Ristruttura una casa dei suoceri e ci vive con la moglie: dopo la separazione non può chiedere il rimborso delle spese

Se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale.

L’assegnazione della casa coniugale ad un coniuge, in seguito alla separazione, non fa venir meno il contratto di comodato, permanendo dunque l’applicazione della relativa disciplina. Pertanto, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale. Infatti, il comodatario il quale, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione anche straordinarie, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Questo è il principio al quale aderisce la Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 1216/12, depositata il 27 gennaio scorso. Il caso. Un uomo e una donna si sposano. I genitori di lei mettono a disposizione della coppia un’abitazione nella quale possono trasferirsi e dove, finalmente autonomi in tutto e per tutto, possono costruire una famiglia. L’immobile non è però in ottimo stato e necessita, per la sua abitabilità, dell’esecuzione di opere edilizie il cui costo è elevato. La cosa non sembra un problema e la giovane coppia riesce comunque a farsi carico della spesa. Passano gli anni, i due hanno dei figli ma il loro rapporto comincia a deteriorarsi, fino a quando l’unica soluzione sembra quella della separazione. Una volta divisi, l’uomo cita in giudizio i suoceri per ottenere il rimborso della metà delle spese sostenute per le ristrutturazioni. L’uomo sostiene di aver diritto al rimborso. Gli argomenti proposti a sostegno della richiesta sono molteplici. Per prima cosa vi è il richiamo alla norma del codice civile che sancisce il diritto del possessore al rimborso delle spese sostenute per le riparazioni straordinarie. In subordine, vi è il riferimento alla norma che impone al proprietario il pagamento delle opere fatte da un terzo. Infine, viene sostenuto che, qualora le due argomentazioni non dovessero essere accettate dai giudici, si debba comunque riconoscere come in questo caso ci sia stato un ingiusto arricchimento da parte dei suoceri. Nella vicenda ricorrono i presupposti del comodato. Il Tribunale prima e la Corte d’appello poi, danno però torto all’uomo. In questo caso, i giudici di merito ravvisano la sussistenza di tutti i presupposti del comodato la consegna del bene, la gratuità del contratto e l’utilizzazione diretta da parte del comodatario della cosa consegnata. Essendo quindi questo il rapporto intercorrente tra le parti, l’uomo non può essere considerato come possessore del bene, ma come detentore. Il comodato, poi, esclude la terzietà delle parti. Al massimo, l’uomo avrebbe potuto chiedere il rimborso delle spese straordinarie per l’uso della cosa, previa dimostrazione della loro necessarietà ed urgenza, il che non è stato provato. Infine, secondo i giudici di merito, è da escludere la possibilità dell’esercizio dell’azione ex . art. 2041 c.c. sussistendo una giusta causa di arricchimento nella dotazione di un autonomo luogo di residenza, nel quale la moglie e il figlio hanno continuato ad abitare. L’uomo non si arrende e ricorre in Cassazione. A suo dire, i giudici avrebbero commesso un errore nel negare la qualifica di possessore e inquadrando il rapporto fra le parti come comodato, senza che i convenuti avessero proposto una eccezione in tal senso. Secondo il ricorrente poi, i lavori non sarebbero stati realizzati nell’ambito di un rapporto di comodato in quanto eseguiti prima della consegna dell’immobile, elemento necessario per il perfezionamento di un contratto reale. Di conseguenza, non essendoci un contratto tra le parti, sarebbe un errore sostenere la non terzietà delle stesse. Il giudice ha il potere-dovere di qualificare il rapporto dedotto. La Suprema Corte considera però infondati i motivi del ricorso. Del resto, la qualificazione del rapporto sostanziale dedotto è oggetto di un precipuo potere-dovere del giudice, che non può essere inibito dall’inerzia delle parti nel prospettare le interpretazioni giuridiche della fattispecie e le stesse parti, come non possono vincolare il giudice ad una data tesi giuridica, così non possono neppure imporgli le alternative giuridiche cui ricondurre il rapporto . La datio rei dei beni immobili è simbolica. Inoltre, i giudici di merito ben hanno potuto sostenere l’esistenza del contratto di comodato fin dal momento in cui sono iniziati i lavori atteso che i beni immobili si consegnano in maniera simbolica, ad esempio mediante la rimessa delle chiavi o in altro modo che attesti la volontà di effettuare la traditio , nel caso di specie, la consegna della res e con essa la conclusione del contratto di comodato si è realizzata nel momento stesso in cui i suoceri ebbero a mettere il loro immobile a disposizione dell’uomo affinché questi vi effettuasse le opere necessarie a renderlo abitabile per sé e per la propria famiglia . È dunque da escludersi in partenza ogni possibilità di configurazione del possesso. L’azione generale di arricchimento non può essere esperita in alternativa subordinata a quella contrattuale. Secondo la Suprema Corte, anche l’ultima censura volta a negare l’esistenza di una giusta causa di arricchimento è priva di fondamento. Tuttavia, l’infondatezza deriva da ragioni diverse da quelle espresse dai giudici di merito ed è da ravvisarsi nel fatto che il requisito di sussidiarietà evocato dalla rubrica dell’art. 2041 c.c., non predica che detta azione possa essere esperita in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ogni qual volta, cioè, quest’ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto, per ragioni di fatto o di diritto, il recupero dell’utilità trasferita da una parte all’altra ma al contrario sta a significare soltanto che tra soggetti fra loro terzi, per l’inesistenza o la nullità di un rapporto contrattuale, gli spostamenti patrimoniali non sorretti da giusta causa devono essere retrattati nei limiti del minor valore tra arricchimento e danno. Pertanto, tale azione non può essere riconosciuta in favore del comodatario per recuperare dal comodante spese che, a termini dell’art. 1808, primo comma c.c., siano state giudicate irripetibili .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 novembre 2011 – 27 gennaio 2012, numero 1216 Presidente Piccialli – Relatore Manna Svolgimento del processo M. C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze gli ex suoceri Ma Ca. e D.G.T., per sentirli condannare al pagamento della somma 70 milioni di lire, quale rimborso, ex articolo 1150 c.c., della quota parte del 50% delle spese che egli, insieme con l'ex coniuge, aveva sostenuto per l'esecuzione di opere edilizie necessarie a rendere abitabile un immobile di proprietà degli stessi convenuti, nel quale egli era andato a vivere con la sua famiglia. In subordine, domandava la stessa somma ai sensi dell'articolo 936 c.c. ovvero, ancora, in base all'articolo 2041 c.c I convenuti resistevano in giudizio. La domanda era respinta sia in primo che in secondo grado. In particolare, la Corte d'appello di Firenze, confermando anche la motivazione della sentenza di prime cure, riteneva che C.M. fosse stato soltanto detentore dell'immobile, ricorrendo i presupposti del comodato, quali la consegna del bene, la gratuità del contratto e l'utilizzazione diretta da parte del comodatario della cosa consegnata. Peraltro, osservava la Corte, l'appellante non aveva fornito alcuna prova della dedotta qualità di possessore, mentre gli appellati avevano negato tale qualificazione, avendo addirittura affermato che la consegna del bene era avvenuta successivamente all'esecuzione dei lavori oggetto di causa. Escludeva l'applicabilità dell'articolo 936 c.c. per l'assenza di terzietà fra le parti, in virtù del rapporto di comodato sussistente con i proprietari del bene. Rilevava, quindi, che l'appellante non aveva neppure dimostrato l'esistenza delle condizioni previste dall'articolo 1808, 2 comma c.c., circa la straordinarietà, necessità ed urgenza dei lavori di ristrutturazione eseguiti, ben potendo M C. continuare ad abitare con la sua famiglia nel medesimo appartamento dei suoceri, nel quale aveva vissuto nei dodici anni precedenti. Negava, infine, l'applicabilità anche dell'articolo 2041 c.c., identificando una giusta causa di arricchimento nel dotare il nucleo familiare del medesimo appellante di un autonomo luogo di residenza, nel quale la moglie e il figlio del C., avevano continuato ad abitare dopo la separazione dei coniugi. Per la cassazione di detta sentenza ricorre C.M., formulando cinque motivi di annullamento. Resistono con controricorso gli intimati. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, articolato in tre censure, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 112, 167 e 180 c.p.c., nonché degli articolo 1141, 1150 e 1803 e ss. c.c., in relazione al numero 3 dell'articolo 360 c.p.c. la nullità della sentenza di primo grado e, conseguentemente, del procedimento e della sentenza d'appello per violazione dei citati articolo 112, 167 e 180 c.p.c., in relazione al numero 4 dell'articolo 360 c.p.c. nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al numero 5 dell'articolo 360 c.p.c Deduce, al riguardo, che la sentenza del Tribunale di Firenze era viziata da ultra ed extra petizione, avendo essa negato la qualifica di possessore del C., e conseguentemente l'applicabilità dell'articolo 1150 c.c., qualificando il rapporto fra le parti come comodato, senza che i convenuti avessero contestato nei termini di legge la qualità di possessore del C. o eccepito, nella comparsa di risposta di primo grado, che il rapporto fra le parti dovesse qualificarsi in termini di contratto di comodato, essendosi essi limitati a contestare esclusivamente la data di inizio del possesso. Pertanto, il Tribunale non avrebbe potuto procedere d'ufficio alla qualificazione del rapporto, né conseguentemente avrebbe potuto negare l'applicabilità alla fattispecie dell'articolo 1150 c.c Del tutto errata, prosegue parte ricorrente, è la sentenza d'appello nella parte in cui afferma che l'appellante non avrebbe provato la dedotta qualità di possessore, atteso che ai sensi dell'articolo 1141 c.c. non incombeva su di lui tale onere probatorio, essendo i convenuti a dover dimostrare l'inesistenza del dedotto possesso. Peraltro, la qualificazione del rapporto fra le parti come comodato contrasta con la stessa prospettazione dei convenuti, secondo cui il C. all'epoca dei lavori non aveva ancora ricevuto la consegna dell'immobile, atteso che il comodato è contratto reale e, dunque, si perfeziona con la datio rei . Sotto tale profilo, prosegue parte ricorrente, la sentenza impugnata evidenzia anche una motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, poiché se la consegna dell'immobile era avvenuta successivamente all'esecuzione dei lavori, deve coerentemente escludersi che i lavori stessi possano essere stati realizzati nell'ambito di un rapporto di comodato, il quale avrebbe potuto avere origine solo dopo la consegna del bene e dunque dopo che le opere erano già state eseguite. Lamenta, infine, parte ricorrente, che la sentenza d'appello abbia ignorato, incorrendo nel denunciato vizio di omessa motivazione, sia il fatto che, avendo il C. investito nell'immobile tutti i suoi risparmi, doveva ritenersi fin troppo emblematico lo stato soggettivo e il convincimento di lui di possedere, a tutti gli effetti e in buona fede, l'immobile ristrutturato, sia la circostanza che in casi analoghi la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il coniuge, il quale in costanza di matrimonio abbia eseguito a proprie spese migliorie ed ampliamenti dell'immobile dell'altro per il godimento di entrambi, ha diritto ai rimborsi e alle indennità previste dall'articolo 1150 c.c. per il possessore in buona fede. 2. - Con il secondo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli articolo 936 e 1803 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Posto che la sentenza d'appello ha ritenuto che le opere in oggetto sono state eseguite prima della consegna del bene e, dunque, prima che potesse sorgere un rapporto di comodato data la natura reale di tale contratto , il C. nel momento in cui ha sostenuto le relative spese era terzo rispetto ai proprietari del fondo, per cui era perfettamente applicabile la disposizione dell'articolo 936 c.c 3. - Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione deh articolo l808 c.c. e dell'articolo 116 c.p.c., nonché l’error in procedendo e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché l'omessa valutazione e il conseguente travisamento delle risultanze istruttorie. Sostiene, al riguardo, che, anche a ritenere inapplicabile sia l'articolo 1150 sia l'articolo 936 c.c., in favore del C. sarebbe spettata comunque l'indennità o il rimborso previsto dall'articolo 1808 c.c Non vi è dubbio, infatti, che le spese sostenute dal C. erano straordinarie, necessarie e urgenti, sia per lo stato precario in cui si trovava l'immobile, come accertato dal c.t.u., sia perché quest'ultimo doveva essere destinato all'abitazione del C. e della sua famiglia. La Corte d'appello non ha valutato nessuna delle due suddette circostanze salvo ritenere il solo carattere straordinario delle spese in questione . Inoltre, la sentenza impugnata è incorsa in motivazione contraddittoria e insufficiente lì dove da un lato ha imputato al C. di non aver provato il carattere necessario e urgente delle spese, e dall'altro non gli ha consentito la prova negandogli il supplemento di c.t.u., chiesto per il caso di ritenuta insufficienza degli accertamenti tecnici già espletati in primo grado, volto a dimostrare ulteriormente la situazione di degrado e di fatiscenza in cui versava il bene. 4. - Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1808, 1592 e 1593 c.c. e dell'articolo 112 c.p.c., nonché la nullità della sentenza del Tribunale e, conseguentemente, del procedimento e della sentenza della Corte d'appello per violazione dell'articolo 112 c.p.c., e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Sostiene, al riguardo, che l'articolo 1808 c.c. si riferisce alle spese non autorizzate, per cui non può valere per quelle che il comodatario abbia eseguito con l'espresso consenso del comodante che ne risulta beneficiario. Tale questione, espressamente dedotta dal C. in primo grado e ribadita tra i motivi di appello , è stata completamente ignorata sia dalla sentenza di primo grado, sia da quella d'appello. Sostiene, quindi, che gli articolo 1592 e 1593 c.c. in tema di contratto di locazione sono applicabili analogicamente al comodato, ed afferma che il precedente di Cass. numero 7923/92, richiamato nella sentenza di prime cure per motivare l'esclusione del rimborso delle spese sostenute dal comodatario, si riferisce alle spese non autorizzate, per cui deve ritenersi esistente, invece, tale diritto per quelle autorizzate. 5. - Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2041 c.c. nonché il connesso vizio motivazionale. La Corte territoriale ha ritenuto esistente una giusta causa di arricchimento nel fatto che tuttora nell'immobile oggetto dei lavori effettuati dal C. abitano la moglie e il figlio di lui. Tale motivazione è errata, si afferma, perché la permanenza dell'ex coniuge dell'odierno ricorrente e del figlio in tale immobile scaturisce non dalle condizioni della separazione personale dei coniugi, nelle quali non si menziona alcuna assegnazione della casa coniugale, ma dal rapporto diretto tra l'ex moglie e i genitori di lei, proprietari del fondo, senza alcun collegamento con la posizione, i bisogni e gli interessi del C 6. - Il ricorso è infondato in tutte le censure in cui si articola. 6.1. - La qualificazione del rapporto sostanziale dedotto come dell'azione esercitata è oggetto di un precipuo potere-dovere del giudice, che non può essere inibito dall'inerzia delle parti nel prospettare le interpretazioni giuridiche della fattispecie e le stesse parti, come non possono vincolare il giudice ad una data tesi giuridica, così non possono neppure imporgli le alternative giuridiche cui ricondurre il rapporto. 6.1.1. - Né tanto meno ha fondamento la tesi di parte ricorrente, che vorrebbe confinata nella comparsa di risposta di primo grado l'eccezione del convenuto, il quale deduca una qualificazione del rapporto sostanziale diversa da quella dedotta dall'attore. È di tutta evidenza che non di eccezione si tratta, ma di mera difesa. Invero, l'eccezione sia o non rimessa alla disponibilità della parte può avere ad oggetto solo un fatto e non già un apprezzamento giuridico, fatto che, per di più, dovendo essere impeditivo o estintivo del diritto azionato, deve di necessità essere sopravvenuto al sorgere del diritto stesso. 6.2. - La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che il vizio di ultra o extra petizione della sentenza di primo grado non può essere prospettato per la prima volta nel ricorso per cassazione ove il ricorrente non l'abbia dedotto come specifico motivo di gravame nel giudizio d'appello, neppure se riferito alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente cfr. Cass. nnumero 11382/11, S.U. 15277/01, 822/00, 6152/96 e 4623/87 . 6.2.1. - Nella specie, la parte odierna ricorrente avrebbe dovuto dedurre in appello il vizio di ultra o extrapetizione della sentenza di primo grado con un apposito motivo di gravame, di cui non v'è traccia nella sentenza impugnata e che lo stesso C. non deduce di aver formulato in quel giudizio in termini di violazione dell'articolo 112 c.p.c 6.3. - Non risponde al vero, per l'esattezza, che la sentenza d'appello abbia ritenuto che le opere in oggetto fossero state eseguite prima della consegna dell'immobile. Si tratta di un'affermazione v. pag. 5 sent. impugnata che la Corte d'appello si è limitata a riportare quale tesi espressa dalla parte appellata, allorché quest'ultima ebbe a contestare la qualificazione in senso possessorio del godimento dell'immobile da parte del C In ogni caso si tratta di affermazione di carattere meramente avversativo e contenuta all'interno di un obiter dictum , tale essendo l'affermazione che peraltro il C. non aveva provato la dedotta qualità di possessore. 6.3.1. - Ciò puntualizzato per sola chiarezza nella ricostruzione delle ragioni della decisione impugnata, va osservato che l'indiscussa natura reale del contratto non determina alcuna contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, lì dove in essa si afferma la natura di comodato del rapporto fra le parti, nonostante i lavori fossero stati eseguiti prima della consegna dell'immobile affinché il C. andasse ad abitarvi con la propria famiglia. Infatti, pacifica, in quanto rientrante nella cornice di riferimento comune alle parti così come ritenuta dal giudice d'appello, l'effettuazione dei lavori ad iniziativa, cura e spese dell'attore e atteso che i beni immobili si consegnano in maniera simbolica ad esempio mediante la rimessa delle chiavi o in altro modo che attesti la volontà di effettuarne la traditio , nel caso di specie la consegna della res e con essa la conclusione del contratto di comodato si è realizzata nel momento stesso in cui gli odierni resistenti ebbero a mettere il loro immobile a disposizione del C., affinché questi vi effettuasse le opere necessarie a renderlo abitabile per sé e per la propria famiglia. 6.3.2. - Va da sé che la traditio del bene in virtù di un rapporto di carattere obbligatorio esclude in partenza ogni possibilità di configurazione del possesso, di talché parte ricorrente non può invocare a proprio favore la presunzione di possesso di cui all'articolo 1141, primo comma c.c 6.4. - L'assegnazione della casa coniugale ad un coniuge, in seguito alla separazione, non fa venir meno, in analogia a quanto dispone l'articolo 6 legge 27 luglio 1978 numero 392, il contratto di comodato, di guisa che permane l'applicazione della relativa disciplina. Pertanto, se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale v. Cass. numero 2407/98 . Infatti, il comodatario il quale, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione anche straordinarie, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante così, Cass. numero 15543/02 . 6.5. - L'articolo 1808 c.c. non distingue tra spese autorizzate e spese ad iniziativa del comodatario, ma fra spese sostenute per il godimento della cosa e spese straordinarie, necessarie ed urgenti affrontate per conservarla, con la conseguenza che l'eventuale autorizzazione del comodante non è in nessuno dei due casi discrimine per la ripetibilità degli esborsi effettuati dal comodatario. 6.6. - Non scalfita dalle censure di cui sopra la qualificazione giuridica in termini di comodato data al rapporto dalla sentenza impugnata, resta esclusa l'applicabilità alla fattispecie dell'articolo 936 c.c Infatti, al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportano miglioramenti, né sotto il profilo dell'articolo 1150 c.c. perche egli non è possessore, né sotto quello dell'articolo 936 c.c. perché non è terzo anche quando agisce oltre i limiti del contratto, né infine sotto quello dell'articolo 1595 c.c. in via di richiamo analogico, perché un'indennità per i miglioramenti è negata anche al locatario la cui posizione è molto simile a quella comodatario. Deve riconoscersi al comodatario soltanto l’ ius tollendi per le addizioni Cass. nnumero 1575/63,7923/92 . 6.6.1. - Nella specie si trattava di spese soggettivamente necessarie e urgenti, mentre la norma fa riferimento implicitamente a spese per la conservazione del bene, e dunque a una necessità e urgenza di tipo oggettivo, per evitare o la perdita della res o danni a terzi. 6.6.2. - E a fronte della genericità dell'allegazione di parte ricorrente, non è neppure censurabile la mancata nomina di un c.t.u. da parte del giudice di merito per meglio chiarire e distinguere quali interventi, tra quelli posti in essere, fossero necessari per sopperire allo stato di degrado dell'immobile e quali, invece, fossero funzionali alla sua trasformazione abitativa. 6.7. - Infine, anche l'ultima censura, mirante a negare l'esistenza di una giusta causa di arricchimento allo scopo di fondare l'azione di cui all'articolo 2041 c.c., è destituita di pregio, sebbene per ragioni diverse da quelle espresse nella sentenza impugnata, che dichiarandola infondata per difetto di una giusta causa di arricchimento, ne ha implicitamente ammesso l'astratta esercitabilità nella fattispecie. 6.7.1. - Il requisito di sussidiarietà evocato dalla rubrica dell'articolo 2041 c.c. e del tutto pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza , non predica che detta azione possa essere esperita in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ogni qual volta, cioè, quest'ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto, per ragioni di fatto o di diritto, il recupero dell'utilità trasferita da una parte all'altra ma al contrario sta a significare soltanto che tra soggetti fra loro terzi, per l'inesistenza o la nullità di un rapporto contrattuale, gli spostamenti patrimoniali non sorretti da giusta causa devono essere retrattati nei limiti del minor valore tra arricchimento a danno. Pertanto, tale azione non può essere riconosciuta in favore del comodatario per recuperare dal comodante spese che, a termini dell'articolo 1808, primo comma c.c., siano state giudicate irripetibili. In tal senso, pertanto, s'impone l'esercizio del potere di correzione della motivazione della sentenza d'appello, in base all'articolo 384 c.p.c 7. - In conclusione il ricorso va respinto. 8. - Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.