Appello sarebbe stata originata da una lettura solo parziale del testo contrattuale atteso che, dopo la previsione dell'obbligo della venditrice di corrispondere all'Istituto, a decorrere dal trentesimo giorno dalla data prevista per la consegna, un reddito annuo pari al 6.50% del prezzo netto di acquisto, fino al momento in cui il conduttore avrebbe iniziato a versare il canone di locazione, vi era un ulteriore inciso che, oltre a prevedere l'obbligo di una fidejussione di importo pari al reddito dovuto per l'intero periodo garantito, statuiva che le locazioni stipulate ridurranno dello stesso importo la parte dovuta dalla venditrice che ne assumerà l'onere nel caso di insolvenza o di cessazione della locazione durante il periodo garantito tale dato testuale dunque, secondo il ricorrente, avrebbe smentito la tesi, sostenuta nella gravata decisione, secondo la quale a l'obbligo di garantire un reddito derivante dalla locazione del bene venduto sarebbe cessato al momento in cui il conduttore nella fattispecie il Ministero degli Interni avesse cominciato a pagare il canone b la funzione della pattuizione sarebbe stata solo quella di garantire l'acquirente da un'eventuale mancata percezione di canoni locativi, a causa del fatto che il contratto di locazione era stato concluso prima della consegna dell'immobile da parte dello stesso venditore. 1/b In contrario rileva il ricorrente che il testo negoziale sarebbe stato chiaro nel pattuire l'obbligo della corresponsione dell'importo garantito non solo se il conduttore fosse divenuto insolvente o se la locazione fosse cessata durante il periodo garantito ipotesi queste previste espressamente ma anche allorché il canone della già stipulata locazione fosse stato di importo pari o inferiore a quello garantito. 1/c Ritiene parte ricorrente di trovar conferma nel risultato interpretativo appena esposto anche dalla condotta delle parti posteriore alla conclusione del contratto, atteso che la fidejussione pur prevista negozialmente a garanzia dell'importo minimo garantito fu stipulata ben oltre l'inizio del pagamento dei canoni da parte del Ministero locatario 1/d Sottolinea altresì l'INPDAP che indubbio peso interpretativo circa la finalità della clausola in esame diretta a garantire un investimento, in conformità agli specifici obblighi normativi, a presidio dell'effettività delle prestazioni istituzionali dell'esponente. 1/e Deduce inoltre parte ricorrente che la pronunzia della Corte romana si sarebbe posta in insanabile contrasto con altre sentenze di questa Corte Cass. 12566/2004 e Cass. 7225/2009 che, giudicando sull'interpretazione di clausole analoghe a quella oggetto di scrutinio, avrebbero statuito che la funzione di tali pattuizioni sarebbe stata quella di tenere indenne l'acquirente, per un arco di tempo determinato, dai rischi connessi alla redditività del complesso immobiliare, così che l'obbligazione di garanzia dal venditore potrebbe prescindere dalla sorte dei contratti di locazione stipulati. 1/f Sostiene infine l'Istituto ricorrente che la Corte romana sarebbe altresì incorsa nel vizio di omessa o insufficiente motivazione nella valutazione della clausola dal momento che non avrebbe rinvenuto, nella stipula di un contratto di locazione in cui era prevista la corresponsione di un canone minore della redditività garantita, la condizione stabilita contrattualmente per l'attivazione della richiamata garanzia. 2 Con il secondo motivo viene fatta valere la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato art. 112 cpc laddove il giudice dell'appello non avrebbe esaminato l'ulteriore questione che aveva formato oggetto di appello relativa al calcolo della somma chiesta alla venditrice, che era costituita dalla differenza tra canoni percepiti dal conduttore Ministero ed il 6.50% riferito non già al solo prezzo originariamente pattuito con il contratto di compravendita bensì anche al maggior valore che l'intero stabile avrebbe assunto a seguito dell'esecuzione di lavori di ampliamento, giusta accordo intervenuto con il Ministero, futuro conduttore, secondo quanto determinato da un perito nominato dalle parti e previa acquisizione del parere di congruità di apposita commissione. 2/a Denunzia altresì l'INPDAP che nell'appello sarebbero state fatte valere censure contro l'omessa pronunzia, da parte del Tribunale, delle domande di esso ricorrente dirette a far integrare il massimale garantito con la prestata fidejussione. 3 Il primo motivo è fondato, rimanendo per contro assorbito Tesarne del secondo. 3/a Va premesso, al fine di respingere la preliminare eccezione di inammissibilità formulata dalla parte controricorrente, che il principio, costantemente enunciato da questa Corte, secondo il quale la valutazione della volontà contrattuale è giudizio di fatto, come tale commesso alla discrezionalità del giudice di merito e quindi sottratto allo scrutinio di legittimità della Corte, trova un limite nella formulazione di un'adeguata motivazione a sostegno delle scelte interpretative nel caso di specie la sentenza difetta appunto di una compiuta analisi dell'intero contenuto negoziale e quindi le conclusioni alle quali la Corte distrettuale è pervenuta non sono condivisibili. 3/b Invero la Corte di Appello non ha fatto corretta applicazione della regola fondamentale dell'ermeneutica che impone, nell'ambito della medesima clausola o disposizione contrattuale, di valutarne tutte le articolazioni. 3/c Nel concreto la Corte romana non ha soffermato la sua analisi sulla seconda delle proposizioni contenuta nella clausola numero sette in cui si metteva in evidenza il perdurare dell'obbligo di corrispondere la somma garantita anche nel caso di avvenuta stipula dei contratti di locazione e si prevedeva la stipula di apposita fidejussione per tutto il periodo di garanzia del pari è mancato il necessario confronto, al fine di pervenire ad un momento di sintesi interpretativa, tra la clausola, valorizzata nella gravata decisione, in cui si stabiliva il dies ad quem dell'obbligo in quello della stipula della locazione, e la previsione della permanenza dell'obbligazione sia in caso di cessazione dello stesso contratto di locazione sia, come appena sopra messo in evidenza, nell'ipotesi di realizzazione di un canone di locazione in misura minore del previsto reddito che l'INPADP avrebbe ricavato con l'applicazione della percentuale del 6,50% sul prezzo di compravendita o sul valore acquistato dall'immobile a seguito delle modifiche apportate. 3/d Detto vizio di motivazione ha comportato altresì la insostenibilità logica dell'ulteriore argomentazione della Corte di appello in merito alla funzione che le parti avrebbero inteso attribuire alla clausola in questione quella cioè limitata a garantire l'acquirente della mancata percezione tout court di canoni locativi minando quindi la condivisibilità delle ragioni del rigetto dell'appello per la ragione che l'INPDAP non avrebbe subito alcun pregiudizio non essendo residuato alcun lasso di tempo tra l'acquisto e la locazione al Ministero degli Interni. 4 Gli ulteriori profili contenuti nel primo motivo rimangono assorbiti. 5 La sentenza va dunque cassata e la causa va rimessa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che, alla luce dei principi sopra delineati, esaminerà nuovamente la fattispecie, regolando altresì le spese anche del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa l'impugnata decisione e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese del presente giudizio.